Mi è capitato di rileggere le dichiarazioni del noto economista Francesco Giavazzi, amico di Draghi, rilasciate lo scorso mese di giugno. Così allora si esprimeva: “Lo spread e l’aumento dei tassi d’interesse ridurranno non subito, ma tra qualche mese, la domanda privata… La Bce promette di alzare i tassi per rispondere all’aumento dell’inflazione con uno strumento sbagliato. Noi non abbiamo una inflazione da domanda come negli Usa, ma abbiamo una inflazione legata al prezzo del gas. Quindi a fronte della riduzione della domanda privata dei prossimi mesi dobbiamo accelerare il Pnrr”.



Occorre collocare temporalmente queste parole. Infatti, allora si parlava della necessità (ormai divenuta una certezza) che la Bce procedesse a un rialzo dei tassi nella successiva riunione, cosa poi avvenuta con un incremento pari allo 0,50%.

Anche tale rialzo va collocato nella catena degli eventi storici, non solo perché è stato il primo dopo tanti anni (la precedente variazione è del 2016, quando venne portato da 0,05 a 0%), ma perché si apprestava a seguire le orme della Fed. E qui già si possono notare due elementi forti di critica, da me già sottolineati in passato.



Il primo è quello di aver imboccato una strada in ritardo. Non solo, lo ha fatto seguendo chi si è mosso in ritardo. Lo ha fatto seguendo le mosse di chi ha per oltre un anno ha raccontato una balla, cioè che l’inflazione era “temporanea”, quando era evidente che non lo fosse. Io vorrei che i lettori avessero su questo punto le idee chiare su quanto questa dinamica, questa catena di menzogne, sia inaccettabile.

Nel mondo degli esperti di economia tutti conoscono i cosiddetti “cicli economici”. Si tratta di cicli ben definiti nei quali tipicamente succedono e sono previsti dei comportamenti “standard” da parte dei diversi “asset” (cioè Pil, azioni, titoli, materie prime, ecc.). In questi cicli vi sono quattro fasi: espansione, recessione, depressione, ripresa. Ovviamente non si tratta di “dogmi” (in economia non esistono dogmi), ma di una serie di evidenze dateci dalla storia e consolidata da una serie di ragionamenti logici. La conoscenza dei cicli economici ci dice che la fine di un’espansione e l’inizio della recessione è caratterizzata da un aumento delle materie prime, che può far scaldare l’inflazione. Questa è esattamente la fase nella quale ci troviamo.



Tutto il mondo finanziario sa benissimo questa storia dei cicli e sui mercati finanziari già da tempo si è posizionata per sfruttare sui mercati finanziari i movimenti previsti da questi cicli. Ora, se tutti lo sanno, possibile che la Fed e chi la dirige non sapesse?

Se si alza l’inflazione, lo strumento in mano alla banca centrale è quello di rialzare i tassi; la cosa provoca ovviamente l’apprezzamento di quella moneta rispetto alle altre. Quindi esce la notizia che la banca centrale alza i tassi e la moneta si muove con forza verso l’alto. Vediamo il caso del cambio USD/JPY (dollaro contro yen giapponese). Ecco il grafico.

La zona che ho chiamato “incertezza” inizia nel gennaio 2021, quando questo cambio era nel pieno di un trend ribassista di almeno 4 anni (iniziato nel 2017), un trend che a detta di molti (allora) stava per finire e quindi, in previsione di un ciclo economico ben definito, ci si doveva aspettare un rialzo dei tassi della Fed e quindi un rialzo del dollaro Usa.

Allora le materie prime avevano iniziato un trend ascendente e quindi prevedere un rialzo del dollaro Usa era ragionevole. Ho chiamato questo periodo “incertezza” perché, nonostante il rialzo delle materie prime e dell’inflazione, la Fed ha iniziato a raccontare la storiella della “inflazione temporanea” e quindi non ha rialzato i tassi. Allora a capo della Fed c’era la Yellen, che a fine mandato si scusò per aver sbagliato a definire quella inflazione “temporanea”.

Il periodo “incertezza” da me disegnato, dura da gennaio 2021 a tutto agosto 2021. L’ho chiamato così perché, da un punto di vista “grafico” poteva essere un momento di rialzo dentro un trend al ribasso. Ma finito quel periodo, era chiaro che il trend era cambiato. Invece la menzogna della Fed è continuata.

Le linee verticali arancioni sono i momenti nei quali la Fed ha rialzato i tassi, il primo dei quali è avvenuto nel marzo 2022, cioè ben sei mesi dopo che tutti, anche i sassi, avevano capito la menzogna della Fed. Ed è cambiato qualcosa, dopo aver ammesso di “aver sbagliato”? No, niente; continuano a seguire i dettami di un modello sbagliato.

E la Bce? Doppiamente colpevole, perché sta seguendo il “modello sbagliato” in ritardo., quindi, come ho fatto notare col mio precedente articolo, ha portato al forte deprezzamento dell’euro sul dollaro, passato in un anno e mezzo da 1,22 a 0,98, grazie al quale paghiamo più care tutte le materie prime (che si pagano in dollari).

Ancora peggio, secondo la critica di Giavazzi, espressa dopo che la Fed aveva fatto già due rialzi dei tassi e si apprestava a fare il terzo. Allora anche la Bce si apprestava a rialzare i tassi una prima volta: il dato era orma scontato. Ma Giavazzi avverte una cosa ovvia, banale. Giavazzi ha affermato che l’inflazione americana dipendeva da un eccesso di moneta (anche se non solo quella), mentre la nostra dipendeva da un settore particolare, soprattutto dal gas. Quindi un rialzo dei tassi non avrebbe raggiunto l’obiettivo di calmare l’inflazione, ma solo quello di deprimere l’economia o, come dicono gli economisti colti, “ridurre la domanda privata”.

E cosa propone Giavazzi? “Quindi a fronte della riduzione della domanda privata dei prossimi mesi dobbiamo accelerare il Pnrr”. E come stiamo col Pnrr? Siamo indietro e siamo messi male. Primo perché il Pnrr prevede ambiti specifici e non permette tutto (quello che ci servirebbe). Secondo, perché hanno fatto i conti sulla carta, hanno fatto i conti senza l’oste, cioè l’economia reale italiana. Hanno fatto i conti senza tenere conto dell’inflazione e senza tenere conto della disponibilità delle risorse umane necessarie a realizzare le opere. Per decenni non hanno implementato politiche familiari e ora si “accorgono” che mancano le risorse umane.

Mentre la Bce procede al terzo rialzo dei tassi (portando il valore al 2%, mentre quello del dollaro è al 4%), la Germania nazionalizza grosse aziende fallite a causa delle sanzioni e mette sul piatto 200 miliardi per assorbire in buona parte il costo delle bollette e dando così un vantaggio finanziario alle imprese tedesche rispetto alle concorrenti europee, violando clamorosamente gli accordi europei.

Ormai l’Unione europea è carta straccia, gli incontri servono solo a sancire l’impossibilità di muoversi unitariamente, come verificato clamorosamente con la bislacca idea di Draghi di mettere un tetto al prezzo del gas. I campioni del libero mercato si accorgono che qualche volta il libero mercato non funziona e fa solo danni. Ma non hanno idee su come rimediare, proponendo cose che non possono essere realizzate. Hanno voluto dare i pieni poteri a un mostro incontrollabile e ora non sanno come controllarlo.

La Norvegia è contraria al tetto del prezzo del gas. Il Qatar pure. Non sono nell’Ue, ma sono quelli che il gas ce lo potrebbero vendere. Oibò, non sono d’accordo con noi, che si fa?

Vi racconto l’ultima, così finiamo questo pezzo con una risatina. Secondo un articolo del Wall Street Journal, finalmente un accordo è stato raggiunto, un accordo importante che riguarda Usa e Ue. L’accordo prevede che un carico di petrolio russo sarà soggetto al “price cap” (il tetto del prezzo) solo alla prima vendita del petrolio, praticamente solo alla vendita “in mare” (il petrolio su una petroliera); quindi non si applica alla “rivendita” dello stesso identico carico. In altre parole, è sufficiente che chi vende in mare si metta d’accordo con chi vende in terra e il price cap sarà nullo, nel senso che il petrolio russo e non russo verrà venduto e il prezzo lo farà chi lo produce. Quindi la Russia verrà “costretta” (sono curioso di sapere come) a vendere il petrolio a, diciamo, 60 dollari al barile e chi lo compra sarà libero di venderlo, poniamo, 90 dollari, cioè il prezzo attuale praticato nel mondo. Un fantastico business per questi intermediari. Immagino che Gazprom non avrà difficoltà a raggiungere un accordo con questi intermediari, in modo da ricavarne anche lei un lauto profitto.

Non solo, le operazioni di “blending”, cioè di mescolamento dei diversi tipi di petrolio, sono ignorate, cioè di fatto autorizzate. Bisogna sorridere perché questo darà potenzialmente un sacco di lavoro ad alcune raffinerie italiane, come quella di Priolo, che rischiavano la chiusura.

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