Non so voi, ma io trovo la missione di fine mandato di Mario Draghi negli Usa qualcosa di insultante. Una vera e propria mancanza di rispetto. Perché per quanto facente funzioni e, da venerdì scorso, ufficialmente indisponibile a un secondo mandato, l’ex numero uno della Bce fino alla formazione e al giuramento del nuovo Governo è tenuto a rispettare i suoi impegni. Con l’Italia. E non con gli Stati Uniti. O con l’Ucraina. La quale ha goduto come al solito di un trattamento economico speciale, a fronte delle briciole trovate per l’ecatombe nelle Marche.
Certo, quando mamma America chiama, il politico italiano medio – a prescindere dalla parte politica – batte i tacchi e corre, questo è noto. Da sempre. Ma non nel corso dell’ultima settimana di campagna elettorale e con un clima che definire rovente è dire poco, stante l’appello di Giorgia Meloni alla titolare del Viminale rispetto al rischio di un incidente di piazza ormai nell’aria. E, appunto, con un’intera regione del Paese letteralmente in ginocchio. Motivo della visita oltreoceano? Rassicurare. Chi? Ma soprattutto, da cosa? Dal fatto che gli italiani, vil razza dannata, con ogni probabilità saranno così irriverenti da votare Fratelli d’Italia?
Che fossimo una provincia dell’Impero a sovranità limitata era noto, ma ora abbiamo l’ufficialità: palazzo Chigi va a dare spiegazioni prima del voto a un Paese terzo. E c’è da sperare che si limiti a questo. Perché quella conferenza stampa dai toni così aspri, irrituali e volgari sembra spalancare le porte ad altro. Perché parlare di pupazzi prezzolati rispetto a politici che lo stesso Antony Blinken nella telefonata conclusa pochi minuti prima aveva scagionato da ogni sospetto di dazione da parte della Russia – dopo le conferme in tal senso di Copasir e Gabrielli – significa proprio voler cercare lo scontro. L’incidente. E poi, guarda caso, quel no alla possibilità di divenire nuovamente capo del governo, il cui timing sembra scelto apposta per affondare come una chiatta il Terzo Polo all’ultimo miglio dal voto e garantire al Pd un travaso di consensi in extremis. Non a caso, Enrico Letta domenica a Monza appariva ringalluzzito.
Perché è ovvio che, dopo aver lasciato gonfiare le quotazioni del duo Renzi-Calenda fino a circa l’8% con l’unica ragione sociale del Draghi-bis, togliere il proprio nome dal tavolo equivale a dire all’elettore di centrosinistra indeciso tra la casa madre e gli outsiders che il voto per questi ultimi non vale nulla. Quantomeno, se il bersaglio a cui si mirava era garantire appunto altri cinque anni ai Migliori. Insomma, Mario Draghi ha lasciato che Carlo Calenda spacciasse millantato credito per settimane e settimane, dopando i sondaggi e poi, all’ultimo e solo all’ultimo, ha deciso di smentire. Pump and dump, come in Borsa. Peccato che in Borsa, se provato, sia illegale. Strategia pura, altro che non poteva che rispondere così.
Il voto di domenica prossima è una bomba a orologeria, meglio saperlo prima ancora di recarsi al seggio. Lo dimostra, ad esempio, la ridicola narrativa riguardo il taglio dei fondi di coesione all’Ungheria, ufficializzato dalla Commissione europea proprio domenica. Per tutti, un monito ai sovranisti nostrani. E una messa in guardia agli elettori: se votate centrodestra, ecco quale futuro vi attende in Europa. Balle. Domenica l’Ue non ha fatto altro che formalizzare l’apertura di una finestra temporale di tre mesi in cui Budapest può mettersi in regola rispetto alle proprie presunte mancanze rispetto allo stato di diritto. Ovviamente, Viktor Orban ha subito rassicurato tutti: entro Natale, riforme fatte.
Capite da soli che non poteva trattarsi di chissà quali oltraggi all’umanità, se l’Ue si è limitata al solito buffetto procedurale e alla concessione dei tempi supplementari per rimediare. Ed entrando nello specifico, ecco che a Budapest vengono imputate soprattutto tre violazioni: lotta alla corruzione insufficiente, mancata tutela della libertà di stampa e di espressione e la disputa tutta ideologica riguardante le politiche di natalità. Tradotto, l’aborto.
Ora, tiriamo una bella riga sull’accaduto, schieriamo la mente e ragioniamo. Chi è capo del Parlamento europeo, supremo organo di rappresentanza popolare di quella stessa Europa che ha appena rimandato l’Ungheria in tre materie da riparare entro dicembre? Roberta Metsola, subentrata allo scomparso David Sassoli. E da dove viene? Da Malta, Paese che vanta una tradizione di richiami sulla corruzione interna da far invidia, dove ai giornalisti scomodi non vengono inviate querele ma un’autobomba e, soprattutto, dove l’aborto è illegale. E questa sarebbe l’Europa che fa le pulci sulle medesime materie all’illiberale Ungheria?
Capite da soli la ragione di quei tre mesi di sospensione del taglio al 65% dei fondi di coesione: perché l’ipocrisia regna sovrana. A Bruxelles come a Roma, dove nessuno trova poco consono un viaggio negli Usa del Premier nel pieno del caos. Non si può mancare di rispetto all’alleato atlantico per antonomasia, stante la guerra in corso in Ucraina? Benissimo. Ma servono quattro giorni, non si poteva accorciare? Serve l’intera, ultima settimana di campagna elettorale e le ore in cui sarebbe fondamentale ricordare ai marchigiani che lo Stato non li lascia soli, magari anche stanziando soldi e non solo facendo visite? Ma soprattutto, signori, guardate queste due prime pagine di domenica, le quali fanno riferimento a due testate – Il Sole 24 Ore e Il Messaggero – certamente non ostili al Governo Draghi, né tantomeno tacciabili di simpatie filo-russe.
Nel primo caso conta il titolo di apertura, nel secondo il cosiddetto titolo di soppalco. Ma l’argomento è identico: il report di Confindustria, altra organizzazione certamente non eversiva o prezzolata dal Cremlino, riguardo l’impatto della crisi energetica sull’economia italiana. Parlano i titoli: rischio di fabbriche ferme entro Natale per mancanza di metano e costi insostenibili, 582.000 posti di lavoro a rischio e, soprattutto, un impatto potenziale e in negativo sul Pil del 2023 di qualcosa come il 3,2% a causa del caro-energia. Avete sentito qualche tg o talk elettorale parlare diffusamente di questo domenica?
No, solo Ungheria e contrapposizione fra Monza e Pontida, quest’ultima definita da Enrico Letta provincia d’Ungheria. E se in tal senso, da lombardo, non posso che pensare ai tempi del Regno lombardo-veneto di dominazione appunto austro-ungarica con moto di ammirazione e nostalgia, forse mi sovviene un dubbio: il Governo dei Migliori ha millantato pesantemente riguardo agli approvvigionamenti energetici? Ha venduto la pelle di un orso mai catturato? Ma, soprattutto, sarà per questo che Mario Draghi ha deciso di passare l’ultima settimana di campagna elettorale a qualche migliaio di chilometri da Roma, mettendo fra sé e il crollo finale della sua narrativa salvifica addirittura un Oceano?
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