Due giorni di scossoni sui mercati e tutto cambia. Ciò che fino all’altro ieri era certezza, ora diviene dubbio. Davvero l’Intelligenza artificiale ci renderà tutti ricchi e felici? Davvero il mondo non dipenderà più dalle fonti fossili e vivrà sostenibilmente di rinnovabili, quasi fossimo così idioti da non conoscere i costi ambientali e sociali delle terre rare necessarie alle nuove tecnologie? Davvero le Banche centrali sapranno rendere sostenibili debiti che, in realtà, sono fuori controllo ormai da un lustro?
Come avrete notato, due giorni di mercati in altalena hanno reso diffuse le domande che su queste pagine mi pongo da trimestri. Prendendomi del catastrofista. Date un’occhiata a questo grafico: con ogni probabilità, la correzione in atto è meramente fiscale.
Il 15 di questo mese, infatti, negli Usa si pagano le tasse. E la clientela retail vende titoli – sperando, come in questo caso, sui massimi – per non incorrere nelle ire del fisco di Zio Sam, vagamente più severo del nostro. Una dinamica storicamente certificata. La quale, oltretutto, vede molti strategist pronti a un acquisto sui minimi non appena ritengano che il deleverage da tasse sia terminato: insomma, si compra sapendo che comunque si tornerà in giostra.
Oggi, invece, c’è qualcosa di più. Qualcosa che tradisce. Perché se un trend consolidato lascia comunque spazio interpretativo a una possibile correzione strutturale da criticità sistemica, allora la coda di paglia appare per quella che è. Chilometrica.
La ragione? Sta tutta in questi altri due grafici.
Il primo ci mostra come oggi le condizioni finanziarie statunitensi siano più favorevoli di quanto non fossero prima che la Fed cominciasse ad alzare i tassi. Ovvero, questa ossessiva e decisamente isterica rincorsa del feticcio del taglio dei tassi altro non è se non una pantomima. L’ennesima. Wall Street non ha affatto bisogno di un costo del denaro più basso. Già oggi, la liquidità è garantita. Abbondante. E praticamente per tutti. Paradossalmente, come se fossimo in pieno Qe e non nella fase terminale di un processo di normalizzazione dei tassi.
Questo, ovviamente, nessuno ve lo dice. Questo è uno di quei segreti di Pulcinella che devono rimanere tali fino all’ultimo, una sorta di ultimo sacrario dell’inconfessabile. E com’è possibile una dinamica di questo genere? Semplice, lo mostra il secondo grafico. Come vi ho detto fin dall’inizio, la crisi bancaria legata al real estate è stata creata a tavolino. Semplicemente per dar vita al fondo salva-banche, il quale nei mesi scorsi ha operato in modalità REPO105.
Sapete di cosa si tratta? È l’artificio contabile con cui Lehman Brothers spostava assets dal bilancio in occasioni delle trimestrali, in modo da nascondere esposizioni eccessive e quindi rischi prospettici. Ovviamente, ha funzionato. Fino a che ha smesso di funzionare. Nel primo caso, tutti sapevano ma fingevano di ignorare. Poi, tutti hanno saputo. In maniera decisamente rumorosa. E quel nome, REPO105, avrebbe dovuto spingere tutti a maggior cautela, poiché chi lo coniò prese spunto dal fatto che quelle transazioni richiedevano un requisito di collaterale del 105%. Sintomo di pericolosità decisamente alta. Alle soglie dell’arma finanziaria di distruzione di massa. Non a caso, traslando la questione sui conti pubblici, il Superbonus 110% sta facendo i medesimi danni. Speriamo non con il medesimo epilogo, quantomeno.
Può sembrarvi fantascienza, è semplicemente la realtà del mercato. Che tutti gli operatori conoscono. Che le Banche centrali conoscono. Che i regolatori conoscono. Che i Governi, attraverso il Tesoro, conoscono. E tutti tacciono. Perché allora questo sovrappiù di preoccupazione, al primo stormir di Borsa e al primo colpo di coda dei rendimenti obbligazionari, tale quest’ultimo da mandare in soffitta l’ipotesi di taglio dei tassi Fed a giugno?
Semplice, perché Intel ieri ha comunicato qualcosa come 7 miliardi di dollari di perdita operativa da parte della sua unità dedicata alla produzione di microchip. Insomma, l’architrave della bolla scricchiola. Nel frattempo, il Governo statunitense ha confermato di aver sospeso l’attività di riempimento delle riserve strategiche di petrolio a causa dell’aumento del prezzo del greggio. Il quale è sì salito sopra gli 85 dollari al barile dopo che Israele ha ben pensato di ampliare ancora un po’ lo spettro di escalation del conflitto, ma, di fatto, vede il suo rally apparentemente on fire solo da due giorni. Dopo mesi di totale indifferenza alle minacce di tagli alla produzione dell’Opec+. In compenso, il prezzo della benzina alla pompa negli Usa non gioca a favore della campagna elettorale di Joe Biden. Mentre fa felicissimo Donald Trump. Contemporaneamente, la messicana Pemex ha cancellato 436.000 barili di petrolio destinati all’export nel mese di aprile, ufficialmente per stabilizzare la domanda interna. Ma, soprattutto, ecco che dalla Russia arriva la notizia di un attacco con droni ucraini che avrebbe colpito il cuore della principale raffineria della Taneco, un’unità che da sola garantisce oltre la metà della produzione annuale di greggio, qualcosa come 17 milioni di tonnellate o 340.000 barili al giorno. Mentre Israele, di fatto, attacca uno dei membri anziani dell’Opec attraverso il proxy siriano. Chi non ha ancora detto una parola o prospettato una sola mossa? L’Arabia Saudita. La quale attende. Probabilmente, ciò che la Cina comunicherà ai suoi alleati dopo l’incontro fra Xi Jinping e Joe Biden.
Davvero pensate che il mercato non sia manipolato? Davvero pensate che il Qe sia salvifico e senza costi, come vi dicono alcuni economisti che ultimamente parlano di tutto, tranne che di economia? I costi ci sono. Alcuni sono anche visibili. E immediati. Sono stesi a terra a Gaza. O in Ucraina. Pensate ancora che io sia un complottista, uno che vede ovunque la Spectre? Vi sembra assolutamente casuale quanto sta accadendo, una pura coincidenza, le tessere di un mosaico che si incastrano alla perfezione per assoluta e fortuita bizzarria del fato? Se sì, meglio per voi. Vivrete più sereni questi tempi che ci attendono. Gli altri, invece, smettano di guardare alla Borsa come al termometro. Perché in realtà, le equities sono la febbre. E le Banche centrali soltanto una pezza bagnata sulla fronte che offre sollievo. Ma certamente non la cura.
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