Eccoci qua: approvato dall’Ue il tredicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Dopo due anni di sanzioni, dopo ben dodici pacchetti di sanzioni approvate successivamente dall’Ue col risultato brillante di aver fatto crescere l’economia russa a un ritmo doppio di quella Ue (previsioni del Fmi), ancora si insiste? Le sanzioni Ue sono un po’ come le dosi del vaccino: si insiste con una ricetta che non funziona. O meglio, hanno funzionato benissimo nel distruggere l’economia europea.



L’Europa ha circa 400 milioni di cittadini il cui tenore di vita è tecnologicamente piuttosto avanzato e quindi consumatore di energia, proprio quella energia che è venuta a mancare a basso costo perché veniva dalla Russia. Quindi non sono venuti a mancare letteralmente i prodotti, le materie prime necessarie alla produzione di energia (Gnl) o di prodotti energetici (benzina e gasolio), ma sono arrivati a costi enormemente più alti.



Le sanzioni non hanno funzionato sessanta anni fa nei confronti di Cuba, perché in media a quei tempi la dipendenza di un Paese dai commerci internazionali era limitata o nulla. Oggi invece può essere molto significativa perché le relazioni di commercio internazionale sono molto sviluppate, ma proprio per questo motivo, essendo oggi presenti tante strade commerciali, le sanzioni sono aggirabili e quasi nessun Paese può essere isolato. Certo, possono essergli create delle difficoltà più o meno grandi, anche in considerazione della sua posizione geografica. Se per esempio, per qualsiasi motivo, i paesi dell’Unione europea sanzionassero la Svizzera, questa potrebbe trovarsi in enormi difficoltà, perché geograficamente circondata da Paesi dell’Ue. Ma una nazione come la Russia, che geograficamente è essa stessa confine tra due continenti e che commercialmente non dipende da nessuno, anzi al contrario molti Paesi dipendono dalle sue risorse naturali di tipo energetico, non avrà alcun danno particolare da eventuali sanzioni. Anzi, proprio a causa di questa dipendenza nel settore energetico, le sanzioni diventeranno un boomerang, cioè faranno più danni economici a chi le applica, piuttosto che a chi le subisce.



La situazione economico-finanziaria è molto grave, perché tutti sembrano aver dimenticato che siamo ancora nel corso di una crisi, quella iniziata nel 2007-8 e mai terminata, poiché le ricette applicate, quelle di austerità che non hanno alcun fondamento scientifico economico, hanno semplicemente riportato sulle spalle dell’economia reale quella che era soprattutto una crisi finanziaria e bancaria, prima gettata sulle spalle degli Stati (ricordate la crisi dei titoli di stato del 2010 e in particolare la crisi della Grecia?) e poi, complici gli Stati, scaricata su tutta l’economia reale, grazie alle ricette di austerità implementate da tutti i Governi a partire dal 2011 (Governo Monti).

La pandemia ha dato un colpo terribile, in particolare a certi settori. Però era un colpo autoinflitto e quindi poteva essere passeggero. Ma subito dopo è arrivata la guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia, con nuove e drammatiche ripercussioni sul fronte economico. Uno dei settori in cui meglio si percepisce la dimensione strutturale di una crisi è quello dell’edilizia, poiché è il terminale ultimo di uno sviluppo economico equilibrato e indicatore affidabile di una ricchezza che si diffonde in ampi strati della popolazione. La crisi di questo settore indica una crisi che ormai si è diffusa in una larga fascia della popolazione e soprattutto destinata a durare, poiché l’indotto portato dallo sviluppo dell’edilizia è vastissimo.

Il recente rapporto presentato dal Cresme conferma la gravità di questa nuova fase, in parte già prevista: dopo un -0,6% nel 2023, nel 2024 dovrebbe essere pari al -8,5% la flessione degli investimenti nel settore costruzioni, con un vero e proprio crollo per quanto riguarda gli investimenti nel rinnovo residenziale: -11,4% nel 2023 e -25,8% nel 2024.

Un quadro destabilizzante, che sta mettendo già oggi a rischio la sopravvivenza di decine di migliaia di imprese e l’esistenza stessa di centinaia di migliaia di posti di lavori di dipendenti, addetti e professionisti che operano nell’edilizia e nelle filiere collegate (basti pensare che solo caldaie e pompe di calore, secondo i dati dell’Ufficio Statistica di Anima Confindustria, potrebbero perdere circa mezzo miliardo di euro di fatturato già nel 2023, rispetto al 2022).

Ma non è un problema solo italiano: la recessione in Germania è di fatto causata dalla depressione profonda del settore edile, insieme a quello dell’automobile. Non c’è un settore che si salvi, perché è in crisi sia l’edilizia residenziale che quella commerciale.

Le famiglie diminuiscono e diminuisce il numero dei componenti di una famiglia, per cui i figli anche da adulti rimangono a casa dei genitori e non pensano a comprare casa. Le aziende chiudono e non nascono nuove aziende (o ne nascono troppe poche) per cui il settore è in crisi profonda.

Recentemente l’istituto IFO tedesco ha parlato chiaro: ha ridimensionato le previsioni di crescita della Germania per quest’anno allo 0,2%, rispetto allo 0,7%. Questa è la seconda revisione al ribasso effettuata dall’IFO per la prima economia della zona euro nel corso del 2024. La prima riduzione è stata registrata a gennaio, portando la stima allo 0,7% rispetto allo 0,9% di dicembre.

Secondo l’IFO, le restrizioni sui consumi, i tassi di interesse elevati, l’aumento dei prezzi, le misure di austerità del Governo e la debolezza dell’economia globale stanno frenando l’economia tedesca, portando a un’altra recessione invernale.

E cosa stanno facendo i Governi? Le sanzioni alla Russia…

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