Scarseggiano le armi, stante i continui rifornimenti all’Ucraina. Poco male, l’industria bellica si metterà al lavoro e ne produrrà altre. Anzi, tutto moltiplicatore del Pil. Benedetto sia negli Usa che in Europa. Ma scarseggiano anche i medicinali. E qui, forse, la questione è differente. Chiunque in questo periodo abbia avuto a che fare con sintomi influenzali più o meno gravi e si è recato in farmacia, ha fatto i conti con prodotti sempre meno disponibili.
Quelli da banco, quelli che non necessitano di ricetta, quelli di uso più comune. Per curare una banale influenza, appunto. Ma è influenza o Covid? E qui la questione cambia. E anche il rimedio. E il prezzo. E la ricerca. E il ricavo. Da inizio anno, il titolo Bayer ha guadagnato oltre il 14%. Già oggi questo grafico appare datato, poiché l’azione viaggia sopra i 56 euro.
Il motivo? Non cercatelo nell’aspirina. Come d’altronde verrebbe naturale fare, vista l’azienda in questione e il periodo dell’anno tipico da malanno stagionale. Bayer ha spiccato il volo da quando Bluebell Capital Partners, proprio il fondo che scoperchiò il tafanario di Mps, ha reso nota la sua volontà di creare una posizione di tutto rispetto nell’azionariato del gigante tedesco, in caso quest’ultimo desse vita a un breakup fra la divisione farmaceutica e quella di cura e tutela delle colture agricole. Prima di Bluebell era stato il fondo Elliott, proprio quello del Milan, a spingere per una svolta in tal senso. Farmaci da una parte, diserbante dell’altra. A detta del fondo di Giuseppe Bivona, una mossa simile potrebbe garantire fino a un upside del 70% per gli azionisti.
Esiste una correlazione diretta fra questa dinamica sottotraccia e la scarsità di medicinali in farmacia? Quasi certamente, no. Almeno non immediata. Ma occorre riflettere su come il Covid abbia generato una weaponization del comparto farmaceutico, esattamente come avvenuto con gas e petrolio. E di come la crisi ucraina abbia esacerbato il trend a livello di materie prime agricole e conseguentemente alimentari, altresì divenute armi finanziarie e geopolitiche. Nulla accade per caso. E se un fondo come Bluebell Capital Partners arriva a rendere palese una proposta indecente simile verso un colosso come Bayer e non una blue chip di belle speranze del comparto, allora stiamo certi che il piatto è di quelli enormi. Paradossalmente, persino maggiore della guerra e del warfare. Perché la fame e le malattie possono durare per sempre, volendo. E senza dare nell’occhio o creare disturbo, silenziosamente. Salvo poi tramutarsi in crisi tout court, quelle che ciclicamente fanno comodo al sistema.
Qualche giorno fa, un grande quotidiano italiano dedicava l’approfondimento economico della sua firma di punta all’ipotesi di soft landing per l’economia Usa. Ovvero, evitare la recessione grazie a un atterraggio morbido dalle vette dell’inflazione, ora in apparente calo dai massimi. Bene, questo grafico rappresenta il quadro composito dei dati industriali statunitensi pubblicati mercoledì e raccolti nell’indice delle cosiddette sorprese economiche di Bloomberg.
Un bagno di sangue, per tutte le voci, dalla produzione industriale alle scorte all’utilizzazione di capacity. Insomma, la realtà pare voler smentire l’aspettativa. O, forse, il wishful thinking auto-alimentante. Lo stesso che, ad esempio, sempre mercoledì ha visto lo spread fra Btp e Bund decennali scendere a piombo in area 170 punti base. Tutti prezzano Banche centrali meno aggressive. E se il nostro differenziale sembra incorporare nel suo premio di rischio un aumento di 50 punti base a febbraio e poi uno stop, ecco che questo altro grafico mostra come, nonostante il massacro macro appena andato in onda, il mercato dei futures sconti una Fed che metta in pausa i rialzi da maggio e che, soprattutto, subito dopo cominci un massiccio ciclo di tagli al costo del denaro. Un vero e proprio pivot.
E la ragione sta tutta in questo ultimo grafico, poiché la curva dei rendimenti più sensibile ai timori di recessione, quella fra carta a 3 mesi e 10 anni, oggi è al massimo record dell’inversione, addirittura 130 punti base!
Come si possa parlare o anche solo ipotizzare teoricamente un soft landing con condizioni simili appare quantomeno oscuro. Perché qui non parliamo di indicatori meramente finanziari come il Libor ai massimi storici di cui abbiamo discusso ieri, bensì di carne e sangue macro dell’economia. Cosa c’entra questo con la questione dei farmaci? Semplice, nulla è più quello che appare. Il mercato viaggia in parallelo rispetto alla realtà e, soprattutto, lo fa seguendo pericolosamente quelle che appaiono mere speranze auto-alimentanti. Tutto fa riferimento ad aspettative, mentre la realtà va in direzione opposta. E sparge dense colonne di fumo per evitare che i giochi reali vengano in superficie troppo presto.
Come ho già detto nei giorni scorsi, paradossalmente quel calo record dello spread deve preoccupare, perché rappresenta lo stigma della nostra dipendenza totale dalla Bce. Esattamente come le elucubrazioni di soft landing statunitense a fronte di dati macroeconomici e industriali che spingono la curva dei rendimenti reali a gridare recessione, così il nostro mercato secondario sconta in tempo reale l’aspettativa/speranza di una Lagarde che realmente a marzo fermi tutto. E, magari, entri in scia di una Fed che, futures alla mano, al prossimo meeting di Jackson Hole potrebbe annunciare l’arrivo del taglio progressivo dei tassi.
E se così non fosse? E se esistesse una strategia precisa, una creazione artificiale e mediatica di aspettativa che venisse disattesa dai fatti ai prossimi board della Bce? Dove andrebbe a finire il nostro spread, praticamente a tempo zero? E se l’Italia fosse l’accident waiting to happen necessario a tramutare in realtà la speranza di questi giorni di una Bce meno aggressiva e anzi pronta a nuova espansione? Non a caso, l’accelerazione sulla ratifica del Mes è stata silenziata in maniera totale dai media. Per tornare alle vecchie abitudini, occorrono un alibi e un conseguente shock. E l’Italia pare presentare il profilo perfetto in tal senso. Esattamente come Bayer, capace di macinare aumenti a doppia cifra da inizio anno, ma quasi unicamente sull’aspettativa di quel breakup gettato sul piatto da Bluebell Capital Partners. E se non avvenisse quella divisione tra divisione farmaceutica e agro-alimentare? E se qualcuno, magari, stesse preparandosi a una scommessa al ribasso che rinverdisca i fasti del tonfo (inaspettato) post-acquisizione di Monsanto? Attenzione, perché stavolta non solo tout se tient. Ma, soprattutto, veramente nulla è come appare.
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