Tranquilli. Tutto calcolato. E, probabilmente, programmato. Certo, ci saranno perdite. Forse non solo feriti. Ma l’alternativa, qual è? Prima è stato Jamie Dimon, gran cerimoniere di JP Morgan, a lanciare il sasso, vaticinando tassi Usa al 7%. Ora, Goldman Sachs ha deciso di scrivere nero su bianco – e nel pieno appunto di una bond rout senza precedenti – come l’aumento dei tassi a lungo termine rappresenti un pericoloso acceleratore di deficit che va a inserirsi in una dinamica capace di mandare fuori controllo la sostenibilità della spesa per interessi Usa.
Ora, date un’occhiata a questo grafico. I medesimi Usa hanno aggiunto al loro fardello 275 miliardi di nuovo debito in un solo giorno. A oggi, il computo è di 33,442 trilioni di dollari. Solo due settimane fa era stato varcato il Rubicone dei 33 trilioni. E oggi la realtà è quella di uno stock che pare destinato a crescere di 1 trilione al mese.
Cosa sta accadendo? Nulla di strano, il redde rationem al meraviglioso mondo del Qe perenne. Ma ecco che la nota di Goldman Sachs giunge come il proverbiale silver lining, il bicchiere mezzo pieno in un giorno di sconforto. Cosa accade, dal 2008 in poi, quando la banca che decide le sorti “politiche” del mercato – mentre a Citadel e JP Morgan spettano quelle “operative” – decide di redigere e pubblicare un report simile? Prepariamoci all’arrivo di un’ennesima e inaspettata crisi globale. Ben peggiore del Covid. E che salti fuori dal nulla, out of the blue. Effetto molto scenico e teatrale. Il motivo? La Fed deve tornare a monetizzare il gran casinò denunciato da Goldman e rispondente alla ratio debito/deficit statunitense. Punto. Fine. Come anticipato, prepariamoci a un altro po’ di panico.
Direte voi, il babao dell’inflazione, a quel punto andrà fuori controllo nuovamente? Se l’alternativa è il collasso totale dei mercati azionario e obbligazionario statunitense, pensate che questo sia un problema? Dove salari e prezzi generano problemi, arrivano i sostegni a pioggia a garantire un annetto di pace sociale. E flussi verso il retail trading, stante il rally che si genererà. Quando la situazione sfugge di mano, Qe/Ycc rappresenta la sigla vincente. Il mantello di Superman, il martello di Thor. Monetizzare il debito, finanziare direttamente il deficit e politiche di controllo dei rendimenti con acquisti che disintegrino ogni residuo di price discovery e fair value. Manca poco.
In effetti, un solo particolare fa riflettere: la fretta con cui Goldman Sachs ha pubblicato il report, prima che il panico divenisse globale e conquistasse le prime pagine. Occorre fare in fretta. Quindi, da oggi in poi ogni escalation nella sell-off obbligazionaria potrebbe andare letta con gli occhiali rosa dell’incidente controllato che si avvicina. E poi, il carro-attrezzi della stamperia globale giungerà in soccorso di Governi, banche e zombie firms.
Nessun vi mostrerà quel documento. Né quel grafico. La stampa solitamente è allergica alla realtà. La quale, però, nel caso dell’Italia e del suo debito, ha deciso di smettere di battere alla porta del castello. E ha deciso di prendere l’ariete. E sfondare. Il decennale benchmark ha superato il 5% di rendimento, il Rubicone è passato. Non a mio giudizio, a giudizio dei valori di Var a cui si possono detenere a bilancio quegli assets. Assicurazioni in testa. Certo, a leggere i gazzettini della maggioranza come Il Giornale e Libero, lo spread era calato a precipizio due giorni fa, grazie al dato su disoccupazione e fiducia delle imprese. C’è da capirli, perché essere servile per scelta è una cosa, doverlo essere per incapacità conclamata di leggere la realtà genera figuracce. E calate in assetto variabile verso il ridicolo.
In realtà, l’escalation di dichiarazioni allarmate – pubbliche e dirette, non basate su indiscrezioni e retroscena – del ministro Giorgetti rispetto alla Manovra e alla tenuta dei conti pubblici, parlano da sole. E, almeno al sottoscritto, fanno paura. Più dello spread. Più del risultato che otterrà il collocamento del Btp Valore. Più dell’eventuale assist della Bce sui tassi. O, soprattutto, sul roll-off dei titoli pandemici. Più persino del giudizio di Moody’s del 17 novembre che potrebbe spedirci in speculative grade. Aspettiamo ancora qualche giorno, però. Tanto è questione di poco, ormai. Poi sarà Caporetto. Nel frattempo, guardiamo un attimo Oltreoceano, da dove apparentemente arrivavano solo unicorni per lo scampato pericolo dello shutdown.
Date un’occhiata al grafico: sulla testa delle banche Usa oggi gravano circa 600 miliardi di unrealized losses. Ovvero, perdite legate al valore di assets iscritti a bilancio. E non ancora scontate alla realtà ma al mark-to-Qe.
Difficile essersi liberati di una massa di securities simile, prima che i rendimenti esplodessero. Più o meno, il 25% del capitale bancario. Molto vicino al massimo storico. Ma non basta. Le riserve delle banche locali stiano ricominciando a calare pericolosamente vero il cosiddetto livello di constraint. Ovvero, insostenibilità. Dal quale, tra l’altro, sono state allontanate solo dagli oltre 100 miliardi circa alla settimana di sostegno ottenuto tramite la facility della Fed. Quella emergenziale e nata dopo il crollo Svb. Tanto emergenziale da essere ancora attiva. Comparando poi l’andamento dell’Etf che traccia le banche regionali Usa e il prezzo del Treasury a 10 anni, vi assicuro, appare difficile trovare motivi di particolare ottimismo.
Il problema? Semplice. Una serie di criticità legate a specifiche entità creditizie o finanziarie può essere gestita. Ma se la radice di quei problemi è unica e rischia di diffondersi all’interno dell’intero sistema, allora le ipotesi sono due. Prepararsi a un altro 2008. Oppure modificare le regolamentazioni, al fine di evitare il peggio. Escludendo la prima opzione, nessuno può pensare che la seconda possa divenire operativa senza un agnello sacrificale, un casus belli.
Altra crisi bancaria locale in arrivo? Le Big 4 ci sperano. In modo da drenare depositi in punta di percezione di solidità. Tanto il sistema sarà puntellato, grazie al capro espiatorio di turno. I miliardi settimanali di sostegno di moltiplicheranno e la durata della facility Fed diverrà indefinita.
Ora, prendiamo per buona l’ipotesi che questa sia un’operazione a tavolino, un incidente controllato tra Fed, Tesoro e Primary Dealers. Quale potrebbe essere, però, la reazione a livello globale a un nuovo scossone come quello di marzo? E il sistema bancario europeo, come reagirebbe? E ancora più chirurgici: quello italiano, strapieno di pregiatissimi Btp fino al collo, sarebbe in grado di prezzare l’accaduto come mero gioco di specchi?
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