Dunque, l’ultima vulgata – come vi dicevo sul finale del mio articolo di ieri – è che la notte fra giovedì e venerdì, il mondo è stato per alcuni minuti sull’orlo della guerra. Roba da film di Hollywood, da War games o Thirteen days. Salvati all’ultimo momento dal baratro, materiale di propaganda per il quale i media impazziscono. E l’opinione pubblica si beve la notizia come una bottiglietta d’acqua fresca che compare miracolosamente nel mezzo del deserto algerino. D’altronde, il potere Usa, quello vero, ha sempre utilizzato Hollywood quando serviva. Lo ha fatto Reagan con la saga di Rambo o il patriottismo glamour di Top gun, lo ha fatto a piene mani Bush junior dopo l’11 settembre con film tipo Al vertice della tensione. È un classico. Ma che funziona sempre. Pensate che da qui a un paio d’anni, Netflix non darà vita alla mini-serie “La notte in cui il mondo sfiorò l’apocalisse”? Illusi.



Stando alle cronache ufficiali, dopo l’abbattimento del drone statunitense da parte dei pasdaran, Donald Trump aveva ordinato un attacco ritorsivo contro installazioni in Iran, salvo annullarlo all’ultimo minuto, proprio all’alba di ieri. Magari è stato anche vero (ne dubito, fortemente), ma non importa: l’importante è che sembri vero. Anzi, che venga ritenuto, percepito e intuito come vero. Il resto è contorno. Perché lo dico? Perché è la chiave della fase terminale del periodo di follia collettiva iniziato con il referendum sul Brexit e culminato con l’epopea dei “gilet gialli” e il voto europeo di fine maggio, siamo ai fuochi d’artificio che anticipano la fine dei festeggiamenti. La follia è andata in scena, ora può cominciare il morphing in seno all’opinione pubblica, ora la richiesta di normalizzazione, di credibilità, di buon senso, del rassicurante “loden di Monti” – per usare una metafora che ci è familiare – può entrare in scena, come il vendicatore o il principe azzurro in vista dei titoli di coda.



E vale per tutto, dalle dispute geopolitiche con annesso e utilissimo incubo nucleare alla Dottor Stranamore fino alle manovre da gioco delle tre carte nelle stazioni ferroviarie delle Banche centrali: siamo dentro un enorme Truman Show mischiato malamente con Matrix. Più che altro, siamo dentro una proiezione. Quando finirà? Novembre 2020, quando l’America sceglierà il suo Presidente. Fino ad allora, prepariamoci a fuochi d’artificio più o meno sorprendenti.

Guardate questi grafici, i quali parlano chiaro. Tre anni di amministrazione Trump hanno portato in dote solo due risultati: mercati da record, quindi un enorme favore a Wall Street che un qualunque Presidente “normale” non si sarebbe potuto permettere di fare dopo il 2008, e trionfo delle fake news come nuova categoria politica e arma di propaganda. Anzi, come ci mostra il primo grafico, la creazione del nuovo mostro quotidiano da combattere, dopo che l’Isis ha definitivamente perso di appeal e credibilità. Oggi, stando all’ultima rilevazione Gallup, lo statunitense medio ha più paura delle cosiddette fake news dei mezzi di comunicazione che del terrorismo. Il nuovo nemico, oltretutto meno costoso, imbarazzante e letale, è servito. La nuova paura quotidiana con cui convivere e da cui trovare qualcuno che ci difenda, è pronta all’uso. E all’abuso.



E il secondo grafico ci mostra come il capolavoro dell’amministrazione Trump sia totale, visto che la polarizzazione all’interno dell’opinione pubblica americana non è mai stato tanto ampio, rispetto alla percezione delle realtà, intesa come comunicazione delle notizie da parte dei media. Come vedete, nella Gran Bretagna post-Brexit, altro palcoscenico da Oscar delle fake news in serie, il gap nella percezione fra elettori/cittadini di destra e sinistra si è ristretto, dopo la Santabarbara di idiozie ideologiche spuntate come funghi prima e dopo il referendum. Negli Usa invece no, la divaricazione è cresciuta. Polarizzazione totale: i Democratici credono ai media, i Repubblicani li ritengono invece come il loro Presidente li descrive ogni giorno nei tweets. Dei falsari di verità, spacciatori di fake news.

E quando puoi godere di un’opinione pubblica così fanatizzata, spaccata, ideologizzata e schierata acriticamente, il tuo lavoro è decisamente facilitato. Puoi giostrarti come vuoi gli scandali tipo il Russiagate, puoi millantare miracoli economici quando invece stai solo salvando Wall Street e i suoi bonus, arricchendo i già ricchi con lo shock fiscale, puoi narrare di guerre sparse nel mondo in nome della primazia americana e della libertà, dal Venezuela fino all’Iran e alle isole del Mar Cinese del Sud. Puoi tutto, perché sai che quello che era solo un dubbio instillato, ora per una larga fetta di elettorato/cittadinanza è realtà. La tua realtà, piegabile e aggiustabile alla bisogna. E qual è la grande priorità, oggi? Davvero pensate sia la disputa con l’Iran? Davvero pensate siano i dazi sui frigoriferi e le t-shirt “made in China”? O, forse, la questione reale è davvero la sopravvivenza del dollaro come valuta benchmark in un mondo che, dopo il 1989, gli Usa pensavano davvero divenuto unipolare e sotto la loro influenza diretta?

Perché già un duopolio, quello con la Cina, può dare noia a certi ambienti d’Oltreceano. Pensate un triumvirato, visto che non solo l’Ue rappresenta il mercato più grande al mondo, ma l’euro ha un peso sempre più determinante nei commerci e nelle transazioni internazionali. Ed ecco allora che, dopo settimane e settimane di schermaglie tattiche, quando Mario Draghi decide che è ora di muoversi per evitare di essere presi in pieno dal treno in corsa (come nel 2008, come nel 2011), i piani saltano. Così come i nervi all’inquilino di Pennsylvania Avenue. Il quale combatte sì formalmente contro la Cina, ma semplicemente perché sa che quello è un nemico gestibile e, in qualche modo, utile nel breve-medio periodo. L’Europa no, quella va messa sotto i tacchi subito. Perché non campa di sovra-produzione di beni da quattro soldi. Perché non esporta deflazione. Perché non è basata su un schema Ponzi debitorio spacciato per crescita economica. Perché non ha un mercato azionario totalmente manipolato e in bolla strutturale. E, soprattutto, per questo: perché in quella che gli Usa pensavano fosse una triangolazione di interessi che vedesse, alla fine del primo round, proprio l’Europa al tappeto, tramutando il combattimento in un duello a due con Pechino (dopo che l’unione delle forze sino-americane avesse steso il terzo e più aggressivo contendente, cioè l’Europa), alla fine l’export europeo è uscito tutt’altro che ridimensionato. Anzi, vincente.

E, paradossalmente, il colpo finale ai nervi e ai piani degli americani è stato il rocambolesco e un po’ raffazzonato memorandum con la Cina firmato a Roma a fine marzo. Non a caso, totalmente di ispirazione leghista, prima della folgorazione di Matteo Salvini sulla via di Washington e quando le scelte geostrategiche erano ancora intonate con quelle, almeno in parte, del Cremlino. Per questo, come vi dico da giorni, il nostro aver tenuto il piede in almeno tre scarpe, tranne che in quella naturalmente della nostra taglia dell’Unione, potrebbe oggi complicare non poco il nostro futuro. Qualsiasi governo guiderà il Paese, da qui alla data del 2022, quando il cambio della guardia al Quirinale potrebbe sancire davvero la nascita della Terza Repubblica.

Signori, viviamo in un mondo di realtà parallele e percezioni, provocazioni continue e conflitti proxies in ogni dove. Imparate una volta per tutte a leggere fra le righe e a guardare cosa si muove controluce sotto il pelo dell’acqua, perché realmente – ormai – il 70% abbondante di ciò che vediamo e sentiamo è falso. O, ancora più pericoloso, meramente verosimile. La battaglia in sede europea di queste ore sarà un banco di prova reale di come i corpi intermedi e i pochi poteri forti rimasti nel nostro Paese vorranno posizionarsi nel Risiko più importante dal Secondo dopoguerra a oggi, un secondo 1989 con implicazioni di lungo termine se possibile ancora più vincolanti e dirimenti.

Il margine di errore consentito scende di giorno in giorno. Obiettivo finale, lo zero. Quando ogni singola mossa potrebbe essere l’ultima. Preparatevi ad accelerazioni inaspettate ed epiloghi con colpi di scena stile serie televisive. Ormai, è una fiction. Il cui unico scopo è dipanare più di una trama, per giungere a quella maggiormente gradita dai manovratori. A voi capire chi siano e quali piani abbiano in serbo.