Goldman Sachs ha rotto gli indugi. Certo, il profilo establishment impone quel likely nel titolo del grafico. Ma in cuor loro, tutti sanno che si tratta di unicamente di un orpello.
Il dato sul mercato del lavoro Usa di mercoledì è stato solo l’ultimo tassello di un trittico macro da pelle d’oca: occupazione che flette, vendite che precipitano e domande di prestiti nel cratere dopo la crisi bancaria. E all’orizzonte, condizioni creditizie da allarme rosso. Di fatto, un amplificatore di aggravamento.
Da un lato, l’accelerante dell’incendio doloso della recessione a tavolino di cui tutti attendevano lo sversamento. Con il cerino in mano. Non fosse altro per l’ultimo omen lanciato da Bloomberg: il mercato CMBS si è totalmente fermato dopo il congelamento di metà febbraio, stop alle emissioni di debito legato al comparto immobiliare più rischioso, cartolarizzare il rischio non è più di moda. In compenso, cartolarizzare la paura sarebbe l’affare del secolo. Tic toc. Ma si sa, c’è il caso Trump. E c’è la crisi con Russia e Cina, tanto che sempre mercoledì la Premier di Taiwan era in visita a Washington per incontrare lo Speaker della Camera. In contemporanea, al vertice dei ministri degli Esteri della Nato, Jens Stoltenberg invitava a spendere di più e strutturalmente. La guerra permanente si darà il cambio con il Qe sistemico, tanto per non ripetere gli errori del passato. E certe correzioni fuori copione.
Questo grafico mostra chiaramente come il warfare sia ormai parte integrante del Pil mondiale, un degno sostituto macro in periodi di licenziamenti di massa e denaro che finisce giocoforza nei buybacks e non in CapEx o ricerca e sviluppo.
La situazione è questa. E al netto di quel likely, se Goldman Sachs mette in guardia il mercato dal rischio temporale, quasi certamente da almeno un mese nei suoi trading desk si opera con la cerata addosso e l’ombrello aperto.
E l’Italia? Nulla. Nonostante l’Istat abbia certificato un calo del potere d’acquisto dei cittadini del 3,7% nel quarto trimestre del 2022. Un’enormità. Stupisce quindi come, solo la scorsa settimana, al Mef abbiano rivisto al rialzo le previsioni sul Pil del 2023. O forse no. Forse ci si basa su altro. E non certo sulla favola ormai senza più magia, né appeal del Pnrr. Quella ormai è buona solo come alibi in lavorazione per quando partirà il blitz in sede Ue e ci ritroveremo a scegliere tra Mes e penali da pagare. Il dato Istat sottolinea, infatti, la tenuta della spesa per consumi finali (+3% in termini nominali) ma, chiaramente, accompagnata da una flessione devastante del tasso di risparmio, tale da operare un off-setting su quella lettura positiva. E spedire il dato del potere d’acquisto ampiamente in negativo. E al netto di un peggioramento del rapporto deficit/Pil dello 0,7% nel periodo in esame, quale dinamica attenderà il Paese da qui al prossimo autunno?
Indebitamento privato. E con le condizioni creditizie che chiaramente seguiranno il trend delineato da Goldman Sachs, ecco che sarà il credito al consumo a recitare la parte del leone. Perché quella voce della “spesa per consumi finali” non può calare, non deve calare. Anzi, non verrà lasciata calare. Carte di credito e debito, finanziamenti, acquisti rateizzati, incentivi e probabili bonus grattati letteralmente dal fondo del barile dei conti pubblici. I quali, già oggi, anelano quei 16 miliardi di tranche del Pnrr congelata. Ma quali condizioni verranno richieste per sbloccarla? O, meglio, quali condizioni sono già state richieste?
Non a caso, Giorgia Meloni avrebbe fatto filtrare la sua inquietudine: Francia e Germania punterebbero a indebolire il suo Governo, utilizzando proprio il Pnrr come cavallo di Troia. Vero? Falso? Alla fine, solo una cosa conta davvero: se ci ritrova sempre nelle condizioni di ricattabilità, forse continuare a colpevolizzare gli altri e agitare spettri di complotto risulta strategia dal fiato corto. Il rischio? Enorme. Colossale. Ma per ora, quantomeno, ancora nascosto fra le pieghe delle statistiche. E nei drammi quotidiani di un privato che, avanti di questo passo, esploderà divenendo pubblico. Forse, persino ordine pubblico.
Ogni 16 ore, in Italia, una persona si suicida. Considerando i soli tentativi, la media cala ulteriormente: uno ogni 14 ore… Nella maggior parte dei casi non si tratta di una patologia psichiatrica conclamata o grave, ma di difficoltà quotidiane che, in misura maggiore o minore, caratterizzano la vita di tutti.. Per questo, oggi sarebbe necessario implementare i servizi di psicologia in ogni comunità, dalle scuole, alle università, ai luoghi di lavoro. Parola di Felice Damiano Torricelli, presidente Enpap, l’Ente di previdenza e assistenza per gli psicologi. Poi, vedi questo grafico. E abbandonando il contesto sanitario e clinico, pensi: long pharma, short Inail.
Anche perché il Covid ha operato da spartiacque nel mondo del lavoro. Smart working, in testa. Cambiano gli spazi fisici, cambia l’interazione. Oggi, poi, i tagli. Indeed, l’azienda Usa che dovrebbe aiutare a trovare occupazione agli americani rimasti a piedi, ha appena reso noto che licenzierà 2.200 dipendenti, il 15% del totale. Il tutto dopo i circa 200.000 tagli nel solo settore tech da novembre. Ecco, quindi, la nuova realtà. Meno gambe e braccia rotte nei cantieri e nelle linee di produzione, più malati di ansia e depressione. In tutto l’Occidente. E se da un lato le compagnie assicurative già prendono la mira, stante la nuova fattispecie giuridica dello straining, evoluzione estrema del mobbing che un giudice ha riconosciuto come patologia psichiatrica a un dipendente di Belluno, il pharma va a nozze. Pillole di ogni tipo e colore, gocce di ogni sapore. Utili? Efficaci? Cosa importa. E poi terapie, singole e di gruppo. E adesso anche in chat, l’involuzione che unisce Wanna Marchi a George Orwell e fa rimpiangere il vecchio Telefono amico.
Long pharma, short Inail. Dove Inail non è lo Stato, ma il mondo del lavoro che fu. Quello malsano, pericoloso e usurante. O, forse, quello che garantiva ferie, malattie, assegni familiari, contingenza e scala mobile? E, udite udite, pensione senza scaloni o decurtazioni. E al netto di un’Italia che pare voler primeggiare e distinguersi, stante tre morti sul lavoro al giorno che la rendono leader anche nei “vecchi” infortuni prettamente fisici, viene da porsi una domanda. Non sarà che si è unito l’utile all’ulteriormente utile, usando il Covid come grimaldello? Ovvero, un business senza fine e con margini enormi legato alle patologie sociali e mentali e, contestualmente, un mondo che cerca soluzioni stando sdraiato (oltretutto a pagamento) su un lettino, invece che in posizione verticale in piazza?
Il black-out informativo su quanto sta accadendo in Francia, ha forse a che fare con questo? Il sindacato mai così concertativo e collateralista e silente come in questi mesi (insomma, complice quando non fiancheggiatore), a fronte di una situazione sociale e macro che precipita di giorno in giorno, sta tutelando la propria sopravvivenza, più che i diritti dei suoi (sempre meno) iscritti? Long pharma, short Inail. Nonostante gli stessi psicologi ammettano che ci si ammazza per salario, precariato, mutuo, affitto e caro-vita. E non per mali oscuri.
Big reset, quello vero, riuscito? Attenzione, perché stiamo giocando a palla avvelenata con una bomba a mano senza spoletta. Se scoppia, nessuno pianga. Sindacati in testa.
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