>Fossi Giorgia Meloni riconsidererei l’intera prospettiva da cui guardare la contingenza politica. E forse, paradossalmente, invierei un mazzo di fiori al Csm. Perché, per quanto serio, l’affaire magistratura sta distogliendo totalmente l’attenzione dal capitolo economico. Decisamente più serio. E incombente. E non tanto per il gioco delle tre carte del presunto e millantato sacrificio delle banche. Quanto dalla carne e dal sangue della crescita del Paese. La sua tenuta. E le conseguenze che ancora devono palesarsi in tutta la loro potenziale gravità. Non a caso, di colpo, persino il sindacato ha scoperto a crisi dell’automobile, dopo aver sbandierato acriticamente il vessillo green.
Volete la riprova della gravità della situazione e di quanto il pasticciaccio brutto della sentenza anti-espulsioni (con coté di mail militanti) stia operando da camera di compensazione? Prendete le due sentenze giunte venerdì da altrettante società di rating riguardo alle prospettive del nostro Paese. Due promozioni. Rese ancora più convincenti dal 6+ simbolico con cui Mario Monti ha giudicato la Manovra dalle colonne del Corriere della Sera. Praticamente, il bacio della morte.
Vi faccio una domanda. Anzi, due. La prima. Pur essendo loro compito, quasi il loro core business, sono forse state le società di rating a far esplodere il paradosso truffaldino del greenwashing in materia di classificazione ESG per le obbligazioni corporate e sovrane? No. E in tal senso fa riflettere la poca grancassa che Governo e stampa amica hanno messo in campo per celebrare quei due outlook così convinti. Come mi faceva notare Giorgio Arfaras, l’unico economista italiano degno di questo nome, le società di rating sono enti privati chiamati a giudicare altri enti privati. Che spesso sono loro clienti/committenti. Il nodo fra rating e auditing/accounting è identico a quello fra banca commerciale e di investimento. Taglia quel cordone ombelicale e il 90% dei problemi è risolto. Guarda caso, nessuno si azzarda. Perché pensate che quelle società bocceranno chi li paga per i loro servigi, se proprio non sono costrette dalle contingenze immediate? Quindi, attenzione agli entusiasmi per la nostra promozione.
Seconda domanda. Vi è venuto in mente che quella valutazione positiva potrebbe essere stata viziata dal piano di svendita che il Mef sta mettendo in atto, Poste Italiane in testa? Le privatizzazioni delle controllate o partecipate è da sempre un cruccio dei cosiddetti mercati. Il 1992 ne fu la prova lampante. Chiedere a Mario Draghi per conferme e referenze. Et voilà, i nostri gioielli vanno all’asta e il rating si rasserena. Nonostante una manovra che mostra falle ovunque. Lo spread? Inutile persino parlarne. Finché esiste il reinvestimento titoli della Bce, quel valore può scendere a 20 o salire a 200. Nessuno ne terrà conto. C’è il backstop invincibile della Banca centrale. E nessuno è così fesso da farle la guerra. E allora, perché mai al Governo dovrebbe servire un’arma di distrazione di massa come quella della magistratura, altro dèjà vu tutt’altro che meramente simbolico del 1992?
Perché oltre al rating, c’è il Paese reale. E c’è la crisi tedesca che comincia a mordere. Come ripeto ossessivamente da mesi. La Berco è un’azienda controllata da Tyssenkrupp. Specializzata nella produzione di componenti per macchine movimento terra cingolate e relative attrezzature per la revisione e la manutenzione. Nulla che possa essere sponsorizzato da Chiara Ferragni o Diletta Leotta. Roba seria, mica app o start-up. Gli stabilimenti di Copparo (Ferrara) e Castelfranco Veneto (Treviso) impiegano 1.372 lavoratori. Il 17 ottobre, Berco ha annunciato 550 esuberi, di cui 480 a Copparo. Licenziamenti che diverranno operativi entro 3 mesi. La ragione? Calo degli ordinativi del 30% che ha reso non più derogabile la razionalizzazione. Nonostante da 13 giorni, azienda e sindacati stessero trattando. Nel sito veneto, dal 1 novembre ai 150 addetti verrà cancellato ogni beneficio dal contratto integrativo.
E attenzione, Berco è un nome noto. Con numeri che fanno rumore. E sindacati che protestano. Ma la stragrande maggioranza di terzisti e subfornitori (soprattutto di componentistica) dell’industria tedesca è rappresentata da PMI con poche decine di addetti. La loro morte sarà una silenziosa eutanasia. In alcuni casi e in alcune aree, già iniziata. E non è solo la Germania a piangere. La crisi nera degli elettrodomestici ha infatti portato in regalo alla Electrolux di Solaro (Milano) un maxi-taglio delle ore lavorate, fino al 65%. E con esse, il salario. Contratto di solidarietà. Uomini e donne che assemblano lavastoviglie. Per ora, unici a essere salvi i dipendenti dell’impianto del Trevigiano.
E la Spoon River occupazionale potrebbe proseguire. Ho preso i due esempi più recenti. In aree ricche e industrializzate del Paese: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Forse, il vero rating lo si capisce dal numero di controversie aperte al ministero dello Sviluppo economico. E facendo un salto in banca il 15 del mese, quando partono le chiamate a freddo per sconfinamenti da Rid sul conto corrente. Magari per un astronomico ammontare di ben 38 euro. Forse – per un po’ – sarà meglio leggere Il Giorno e Il Resto del Carlino. E smettere col Financial Times e le sue cronache aggiornate sui rating. Ma, com’è noto, io mi sbaglio.
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