Mi scuserete se per oggi non parlerò di massimi sistemi economico-finanziari. Niente Fed o Bce, niente Pboc o criticità sulla supply chain, niente inflazione, Qe perenne o tassi di interesse. Per un giorno, restiamo con i piedi ben piantati per terra. Anzi, nel territorio. Termine quest’ultimo che, in ambito economico, ha assunto quasi una valenza mitologica. Eppure, è semplice: la carne e il sangue del quotidiano, aziende e lavoratori, fatturato e utili, risparmi e prestiti, credito e debito.
Il tutto, questo sì, in un contesto che da un certo punto di vista mantiene ancora un profilo umano rispetto ai giochi da grandi dei conglomerati e dei gruppi bancari, ormai più a loro agio con i trading desks che con le partite Iva. Non a caso, il Paese sta come sta: o ti trasformi nella Francia della grande industria e allora puoi fare banca d’investimento oppure l’ibrido in cui viviamo da decenni sta portandoci al declino.
Sono due le notizie che mi hanno suggerito la riflessione di oggi. Mercoledì prossimo, 15 dicembre, l’ad delle Generali Philippe Donnet – sostenuto da Mediobanca per il rinnovo al vertice – alzerà il sipario sul piano industriale del gruppo fino al 2024. In sé, atto formale. In realtà, potenziale data dello showdown nella battaglia che vede il tandem Del Vecchio-Caltagirone fermamente intenzionato a disarcionare il numero uno e cambiare volto al Leone di Trieste. I ben informati fanno sapere che al centro della strategia che Donnet illustrerà alla platea ci sarà il nodo-obiettivo del risparmio gestito. Ovvero, proprio l’argomento principale dei cahiers de doléances dei suoi due antagonisti, pronti a rinfacciare l’immobilismo di Generali verso occasioni presentatesi nel settore come Pioneer, Anima e Finanza&Futuro, terminati poi nelle mani dei competitor Amundi e Zurich, fino al caso eclatante proprio di Banca Generali, finita sulla lista di vendita del gruppo e salvata dall’opposizione di Caltagirone e Del Vecchio.
Di fatto, Donnet sconterà le colpe storiche di Mediobanca. Capro espiatorio di una strategia ritenuta miope, non foss’altro perché Mediobanca fu proprio advisor di Amundi nell’affaire Pioneer del 2016 e più recentemente ha perduto la corsa contro Zurich per Finanza&Futuro. Insomma, una resa dei conti in vista di quella (definitiva) della prossima primavera. Inutile negarlo, chi controlla Generali controlla la cassaforte dei Paese. Ma in base a un interessato misunderstanding: alla base di tutti i giochi, c’è solamente un enorme Sole cui graviterà attorno tutto il resto. Ovvero, il debito pubblico.
Trieste deve rimanere l’occulto prestatore di ultima istanza del Tesoro, di fatto una dépendance di Bankitalia, a sua volta broker della Bce. La questione del risparmio gestito, nei fatti, appare un falso problema. Quantomeno, in questo momento storico. Il Pepp che finora ha garantito spread sotto controllo sta per finire. Sicuramente, lo farà nei controvalori record attuali. Rimarrà lo scudo, ma, stante l’inflazione, decisamente ridimensionato, quantomeno per tacitare le proteste di chi a Francoforte vorrebbe addirittura cominciare una discussione sulla normalizzazione graduale dei tassi. Probabilmente – come ha lasciato intendere Reuters nel suo retroscena – si opterà per una modifica dei criteri di reinvestimento titoli da parte della Bce, un allungamento dei tempi che si baserebbe su un non meglio precisato concetto di flessibilità di allocazione geografica. Di fatto, un Qe a due velocità. Focalizzato quindi sulle necessità congiunturali dei vari Paesi.
Ovviamente, lo scenario appare chiaro fin da ora: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia dovranno lottare per ottenere il massimo di bazooka ancora disponibile, mentre il fronte dei falchi giocherà la sua partita di rimessa, puntando tutto sull’attesa e il contropiede. Attesa di cosa? Ovviamente, l’unica partita che realmente conta: quella sulla revisione del Patto di stabilità. Per questo, oggi più che mai, qualcuno ritiene che il Paese necessiti come l’aria di un soggetto forte, solido e di chiaro riferimento per le detenzioni di Btp: nemmeno a dirlo, Generali. Eppure, il mercato nazionale ha già inviato segnali in controtendenza. Ad esempio, nell’agosto del 2020 Unipol ha annunciato la riduzione delle sue detenzioni di Btp, facendo riferimento al più classico e sacrosanto dei principi: diversificazione in nome dell’interesse del sottoscrittore. Ovvero, se gestisco risparmio devo farlo in nome del cliente e non dello Stato. Ovviamente, questo in punta di principio. Come si operi in Italia in tal senso, è noto: non a caso, il nostro Paese ha dato i natali al concetto stesso di doom loop fra sistema bancario e Tesoro.
Quel segnale inviato da Unipol fu una sorta di sottovalutato Big Bang. Ovvero, non è più tempo di mucche da spread. Vogliamo invece tramutare ufficialmente Generali in un’enorme stalla, con tutti i rischi che un’operazione simile comporta in periodo di totale incertezza rispetto all’operatività futura della Bce? Vogliamo bruciare il Leone, rendendolo succulenta preda ferita dopo una breve e un po’ macchiettistica stagione di ritrovato orgoglio patria dopo troppa grandeur? E il Patto del Quirinale, dove lo mettiamo?
Ed ecco che in un orizzonte così delicato di equilibri economico-finanziari e politici, si staglia invece all’orizzonte un’operazione di risiko bancario territoriale che ha il sapore del mero atto di mercato: la Cassa di Risparmio di Bolzano (Sparkasse), socia della Banca di Cividale (ultima banca friulana) con una quota del 17,09%, ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto sul restante 82,91% di CiviBank. L’Opa prevede un corrispettivo in denaro pari a 6,50 euro per azione, prezzo che incorpora un premio del 22,64% rispetto a quello di riferimento delle azioni ordinarie di CiviBank al 3 dicembre 2021, oltre che sui Warrant. Di fatto, stiamo assistendo ai prodromi della nascita del primo polo bancario indipendente del Nord-Est, uno dei territori più ricchi e produttivi d’Italia. E patria anche del Leone di Trieste.
Cosa rende interessante quanto sta accadendo, al netto della collocazione geografica? Il fatto che l’Opa sia scattata a due mesi esatti dal completamento dell’aumento di capitale di Civibank da 50 milioni di euro, brillantemente gestito dalla presidente del gruppo, Michela Del Piero. Direte voi, in Sud Tirolo piace vincere facile: Bolzano, forte di una condizione creditizia ultra-solida, ha atteso che Cividale completasse il suo processo di auto-risanamento e rilancio e poi si è lanciato sul boccone, pur offrendo un discreto plus sul prezzo. No, la questione è altra: la scarsa adesione del territorio a quell’aumento di capitale. Tradotto, il Friuli non vuole una banca che sventoli bandiere e scavi trincee, vuole una banca che generi utili e, soprattutto, faccia realmente la banca dell’ultimo miglio. Gestendo risparmio ed erogando credito a famiglie e imprese: sono gli attivi a parlare, in questo caso. E non le riedizioni un po’ sbiadite di un malinteso senso di orgoglio territoriale che in realtà rischia di essere percepito unicamente come perpetuazione del sistema esistente. I casi Siena, Bari e Zonin parlano chiaro. Sparkasse ha un progetto, chiaro. E decisamente vincente. Non a caso, a oggi una manager di livello assoluto come Michela Del Piero ha fatto tutto tranne che alzare barricate preventive. Attende, forte di un aumento di capitale superiore alle attese ma anche conscia del fatto che il mercato – quello vero – non vive di rendite, bandierine e slogan. Ma di risultati e cifre.
Il territorio, concetto tutt’altro che mitologico, è stanco di essere mucca da spread. Quindi, evviva il matrimonio – apparentemente un po’ forzato, quantomeno a prima occhiata – fra Bolzano e Cividale, sintomo di una vitalità imposta dalla sopravvivenza che fra Trieste e piazzetta Cuccia è stata smarrita ormai irrimediabilmente in giochi di potere che troveranno il loro compimento nel probabile showdown di mercoledì prossimo in Assemblea.
Attenzione, occorre essere chiari: la Bce non è eterna e stiamo per accorgercene. Chi punta unicamente su Btp e trading desks, rischia di essere cannibalizzato nel gioco dell’Opa che partirà dopo le presidenziali francesi. Operazioni come quella sull’asse Bolzano-Cividale, di fatto, sono quindi l’equivalente di polizze assicurative sul futuro produttivo dell’economia reale, un salvagente che in caso di tempesta può non bastare. Ma garantisce almeno tempo, in attesa dei soccorsi. Altro che Pnrr e voli pindarici su fondi europei pericolosamente già iscritti a bilancio, qui è l’intero paradigma di sistema che sta cambiando. Epicentro, Nord-Est.
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