Ormai attorno al Mes stiamo vivendo una pantomima degna di Beckett o Ionesco. Pericolosa, però. Perché se per caso qualcuno fosse tentato di utilizzare l’Italia – per l’ennesima volta, come insegna la storia più o meno recente – come detonatore di una crisi controllata che garantisca (questa sì) mosse emergenziali e non ortodosse, un nostro eventuale e percepito “no” legato a un rinvio di Roma per beghe interne fornirebbe l’alibi perfetto. Insomma, attenti a non ritrovarci con lo spread a 350 sotto l’albero di Natale. Al netto di questo, se davvero chi è pronto all’ennesimo round contro Bruxelles ha come stella polare la difesa degli interessi del Paese, forse dovrebbe aprire gli occhi e guardare altrove.
Ad esempio, al fatto che dopo il rimpatrio di massa e con tre anni di anticipo dell’oro tedesco detenuto all’estero da parte della Bundesbank e il recente elogio del ruolo geo-finanziario e di rifugio strategico dell’oro fisico comparso sul sito ufficiale della Banca centrale olandese, un altro Paese europeo ha deciso di muoversi lungo la via aurea: la Polonia. Quindi, una nazione che è dentro l’Ue, ma fuori dall’eurozona. E che, stando ai cantori di Visegrad, gode di tassi di crescita straordinari anche grazie alla presenza del sovranissimo zloty (ovviamente, i fenomeni di dumping salariale e fiscale garantiti dai sussidi a pioggia dell’odiata Europa vengono taciuti, nonostante proprio la Polonia sia in cima a questa classifica con il suo saldo attivo fra dare e avere di 12 miliardi di euro l’anno).
Sapete cosa ha deciso di fare Varsavia, subito dopo l’estate? Ha rimpatriato 100 tonnellate di proprio oro detenuto presso la Bank of England sotto forma di 8mila barre fisiche di metallo prezioso: 4,7 miliardi di dollari di controvalore. Un’operazione che ha richiesto appunto settimane per essere approntata e che ha visto i funzionari delle due Banche centrali operare in totale coordinamento per dar vita a un trasporto degno di un film di James Bond, affidato alla ditta leader del campo in Gran Bretagna, la G4S Cash Solutions UK. E dopo tanta preparazione, la missione. La mattina del 22 novembre scorso, l’ultimo atto. Quattro mezzi blindati della ditta si sono mossi da una località segreta del Nord-Est londinese, scortati da auto della polizia e addirittura un elicottero che ne seguiva le mosse dall’alto, lungo il tragitto. Quest’ultimo conclusosi in un aeroporto della capitale, dove ad attendere il corteo di mezzi erano presenti 20 enormi contenitori rinforzati. Una volta caricati al massimo, sono stati infilati nell’hangar di un Boeing 737 adibito per trasporto cargo. Direzione, Polonia.
Quella più in basso è un delle quattro foto che sono state rese pubbliche, a conferma dell’avvenuto trasporto. Paul Holt, direttore generale della G4S per l’Europa, confermava la natura segreta del trasporto: “Per essere sicuri che tutto andasse a buon fine, ci sono voluti otto trasporti come quello del 22 novembre”. Otto trasporti per riportare a casa 100 tonnellate di oro sotto forma di barre tipo London Good Delivery, quelle standard da 12,5 chili ciascuna. Uno degli impiegati della G4S, il quale ha scortato fisicamente l’oro in volo e fino a destinazione, ha dichiarato che “si è trattata di una delle più grandi movimentazioni private di oro fra banche nel mondo. Anche perché ha coinvolto un enorme quantitativo di metallo che è stato spostato in un brevissimo lasso di tempo”. Già, privata. Con una ditta fra le più specializzate al mondo che gestisse l’intera logistica e lo staff di Bank of England e Narodowy Bank Polski a coordinare e organizzare ogni singola mossa. E compiuta in tutta fretta, quasi si temesse qualcosa di incombente.
E ancora, dichiara lo stesso impiegato: “Avevamo una scorta ai massimi livelli solo per noi, non ci siamo fermati a nessun semaforo: il nostro è stato un tragitto prioritario, d’emergenza. Anche perché come azienda privata, su di noi ricadeva la responsabilità diretta per il carico, dal suolo britannico fino all’arrivo ai caveau polacchi, dove sono state contate le barre e certificata l’autenticità”. Il tutto, in un anno in cui la stessa Banca centrale polacca, ha confermato di aver acquistato sul mercato altre 100 tonnellate di oro fisico, portando il totale delle proprie riserve a 228,6 tonnellate.
Come mai, tutta questa ansia e questa necessità di fare in fretta? Una risposta la azzarda Julian Haskard, managing director della G4S: “Non mi stupisce affatto. Con l’insicurezza geopolitica che continua a crescere, mosse come queste devono apparirci sempre meno sorprendenti”. E i polacchi, come hanno motivato la scelta? “L’oro simboleggia la potenza e la forza di una nazione”, ha dichiarato il 27 novembre ai cronisti Adam Glapinski, governatore della Banca centrale polacca. E ancora: “Ci siamo accodati a un trend che ormai è globale, unire una mossa patriottica di cui sono molto fiero alla creazione di più solide riserve interne che possono salvaguardare la stabilità finanziaria. È un’aspettativa della società polacca, del popolo, a cui abbiamo dato seguito e risposta”.
E in effetti, il trend è talmente globale che altri stanno seguendo l’esempio polacco. Di colpo. E tutti nell’Est Europa. Cosa si teme, dai Balcani e nei dintorni dei confini con l’ex Urss? È di domenica scorsa, infatti, la notizia – riportata da Bloomberg – della dichiarazione al riguardo dell’ex premier slovacco Robert Fico, il quale ha chiesto al Parlamento di attivarsi al fine di ottenere dalla Banca centrale l’impegno immediato al rimpatrio di tutte le riserve d’oro detenute all’estero. Il motivo? “A volte, i tuoi partner internazionali possono tradirti. Dopo l’accordo di Monaco, è difficile fidarsi. Posso garantirle che se dovesse accadere qualcosa, non rivedremmo più nemmeno un grammo di quell’oro. Per questo è necessario fare il prima possibile, rimpatriarlo velocemente”. Solo un’ossessione – con forte appeal populista – dei leader nazionalisti europei, come suggerirebbe la lettura di Bloomberg?
Forse, occorre però valutare bene. Perché anche la Serbia pare muoversi, dopo che in ottobre Aleksandar Vucic ha ordinato alla Banca centrale, con una nota ufficiale, di aumentare le riserve, atto immediatamente compiuto con l’acquisto pronta cassa di 9 tonnellate d’oro. Per Vuk Vukovic, economista di base a Zagabria, la lettura in chiave politica potrebbe non essere azzardata: “L’oro è un simbolo. Quando uno Stato lo acquista, ovunque nel resto del mondo la gente vede quella mossa come un atto di sovranità economica”. Eppure, qualche dubbio sorge attorno a questa lettura meramente di propaganda politica. Perché tutto questo attivismo è esploso alla fine dell’estate? Proprio dopo che il 27 luglio scorso, con mossa a sorpresa, è decaduto il Central Bank Gold Agreement del 1999, rinnovato già tre volte da allora e poi fatto terminare dalla sera alla mattina, con la benedizione ufficiale e senza battito di ciglia della Bce. Perché si è sentito il bisogno di porre una fine alla politica di coordinamento fra le 21 Banche centrali in fatto di vendite o acquisto di oro fisico ai fini di riserva, un “liberi tutti” che sa – in base alla prospettiva da cui lo si guarda – di assalto alla diligenza del bene rifugio globale o svendita della dote di famiglia per necessità fallimentare?
E poi, infine, guardate queste fotografie: ci mostrano copertina e prefazione della versione inglese del libro edito lo scorso gennaio dalla Bundesbank con il titolo Germany’s gold e scritto da Carl-Ludwig Thiele, membro del board della banca centrale tedesca. Quasi un atto celebrativo a conclusione del rimpatrio a tappe forzate e con tre anni di anticipo sul programma di tutti i lingotti tedeschi detenuti all’estero, fra New York, Londra e Parigi.
Ma non basta. La stessa Buba nel 2015 realizzò anche un “corto” al riguardo, un mini-film di 8 minuti che ripercorreva le tappe e la storia delle riserve auree tedesche e magnificava – già all’epoca – le funzioni di asset di riserva dell’oro. Nel film comparivano per la prima volta rare immagini dall’interno dei caveau tedeschi e dei primi trasferimenti dei lingotti dall’estero alla madrepatria. Ora guardate la seconda foto, quella relativa alla prefazione scritta nientemeno che da Jens Weidmann, governatore della Bundesbank e, in questo caso, anche “editore” del volume. Leggete cosa scrive dell’oro e del suo valore, reale, come strumento finanziario di riserva e di ancoraggio degli assets più volatili. Ecco le parole per presentare libro e film: “Il nostro scopo è quello di informare l’opinione pubblica in maniera semplice, quasi con tono di intrattenimento, sui topic principali legati all’oro. Spieghiamo con linguaggio chiaro e semplice come stiamo assolvendo al nostro compito di gestire le riserve auree. Facendo questo, stiamo offrendo un ulteriore contributo alla trasparenza”.
Ora, ripensate alla scelta tedesca di riportare a casa il proprio oro in fretta e furia. Dopo, riflettete sul medesimo peana messo in atto dalla Banca centrale olandese e alle mosse – operative – di polacchi, serbi e slovacchi delle ultime settimane. Cosa sta accadendo, fra Balcani e Baltico? E cosa accade in Nord Europa, fra gli alleati più duri sul rigore della Germania, i cosiddetti “falchi”? Cosa spiega, davvero, questa febbre dell’oro? Una volta che vi sarete posti tutte queste domande e dati le relative risposte, chiedetevi a quale punto di gravità sia giunta la situazione mondiale ed europea, nei fatti concreti. E domandatevi se davvero un provvedimento-cornice come il Mes e il suo essere supposto veicolo di salvataggio delle banche tedesche e francesi, rappresenti il reale problema e la più incombente minaccia. Forse, sarebbe il caso di chiedersi – davvero, stavolta – dove sia il nostro oro detenuto all’estero, quanto sia in controvalore rispetto al totale e quale sia il suo status, al netto delle rassicurazioni formali dello scorso inizio estate, da parte di Bankitalia e Bce.
Forse, il fatto che nessuno lo chieda e tutti strepitino invece per i presunti colpi di Stato contro lo sovranità popolare legati al Mes o, al contrario, a favore della sua bontà assoluta, dovrebbe portarci a chiedere finalmente una parola chiara sull’interrogativo che, almeno in Germania, circola – magari sotto forma di mito rassicurante per il contribuente/risparmiatore medio – almeno dal 2011: qualcuno, senza dire nulla a cittadini e Parlamento, in passato ha offerto le nostre riserve auree come collaterale di garanzia rispetto agli squilibri in seno a Target2, quasi un’assicurazione sul rischio di nostra uscita dall’euro? Un “no”, netto e motivato, sarebbe gradito.