Premessa, più che doverosa: questo articolo è stato scritto prima che l’Eurogruppo di ieri assumesse e comunicasse qualsiasi decisione riguardo la risposta da mettere in campo a livello Ur per contrastare l’impatto economico della pandemia. Quindi, prescinde da ogni potenziale conclusione o ulteriore rinvio. Magari, la Germania avrà ceduto e concesso i “coronabonds” con limitazioni di emissione e scadenza a breve termine. O forse l’Italia avrà accettato l’attivazione senza condizionalità del Mes. Oppure ancora ci si sarà affidati alla Beo, optando per un compromesso che garantisse un bel calcione al barattolo. Non è mio compito quello di ragguagliarvi su cose che troverete, in tutte le salse e declinazioni, raccontate pressoché ovunque, dai giornali ai tg, dai talk-show ai siti di informazione fino ai blog. Io voglio dirvi solo una cosa oggi, un qualcosa che prescinde dall’emergenzialità del momento e di cui dobbiamo però prendere atto. Poiché prima lo faremo, meglio sarà: l’Italia è comunque arrivata a un capolinea che impone un ripensamento totale. E un reset di quelli storici. Non a caso, Mario Draghi sembra in rampa di lancio per governare questa stagione senza precedenti per la nostra economia, paragonabile senza tema di smentite al Secondo dopoguerra.



Solitamente vi invito a guardare con attenzione i grafici che pubblico, oggi invece ricorro alla formula più assertiva dello stamparli e attaccarli con un bel magnete al frigorifero di casa: sono questi due e da soli spazzano via giorni e giorni di idiozie relative alla volontà europea di soggiogare il gigante italico, sfruttando il suo temporaneo momento di debolezza.



Ci mostrano come la Bce stia schermando il nostro debito in seno al nuovo programma Pepp, quello appunto designato ad hoc per il contrasto della pandemia: a marzo l’Eurotower ha acquistato bond per 66,5 miliardi complessivi contro i 23,4 di febbraio. Non si arrivava a livelli simili dalla fine del 2017. Ma è il secondo grafico a interessarci direttamente, poiché se da un lato conferma ciò di cui vi parlavo già due settimane fa (ovvero, il fatto che la BceE abbia mandato temporaneamente in soffitta la regola aurea della capital key relativa agli acquisti di debito sovrano pro quota attraverso le varie Banche centrali nazionali, uno smacco per la Bundesbank), dall’altro mostra plasticamente chi sia stato il beneficiario principale dei primi due giorni di acquisti del nuovo programma Pepp: i nostri Btp. Il nostro spread. Il nostro costo di servizio del debito. Di fatto, la stabilità e sostenibilità stessa dei nostri conti pubblici.



Ricorderete come la settimana scorsa, sottolineai la timidezza dei tecnici del Tesoro nel mettere in asta un ammontare minimo di 1,5 miliardi di euro per l’emissione di Btp a 10 anni, tanto che infatti la domanda reale fu poi pari a 2,4 miliardi. Sintomo chiaro di due cose: primo, mancanza totale di fiducia nelle mosse del Governo da parte di chi opera con i numeri e non con le chiacchiere. Secondo, attesa per vedere se la Bce sarebbe davvero passata dagli annunci ai fatti. Ed ecco che, all’asta prevista per domani, il Tesoro pare aver rotto gli indugi, ben conscio che lo schermo garantito dalla Bce fino a fine anno in corso va sfruttato al massimo per emettere più debito possibile con maturazione massima: fra 24 ore, a Roma andrà in asta un controvalore record di 9,5 miliardi di euro in Btp a 3, 7, 15 e 30.

Ma non basta. Stando a calcoli di Unicredit Research, da qui a fine anno (ovvero, nel medesimo arco temporale garantito e schermato dagli acquisti della Bce), l’Italia dovrà emettere debito per un controvalore compreso fra 121 e 158 miliardi di euro: e chi lo acquisterà, al netto di banche e assicurazioni? L’Eurotower. Garantendoci ossigeno, ancorché la metafora appaia fuori luogo in questi giorni di emergenza sanitaria. Ma tremendamente efficace e reale: siamo come un paziente che ha avuto la “fortuna” non solo di trovare un letto in terapia intensiva, ma anche nel nosocomio migliore e con i medici più preparati in assoluto. Siamo lì, attaccati al respiratore di Francoforte. Inutile negarlo, perché ormai il redde rationem è arrivato. Dove sarebbe, già oggi, il nostro spread senza gli acquisti della Bce?

E attenzione, quel picco all’insù rappresentato nel primo grafico contempla solo due dei quattro giorni di operatività allargata in seno al nuovo Pepp: è un vero e proprio bazooka. Il quale non solo garantisce l’effetto front-load grazie agli acquisti reali, al netto del renivestimento titoli già in detenzione ma opera in modo ancora più fondamentale come back-stop, ovvero lo spaventapasseri della speculazione. Perché per quanto uno possa amare il rischio, nessuno è così pazzo da andare contro al trend innescato da volumi di acquisto come quelli messi in campo dalla Bce. Nessuno.

Attenzione, però: quello scudo dell’Eurotower non sarà eterno. Durerà certamente fino a fine anno, magari verrà esteso con qualche forma di tapering fino alla primavera del 2021, ma poi ognuno dovrà tornare, più o meno, a camminare con le proprie gambe: l’Italia ce la farà, da sola? Molto dipende da come spenderemo i soldi che l’emergenza ci permetterà di mettere in campo, senza vincoli comunitari o rischi di procedure di infrazione. Ma voi le avete lette le stime dell’Istat e di Confindustria rispetto al calo atteso del Pil italiano per quest’anno? A fronte di un -6,5% a livello europeo, il nostro tasso di crescita è visto al -15% dagli analisti di viale dell’Astronomia. Pessimismo strumentale a una drammatizzazione della situazione che obblighi palazzo Chigi a scendere a patti con l’Europa ed evitare inutili e controproducenti crociate contro Bruxelles, anche alla luce dell’operatività salvifica della Bce? Più che probabile. Resta il fatto che, nella migliore delle ipotesi, un -10% è già scritto e garantito. Insomma, le risorse pur ingenti che il Governo ha annunciato lunedì sera (sottolineo, annunciato, poi occorrerà vedere la messa in pratica del piano) serviranno solo a tamponare quel fall-out devastante, non certo a creare condizioni di ripartenza e crescita. Per quelle servirà appunto il reset, quello epocale. Quello che, certamente, non potrà essere gestito da un Governo e una maggioranza simili.

Servirà un esecutivo con un profilo altissimo e una credibilità internazionale – europea, in testa – senza precedenti: di fatto, lo abbiamo già pronto. L’ineluttabilità di un governo Draghi, infatti, rappresenta ormai il più classico dei segreti di Pulcinella. Credete però che si potrà andare avanti come fatto finora, a colpi di redditi di cittadinanza, quota 100, mancette elettorale, mantenimento in vita di carrozzoni decotti come Alitalia e costi faraonici del sistema statale, a fronte di conclamata inefficienza e spreco? Scordatevelo. Perché il Governo che verrà, una volta passata la bufera del virus, agirà esattamente con il piglio che finora abbiamo contestato all’Europa: ovvero, in punta di rigore dei conti. Altrimenti, signori, sarà default. La magnitudo e la rapidità dell’intervento messo in campo dalla Bce nei confronti del nostro debito lo conferma: senza lo scudo di Francoforte, un altro 2011 era alle porte. Questa volta, prima dell’estate e senza bisogno di letterine. Quindi, per favore, finiamola con le idiozie dell’Italexit paventato come spauracchio e con le frasi a effetto contro la Germania e l’Europa che ci vogliono depredare: stanno tenendoci in vita, signori miei. E umiliante ammetterlo, ma è letteralmente così. Lo conferma la scelta operata dal Tesoro per l’asta di domani, in netta controtendenza di sentiment rispetto a quella di solo una settimana fa. O pensate forse che in via XX Settembre l’ottimismo lo abbia portato la conferenza stampa di Giuseppe Conte, affiancato dal ministro Azzolina?

Il nostro fallimento o la nostra potenziale rinascita dipende solo da noi. E, soprattutto, dalla presa d’atto di una realtà tanto sgradevole, quanto innegabile: se siamo ridotti con una ratio debito/Pil ormai insostenibile sul libero mercato del finanziamento e gestibile unicamente attraverso il respiratore della tanto vituperata Europa (leggi, Bce) e dei suoi programmi di sostegno non è colpa dei falchi tedeschi od olandesi, ma delle classi dirigenti di questo Paese, almeno dagli anni Ottanta in poi. E colpa dei baby-pensionati, dei furbetti di ogni genere e risma, degli sprechi, degli assenteismi di massa, dell’oppressione fiscale verso un’impresa privata che da sola mantiene miracolosamente dritta – per quanto possibile – la schiena di un Paese sclerotizzato e ancora prono a logiche come quelle delle serrate agostane di massa o delle contrattazioni su base nazionale, degne di un film d’antan con il compianto Gian Maria Volontè. Il mondo è cambiato, dobbiamo farlo anche noi.

L’alternativa? Il fallimento. E non per colpa dell’Europa. Altrimenti, in questi giorni lo spread sarebbe già a 400. E il conto alla rovescia verso il nuovo 2011, iniziato. Stampate quei due grafici e attaccateli al frigorifero: vi serviranno come bagno di realismo, ogni volta che in tv sentirete blaterare di Italexit o sovranità monetaria e autarchia economica. E poi, scusate, siate sinceri: se voi foste contribuenti tedeschi od olandesi, accettereste gli eurobonds, stante l’atteggiamento in ambito economico e fiscale delle classi dirigenti italiane degli ultimi cinquanta anni? Io no. E sarei pronto alle barricate per scongiurarli.

P.S.: L’ultimo intervento temporalmente consentitomi all’articolo, non a caso sotto forma di post scriptum, non mi ha offerto spunti credibili rispetto ai lavori e alle conclusioni dell’Eurogruppo. In compenso, ho fatto in tempo a prendere atto dell’ultimo mossa – definita “senza precedenti” dalla stessa Bce nel suo comunicato – messa in campo dall’Eurotower “al fine di mitigare la contrazione delle condizioni finanziarie all’interno dell’area euro”.  Di cosa si tratta? Di un intervento definito “temporaneo” (resta da capire però per quanto durerà questo arco di tempo e immagino per parecchio) sulle condizioni di accettazione del collaterale in seno a operazioni di finanziamento, un “aumento della tolleranza verso il rischio per supportare il flusso di credito verso l’economia”. Di fatto, un taglio netto agli haircuts applicati su determinate categorie di collaterale e, soprattutto, l’ammissione a pieno titolo degli strumenti di debito sovrano greco come collaterale per le operazioni creditizie in seno all’Eurosistema.

Ma non basta, perché la stessa Bce annuncia che “implementerà nuove misure per mitigare temporaneamente gli effetti della vulnerabilità di controparte in caso di downgrade del rating”. Insomma, Francoforte offre schermatura totale ai debiti più deboli e attaccabili. Traduzione della mossa? Mario Draghi ha scritto il compitino e Christine Lagarde l’ha diligentemente portato a termine. Ma attenzione, perché la positività della mossa nasconde anche una rivelazione di fondo che fa diretto riferimento al mio interrogativo sul “dopo” manovre di stimolo e difesa dell’Eurotower. La Bce, infatti, agendo in questo modo ammette anche implicitamente con i mercati la sua presa d’atto del continuo deterioramento del valore degli assets europei, i quali sono sì una ricchezza per chi li detiene ma anche una liability potenziale per qualcun altro, come palesa il riferimento diretto al rischio di controparte. Insomma, Francoforte con questa mossa prevede nuovi tonfi e pesanti tensioni e quindi opera affinché si creino le condizioni per cuscinetti di ammortizzazioni sufficientemente ampi da evitare nuovi 2011 nei Paesi più a rischio. Italia in testa.

Insomma, attenzione a vedere solo in positivo la luce che si palesa fioca in fondo al tunnel. La possibilità che si tratti di un treno che arriva in direzione opposta alla nostra non è ancora scongiurata del tutto. Nel frattempo, fate leggere queste righe a qualche genio che invoca l’Italexit o il cambio di governance dell’Ue e soprattutto della Bce.

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