La prospettiva, questa sconosciuta. Un po’ come la realtà. Insopportabile perché testarda. Nel marzo del 2021, ognuno di noi avrebbe potuto emettere debito. E avrebbe trovato acquirenti. Una fila di acquirenti. La pandemia aveva messo in ginocchio il mondo e la risposta di Banche centrali e Governi, fra tassi a zero e pacchetti di sostegno multi-miliardari, non si fece attendere. Alluvionale.



Oggi, apparentemente, il quadro è differente. Quantomeno nella sua narrativa. I tassi sono tutt’altro che allettanti. Il piagnisteo collettivo per un loro taglio, lo conferma. Non c’è una pandemia che azzoppi la crescita. Anzi, gli Usa millantano un boom economico degno di un episodio di Happy days. Certo, ci sono Gaza e l’Ucraina. C’è la variabile a missili alterni del Mar Rosso. Ma come si spiega una domanda cinque volte l’offerta per le emissioni di debito in Europa, come mostra questo grafico?



E parliamo di qualcosa come 2,6 trilioni di controvalore di richieste a fronte di emissioni per 507 miliardi. Solo a fine febbraio! Certo, si corre ad acquistare a rendimenti più che decenti dopo anni di magra e, soprattutto, prima del ventilato e agognato taglio dei tassi. Oggi il rendimento medio su debito corporate high-grade denominato in euro è al 3,8%, più del doppio della media a 5 anni. Addirittura, un’emissione dell’Unione europea in doppia tranche sul finire di gennaio ha registrato il record assoluto di domanda: 27 volte l’offerta. Non stupisce quindi, in tal senso, il presunto e millantati successo del collocamento del nuovo Btp Valore. Non per svalutarne la portata epocale e il plus garantito dalla crociera pagata con i meri interessi, per carità. Né mi permetto di sindacare la scelta di oltre 600.000 italiani che nel penultimo giorno di emissione aveva portato il totale a un amen dai 17 miliardi. Ma qui si tende a guardare solo il dito e non la Luna. La prospettiva, appunto.



Se la domanda è mossa dalla ricerca di rendimento, quell’offerta comunque alluvionale in tempi di tassi alti, cosa ci dice dei timori inconfessabili di Stati e aziende europee per il futuro prossimo? Se 2,6 trilioni di offerta fanno titolo, 507 miliardi di bond emessi e collocati in soli 2 mesi fanno paura. O, almeno, dovrebbero farla. Non fosse altro con la Germania in recessione e in contemporanea il Dax ai massimi storici. O perché, formalmente, gli Stati più indebitati ancora godono del reinvestimento titoli del Pepp. E il settore corporate del combinato di un decennio di Qe più una dose da cavallo di sostegni emergenziali da pandemia, Germania in testa ancora una volta. Ma col CapEx ormai ridotto a ricordo di un’era geologica lontana, ovvero con aziende che non si finanziano per investire in ricerca, sviluppo e assunzioni, siamo forse tutti a rincorrere la logica del racimolare denaro sull’obbligazionario per finanziare buybacks azionari e far felici azionisti e manager? O magari c’è addirittura qualche rognetta legata al cash-flow?

O, peggio ancora, la via del mercato come fonte di finanziamento viene scelta perché il vero canarino nella miniera è quello di una concessione di credito bancario già in modalità da recessione conclamata, a fronte di dividendi boom? E, magari, di liquidità da tenersi già stretta come una borraccia nel deserto.

Quando oggi, a collocamento del Btp Valore ufficialmente chiuso, ne leggerete e ascolterete apologie, ripensate al dato generale dell’Europa. Ai 507 miliardi emessi in due mesi. Alla domanda 5x. E fate tesoro della buona abitudine di buttare almeno un’occhiata anche alla Luna, mentre tutti scrutano ammirati la snella eleganza del dito. Perché il mercato che vedete, non è quello reale. Siamo di fronte a un mito della caverna di platonica memoria. Volete un esempio? Arriva fresco fresco, contemporaneo al dato sulla Bonanza dei bond Ue.

Qualcosa sta già scricchiolando nei meandri degli addetti ai lavori. E il sospetto, prima ancora del contenuto, lo ha generato la scelta di Bloomberg di cambiare titolazione a un suo articolo decisamente interessante. Da Private credit’s code of silence hides flaws in a booming market a Flawed valuations threaten $1.7 trillion private credit boom. Elegantissima precisazione. Il contenuto? Identico. Solitamente, una scelta del genere nasce da input dei piani alti alla direzione e da quest’ultima all’ufficio centrale e al desk. Insomma, quando un titolo è talmente veritiero da risultare scomodo, si cambia. Ma, appunto, la questione resta. E si sostanzia nel fatto che l’imminente redde rationem in seno al sistema bancario Usa dovrà risolvere anche la patata bollente del credito privato (PC), divenuto a partire dal 2010 in poi un’asset class sempre più presente. Di fatto, uno shadow banking che negli anni dei tassi ultra-bassi da Qe diveniva veicolo di finanziamento dei leveraged buyouts di soggetti come Blackstone e Kkr. Ma non solo. Nel post Lehman, la cautela bancaria commerciale verso la liquidità unita alle regolamentazioni più stringenti garantirono campo libero al PC come fornitore di credito.

L’anno scorso, poi, la crisi bancaria di primavera ha consolidato il ruolo di asset class. Con una piccolissima criticità come mostrata da questi grafici: i criteri valutativi dei prestiti. Distorsione allo stato puro rispetto al minimo sindacale di mercato pubblico ancora esistente. Guarda caso, dopo un decennio abbondante di sonno profondo, proprio oggi a ridosso della chiusura del Btfp, i regolatori tirano fuori dal cassetto la bandiera rossa di pericolo.

Il motivo? Basta digitare private credit su un motore di ricerca: le offerte di investimento nel settore fioccano. Da parte di tutti i grandi nomi della finanza. Il problema? Che quelle performance si basano su prestiti che agevolmente possono vedere il mark più alto a 79 centesimi, praticamente recupero totale al netto del rischio-sistema e il più basso a 46 centesimi, ovvero ampiamente in territorio distressed. Quanto può essere sostenibile una logica simile? Finora lo è stata. Ma finora la Fed aveva tagliato, comprato, stampato o, al massimo, osservato la ruota ben oliata girare. Ora le dinamiche sono cambiate. E con loro i tassi. Ma, soprattutto, ora le banche vogliono riprendersi quella quota sempre crescente di prestiti. In primis, si cannibalizzano i piccoli istituti travolti dall’esposizione al Cre e dipendenti dal fondo di salvataggio Btfp. In seconda battuta, ci si carica di fondi tramite il lucroso arbitraggio fra il tasso di quella facility e quello applicato dalla Fed alle riserve. Terzo, si aspetta che la medesima Fed decida di mantenere un cuscinetto minino di reverse repo, almeno 200 miliardi. E il gioco è fatto. Ma quello shadow banking sparirà senza fare danni o qualche piccolo Archegos sarà necessario per nascondere un decennio di vizietti dei grandi players?

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