Il soffio gelido dell’inflazione ha interrotto la luna di miele di Giorgia Meloni con i mercati finanziari? A giudicare dai numeri non è proprio così. Dopo lo shock iniziale dell’aumento del carovita su livelli che non si vedevano dal 1984, la Borsa di Milano si è allineata sul ribasso degli altri listini europei, attorno allo 0,7%, un calo più che comprensibile dopo quattro sedute al rialzo.
Si è mosso ma non di molto, anche lo spread: 207 punti rispetto al Bund tedesco in netta ripresa. A inizio mese, dopo il voto, si viaggiava attorno ai 250 punti. Non meno lusinghiero il bilancio sul piano dei rendimenti, pur rimbalzati dai minimi di giovedì. Occorre comunque risalire al “whatever it takes” di Mario Draghi (luglio 2012) per ritrovare una settimana altrettanto positiva per i Btp. Ma stavolta, a differenza di allora, la performance si inquadra in un clima generale tutt’altro che favorevole.
La Bce, dopo i numeri sull’inflazione in Italia e altrove, non potrà certo abbassare la guardia. Anzi, a partire da dicembre, il direttorio si ripromette di ridurre il bilancio dell’istituto, gonfiato oltre misura nel decennio dagli acquisti di debiti buoni (e meno buoni). Eppure, nonostante le premesse, i sovranisti che già paventavano la congiura contro l’Italia si sono dovuti ricredere: per ora, nulla lascia pensare a uno strappo verso il Governo Meloni, purché, naturalmente, non maturi la bizzarra idea di procedere a uno scostamento unilaterale di bilancio o a una finanziaria allegra. Salvo deviazioni suicide, anzi, la Bce sembra ben disposta ad utilizzare i fondi Tpi per evitare problemi al collocamento dei nostri titoli. E, si sa, ben pochi speculatori sono così temerari da sfidare gli orientamenti delle banche centrali.
Insomma, specie se di guarda alla rovinosa esperienza di Liz Truss alla guida del Regno Unito, il Governo Meloni può vantare un esordio positivo. A conferma che i mercati fanno politica a modo loro, senza andare troppo per il sottile se si mira a risultati concreti. Per giunta, il Premier (meglio la Premier a mio avviso) può contare su un quadro europeo assai più mobile del passato: la rottura dell’asse franco-tedesco, in particolare, offre spazi d’azione inediti.
C’è da chiedersi, però, quanto durerà la disponibilità di mercati e bankers verso la navicella italiana. Nella consapevolezza che l’atteggiamento attuale non è tanto il frutto delle mosse romane, quanto il risultato di un quadro internazionale in grande movimento. In particolare:
– Pur in un quadro di ascesa dei tassi destinato a durare fino alla primavera, i mercati si sono convinti che l’ascesa del costo del denaro per contrastare l’inflazione si sta avvicinando agli obiettivi. E già ragionano in prospettiva di un nuovo scenario di ripresa che, come conferma l’indagine sull’industria manifatturiera curata da Banca Intesa, potrebbe offrire straordinarie opportunità al made in Italy.
– Non a caso, molte posizioni rialziste di derivati sono state costruite intorno a quel periodo. Vale per la Borsa Usa, ma anche per i listini europei nella speranza che per quella data la crisi ucraina sfoci quantomeno in un cessate il fuoco sostenibile e in una qualche soluzione duratura per l’energia a disposizione del Vecchio Continente.
– E non è escluso che, una volta superato lo scoglio delle elezioni di mid-term, la Fed, in caso di inflazione persistente intorno al 4%, potrebbe, invece di mettere in ginocchio l’economia globale, alzare dal 2% al 4% il suo livello-obiettivo.
Donna Giorgia finora baciata dalla buona sorte, potrebbe navigare con il vento in poppa. Ma attenzione, vale anche una lettura meno rosea: le scorte di gas da aprile in avanti non saranno facili da ricostituire; l’inflazione potrebbe mettere radici e non aiuterà l’economia americana che dall’inizio dell’anno prossimo riprenderà a rallentare ed entrerà in recessione nella seconda metà del 2023.
Meglio muoversi subito, approfittando della finestra offerta dalla disponibilità dei mercati. Tanto per dare un ciglio a chi, per ora, dimostra di non averne bisogno.
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