In questi giorni mi è tornata sotto gli occhi un’indagine di qualche anno fa nella quale si è calcolato quanto è stato il guadagno, o la perdita, per ogni cittadino europeo in termini di Pil pro capite, cioè il Pil di un Paese diviso per il numero di abitanti, tra il 1999 e il 2017.
Come reso evidente dalla tabella qui sotto, ogni tedesco ci ha guadagnato circa 23mila euro, mentre ogni italiano ci ha perso oltre 73mila euro. Una differenza abissale che spiega molto bene quanto sia successo.
Questo emerge dal rapporto “20 anni di Euro: vincitori e vinti” del think tank Cep (Centre for European Policy) di Friburgo. Secondo lo studio, il problema della competitività tra i vari Paesi dell’eurozona “rimane irrisolto” e “deriva dal fatto che i singoli Paesi non possono più svalutare la propria valuta per rimanere competitivi a livello internazionale”.
Questa è una analisi del 2019, cioè ormai di 5 anni fa. Immagino che un simile conteggio aggiornato possa contenere dati molto differenti e tutti peggiorati e che il saldo positivo della Germania sia in realtà a oggi negativo.
Ora dobbiamo porci una domanda: com’è possibile che un simile conteggio sia negativo per tutti? Com’è possibile che nessuno ci abbia guadagnato o che la maggioranza sia in perdita?
Vi do un indizio, che riguarda in particolare l’Italia. I dati più recenti riguardo le vendite al dettaglio segnano una crescita dello 0,3% su base annua e un calo pari al -0,1% su base mensile (dicembre 2023), mentre il valore precedente su base annua era del +1,4% (+0,3% su base mensile). Nel frattempo le banche hanno fatto registrare performance record per il 2023. Iniziate a capire il problema? Il problema è lo stesso che ha portato ricchezze record agli uomini più ricchi del mondo, mentre le economie dei principali Paesi, complici la pandemia e le sanzioni, erano in sofferenza. Ed è lo stesso problema che ha portato a una sempre maggiore influenza di 5-6 aziende sull’andamento dell’indice SP500, composto dalle maggiori 500 aziende a livello americano e mondiale.
Il problema è l’assenza di regole o il suo esatto opposto, cioè un eccesso di regole che di fatto crea un’assenza di regole: perché in caso di eccesso, o nessuno le rispetta e l’ambiente regolato viene dominato dai più forti, oppure tutti le rispettano (più precisamente ci provano, ma difficilmente ci riescono) e quindi l’ambiente regolato viene dominato da chi meglio conosce l’intricato meccanismo delle regole, cioè normalmente i più forti.
Insomma, avete capito, i più forti vincono quasi sempre e diventano sempre più forti. Ecco perché l’indagine sopra riportata mostra che i Paesi che più sono stati favoriti sono la Germania e la sua alleata di sempre, l’Olanda.
Il grosso problema però non è nemmeno questo. Il grosso problema è che il sistema del cosiddetto “libero mercato” è fallimentare, quindi è un sistema che prima o poi porta al fallimento anche il Paese dominante, la Germania.
Non è un caso se la “protesta dei trattori” (cioè degli operatori del mondo agricolo) è partita in Germania e ha ottenuto una grandissima adesione proprio nel Paese teutonico. E non è nemmeno un caso che, nonostante le difficoltà causate dalla protesta a tutti i cittadini, soprattutto per quanto riguarda i trasporti (e gli scaffali vuoti), questa abbia e continui ad avere una grande adesione popolare.
L’Europa però non è la sorgente primaria di questo liberismo estremo: l’origine è anglo-americana. L’Europa sta solo scopiazzando in ritardo una ricetta fallimentare, che non ha portato al collasso quel mondo (finora) solo perché grossa parte di quel prezzo lo sta pagando chi segue quel modello non avendo gli stessi mezzi e chi segue quel modello in ritardo.
Bisogna tenere conto di alcuni dati inoppugnabili. Oggi l’economia non dipende in gran parte dalla produzione o dall’efficienza: dipende in gran parte dall’andamento della finanza. E la finanza è un giostra che gira vorticosamente spinta da prestiti e debiti, indicati e protetti sostanzialmente dall’andamento dei mercati finanziari.
Per meglio mostrare quanto sto dicendo, ecco il grafico dell’indice SP500, dal 2018 a oggi.
Dall’epoca di prima della pandemia è cresciuto del 47%. Né la pandemia, né le successive sanzioni alla Russia hanno intaccato una crescita esplosiva.
Com’è stato possibile? Questo è successo soprattutto per la mostruosa quantità di denaro creato dalle banche centrali di tutto il mondo, ma in particolare dalla Fed americana. Questo ha consentito alle maggiori aziende dell’indice SP500 di operare il cosiddetto “buyback”, cioè di prendere denaro a prestito a costi bassissimi e di acquistare azioni proprie.
Il fenomeno è stato così imponente che si stima per tali operazioni un volume di circa 10mila miliardi di dollari. Tenete presente che la capitalizzazione di tutto l’indice SP500 americano è di circa 30mila miliardi di dollari. Quindi, un terzo del valore dell’SP500 è un valore gonfiato artificialmente. Tale crescita è stata ed è tutt’ora essenziale per tenere in piedi il sistema bancario e finanziario, cioè quel sistema che mette in bilancio gli acquisti di pacchetti azionari di aziende quotate allo stesso indice.
Ora, non ci vuole un genio per comprendere che questa mostruosa macchina mangia soldi non può girare per sempre, soprattutto in un contesto economico entrato in grave sofferenza. Quanto più la velocità è alta (e deve essere alta, anzi deve aumentare sempre di più), tanto più basterà un piccolo granello di sabbia per far saltare l’intero macchinario, perché in questo sistema folle non bisogna dimenticare che tutto il denaro circolante è emesso a debito e gli interessi sui debito lo sta pagando la gran parte dei cittadini e dell’economia reale che non accede alla finanza speculativa e non trae alcun profitto da questa giostra di soldi.
Sarà la “protesta dei trattori” il piccolo granello di sabbia che farà saltare la macchina infernale della finanza speculativa? Non lo so. Quello che so è che gran parte della popolazione è in sofferenza e si sente politicamente tradita e potrebbe parteggiare per qualche soluzione estrema. Tanto a pagare sono sempre loro.
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