Le risposte che il Governatore della Banca centrale inglese e altri membri del comitato di politica monetaria dell’istituto hanno dato ad alcuni membri del Parlamento inglese lunedì sono degne di nota. I membri del Parlamento inglese hanno provocato Andrew Bailey, e alcuni colleghi, sulla questione del giorno e cioè sull’inflazione; in particolare, hanno cercato di capire come mai le previsioni della banca centrale di questo autunno siano state così inesatte rispetto all’incremento dei prezzi osservato in queste settimane. La risposta forse più interessante è quella data da Michael Saunders, uno dei membri del comitato della Bank of England che negli scorsi mesi aveva “votato”, in minoranza, per la fine delle politiche monetarie espansive già a settembre; in termini giornalistici un falco. Saunders ha ammesso che se avesse potuto fare a modo suo, e quindi finire il Quantitative easing prima, l’inflazione attuale sarebbe sostanzialmente la stessa.
L’inflazione arriva per ben più di due terzi da shock esterni e solo marginalmente da un mercato del lavoro sbilanciato, con le imprese che fanno fatica ad assumere, e dall’eccesso di risparmio che è stato accumulato durante i mesi della pandemia. Il Governatore ha menzionato diversi shock esterni: quello energetico, la guerra in Ucraina, le tensioni sulle catene di fornitura globale e la politica “zero Covid” della Cina che sta bloccando i porti della fabbrica del mondo. L’incremento dei prezzi che questi shock causano sarebbero potuti essere controbilanciati dai rialzi dei tassi solo in misura minima. Il Governatore ha chiarito che, in prima battuta, la Banca centrale può molto poco contro queste distorsioni che negli ultimi 12-18 mesi si sono susseguite senza tregua.
Rimane ovviamente la questione del futuro. Le Banche centrali potrebbero agire per far rientrar le aspettative sull’inflazione di medio lungo termine. È chiaro che questo può avvenire solo al prezzo di una recessione dai confini ignoti perché i debiti pubblici e privati di maggio 2022 sono molto più alti che quelli di maggio 2020 quando il Covid era ancora una novità.
C’è un secondo problema. Gli shock esterni potenzialmente non sono finiti. All’orizzonte si vedono altri shock energetici, per esempio se l’Europa dovesse decidere di bloccare le importazioni di gas, e alimentari con un crescente numero di Paesi che blocca le esportazioni di prodotti agricoli; l’ultimo esempio è l’India che blocca le esportazioni di grano.
L’aumento dei prezzi alimentari è strettamente legato all’energia perché i Paesi in via di sviluppo sono spesso esportatori di gas e petrolio. Per descrivere lo shock alimentare e l’aumento dei prezzi il Governatore della banca centrale, che si presume parli misurando le parole, ha usato l’aggettivo “apocalittico” e ha espresso tutta la propria preoccupazione per l’impatto di questo fenomeno sui Paesi più poveri. L’Europa, aggiungiamo noi, dovrebbe seriamente preoccuparsi di un’ondata migratoria mai vista data la crisi alimentare “apocalittica”.
La dichiarazione di impotenza delle Banche centrali è una buona notizia perché costringe a fare i conti con la ricerca di una soluzione fuori da un tecnicismo che non esiste e che forse non è mai esistito. Il problema è tutto politico sia in termini di ricerca di rapporti internazionali meno bellicosi, sia per la soluzione economica. Oggi la discussione è tutta tesa a un aumento del ruolo dello Stato e all’imposizione di regole, in primis sulla transizione energetica, che vengono calate dall’alto al basso senza alcun riguardo per la realtà economica e produttiva e per il buon senso. Bisognerebbe invece creare le condizioni perché le imprese trovino la soluzione senza l’imposizione di ricette che un gruppo di autoproclamati ottimati ha deciso di imporre senza alcun riguardo per i costi subiti dalle famiglie. Sono ricette per un disastro economico e politico perché non c’è niente di peggio per la libertà di uno Stato o di organismi parastatali ipertrofici in una situazione di crisi strutturale.
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