Pensavo di aver esagerato mentre a caldo paragonavo tra me e me quanto sta accadendo in Medio Oriente al 2001. Invece, il parallelo con l’11 settembre spopola. In realtà, tutto sta semplicemente evolvendo in maniera molto – troppo – rapida nel solco di un playbook scontato. Hamas ha confermato subito l’appoggio iraniano all’attacco. Hezbollah, a sua volta, ha lanciato razzi dal Libano, dichiarandosi parte in causa nel conflitto. E mentre i traders attendevano con ansia il primo responso del mercato energetico, forse sarebbe stato necessario soffermarsi su un paio di dettagli.
Primo, il paragone con l’11 settembre calza infatti in primo luogo per la sindrome Frankenstein che lo sostanzia. Esattamente come gli Usa hanno visto la loro creatura di laboratorio – l’estremismo wahabita di Ryad – rivoltarsi contro, oggi Israele sta affrontando il morso feroce di una belva che i servizi di intelligence di Tel Aviv hanno nutrito per anni in chiave di indebolimento dell’Olp di Yasser Arafat. Secondo, il fall-out di quanto sta accadendo. Ben più ampio della sua dimensione meramente militare. Bibi Netanyahu ha detto chiaramente che il conflitto sarà lungo. E domenica il Gabinetto di sicurezza di Israele ha votato la messa in stato di guerra del Paese. Tradotto, il problema e il bersaglio non sono Gaza, né Hamas. Entrambi risolvibili in tre giorni. Ma l’Iran. Oltretutto, dopo aver seppellito definitivamente l’accordo fra Israele e Arabia Saudita. Strozzato in culla. Con tempismo perfetto. Come certe mosse viennesi in sede Opec.
Ora, date un’occhiata a queste due mappe: la prima mostra le shipping lanes che rischiano di venir interessate e potenzialmente interrotte/limitate dal conflitto, la seconda la dislocazione di pipelines energetiche strategiche. Spedizioni ed energia, commercio e commodities. Carne e sangue. Di fatto, una recessione globale a portata di mano. Pronta a colpire i nodi nevralgici macro, prima ancora che finanziari. E geopolitici. Esattamente come il Covid e la sua era glaciale della crescita. Obbligando governi e Banche centrali a sostenere.
Ma quanto rischio di effetto collaterale e unintended consequences stiamo prendendo, da qui alle prossime settimane? Al netto di un’Ucraina ormai relegata a sussidiari di storia con la S minuscola, quanto è seria la situazione di leverage sottostante mercati e corporate, se sul piatto troviamo un Risiko di questa portata?
Il playbook, ripeto, è scontato. Israele si dice pronto a un’operazione di terra a Gaza in 24/48 ore. Forza di reazione rapida. Che giunge dopo un’apparente, storica e colossale dormita dell’intelligence. E state certi che, una volta entrato a Gaza, l’esercito israeliano andrà a colpo sicuro nel trovare – nascosti nei covi di Hamas- le pistole fumanti della mano iraniana dietro l’attacco. A qual punto, una bella conferenza stampa in stile Colin Powell con la fialetta di Maalox e via. Ma se sarà scontro con l’Iran, la Cina non si limiterà più alle richieste di cessate il fuoco declamate alla finestra. Altra tensione si sedimenterà su quella già in campo. Forse dazi incrociati. Forse sanzioni a livello globale. Forse un primo, vero stress test per i Brics e la loro credibilità come alternativa al G7?
Comunque sia, stiamo entrando in un uncharted territory dal grado di instabilità pari al C4. Ciò che stupisce, è la strana rapidità di reazione degli Usa. In tempo reale. Armi. E non solidarietà. Addirittura, il Pentagono sarebbe pronto a spostare truppe e navi già presenti nell’area. War games. Ma come, Israele necessita di armi? Quale tipo di conflitto intende intraprendere, quindi, stante gli arsenali di tutto rispetto di cui già dispone da sempre? E il supporto aereo e navale Usa, a cosa servirebbe? A colpire Gaza, di fatto il territorio di addestramento storico delle truppe con la stella di David? Ricordate l’Operazione Piombo fuso e le immagini dei sequestri durante i rave nel deserto vi hanno già azzerato per bene la memoria? Il nuovo 11 settembre.
Guardate questo grafico: storicamente l’aumento degli articoli di stampa dedicati al soft landing dell’economia è prodromico del contrario. Ovvero, recessione garantita alle porte. Solo il biennio 2000-2001 (bolla tech e 11 settembre) aveva eguagliato l’attuale copertura mediatica in tal senso. E solo nel gennaio del 2001, il Treasury Usa a 3 mesi prezzava il 5,63% di rendimento. Stesso yield toccato venerdì scorso alla chiusura settimanale di contrattazioni.
Cari lettori, Israele è uno Stato basato su intelligence e sicurezza. Lancia missili che entrano dalla finestra del bagno di una casa al terzo piano di una palazzina, centrando l’obiettivo mentre è sulla tazza. Impossibile che non abbia avuto sentore di quanto stava muovendosi sottotraccia. A ridosso. E dentro i suoi confini. E ora guardate quest’ultimo grafico.
Sempre venerdì, prima del nuovo 11 settembre, le perdite su assets held-to-maturity delle banche Usa hanno sfondato il record assoluto di 400 miliardi. Ovvero, assets detenuti a bilancio fino a scadenza che, in base ai nuovi valori imposti dai bagni di sangue di questo ultimo periodo, generano perdite non ancora contabilizzate. Ma reali. A meno di una sterilizzazione d’urgenza e poco ortodossa. Ma rispetto alle perdite potenziali dell’intero sistema legato ai giochini di arbitraggio sui rendimenti dei Treasuries, si tratta di briciole. BRI-CIO-LE. Il mondo stava per affrontare una colossale margin call da trilioni di dollari, per caso? La giornata di ieri sarebbe potuta passare alla storia come un altro Black Monday sulla controparte, piuttosto che vedere il mercato spaventato da uno scenario di guerra potenzialmente totale ma con addentellati macro e, soprattutto, con istituzioni e Banche centrali in anticipo di 48 ore su possibili sell-off?
Questa è la prima e ultima volta che mi occupo dell’argomento. Anche perché, scripta manent e archivio galantuomo, ho cominciato a fine maggio a mettervi in guardia su quale sarebbe stato il copione in vista dell’autunno. Se volete, pensateci su. Riflettete. Altrimenti, prendete i pop-corn e godetevi l’ultima versione aggiornata dello scontro di civiltà. Ma preparatevi anche alla vendita della nuda proprietà di entrambi i reni per pagare le bollette, questo inverno. Ma se uno teme l’arrivo di Hamas e degli ayatollah in Piazza San Babila o a Largo di Torre Argentina, mica ci fa caso.
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