Avete passato bene il fine settimana? Vi siete rilassati, divertiti, siete stati in famiglia o con gli amici? Bene. Ve lo chiedo non perché mi interessino i fatti vostri, bensì perché non più tardi di sabato scorso mi chiedevo quanto ancora dovessimo aspettare per l’arrivo del Lehman moment, lo stesso per distrarci dal quale la grancassa della destabilizzazione globale sta dando il meglio di sé, fra guerre mediorientali e impeachment statunitensi. Bene, possono comunicarvi che si è palesato proprio nell’arco di questo weekend. Anzi, occorre essere onesti: è stato sventato venerdì 11 ottobre. Nel silenzio generale.



Meglio così, per carità, ora però occorre vigilare con enorme attenzione, perché senza che nessuno se ne accorgesse, le Banche centrali del mondo hanno rimesso mano al loro arsenale. E con magnitudo massima, roba da allarme rosso. Quindi, d’ora in poi ogni scossone rischia di essere qualcosa di più sistemico che una mera correzione in corso. Lo so, vi sembro pazzo. D’altronde, i telegiornali non hanno detto una parola al riguardo. Li ho sentiti tutti, anche quelli della notte. Volevo la riprova e per questo mi sono sorbito rassegne stampa e pseudo-approfondimenti. Nulla. Zero. E allora ve lo dico io. Venerdì pomeriggio, quando a New York era circa l’ora di pranzo e da noi quasi quella dell’aperitivo, sul sito della Federal Reserve compariva un comunicato, il cui contenuto era decisamente interessante. E riassumibile così: signori, si riparte con il Qe! E in fretta e fuori, la situazione era divenuta apparentemente di colpo talmente urgente da non poter attendere nemmeno la riunione del Fomc in programma per il 29-30 ottobre prossimi. Non si potevano aspettare nemmeno quindici giorni.



Vi dice qualcosa questo? Se no, allora sentite i particolari di quel comunicato, l’operatività del nuovo Qe che la Fed non vuole venga definito tale, poiché differisce da quelli precedenti per la finalità di mera ricostituzione del livello di riserve. La Banca centrale Usa ha comunicato che da domani, 15 ottobre, ricomincerà acquisti diretti sul mercato per un ammontare mensile approssimativo di 60 miliardi al mese, “almeno fino al secondo trimestre inoltrato del prossimo anno” al fine di “riportare il bilancio delle riserve su un livello ampio o comunque pari a quello precedente al settembre 2019”. La nota, infatti, si apre dichiarando che la mossa del Comitato monetario (Fomc) è stata presa “alla luce del recente e inaspettato aumento delle liabilities sulle riserve”. Ovvero, il pasticciaccio brutto sul mercato repo di cui vi parlo da metà settembre. Tradotto, il mercato – quello esposto alla leva e al rischio di controparte peggio che nel 2008 – ha bisogno di denaro a costo zero con il badile: altrimenti, salta tutto. Semplicemente.



E a riprova di questo, si scopre che le aste sia repo che term in atto – già prolungate per due volte dal 17 settembre scorso – proseguiranno non più fino al 4 novembre, ma “fino almeno a tutto il mese di gennaio del prossimo anno”. Ecco perché vi dico la Fed ha salvato il mondo lo scorso weekend. Ha messo in campo un arsenale vero e proprio, una cura da cavallo. Proprio per questo, quindi, ora è salutare il fatto che tutti ci si cominci a preoccupare sul serio, vista l’emergenzialità e la magnitudo dell’intervento preannunciato dal nulla e al termine di una riunione del Fomc che appare essere stata convocata in fretta e furia, senza preavviso. In tempo record e per una ragione che temo fosse poco tranquillizzante, altrimenti non si spiegherebbe la necessità di un meeting fuori programma, quando da qui a due settimane era già in calendario la riunione periodica dello stesso Comitato monetario.

Sono paranoico? Probabile. Datemi però una spiegazione differente a questa scelta, se non quella di una situazione sul mercato che potrebbe aver portato con sé una riapertura da incubo questa mattina, roba da tracollo. Signori, il piano annunciato dalla Fed e finito nelle brevi di economia dei quotidiani va addirittura oltre a quello smaccatamente interessato che ha presentato il giorno precedente Goldman Sachs, il quale contemplava quattro mesi di acquisti diretti sul mercato a partire da novembre per un controvalore di 60 miliardi al mese. Insomma, 240 miliardi di controvalore che sarebbero in linea con le stime di carenze di riserve che il mercato prezza per la Banca centrale Usa, le stesse che avrebbero messo in difficoltà il mercato interbancario sui tassi repo e obbligato la stessa Federal Reserve al primo intervento, temporaneo mai diretto (dopo un decennio di dieta e poi addirittura di tapering e redemptions), sul mercato. Jerome Powell è andato oltre.

E che qualcosa stesse per accadere, in effetti, lo si era capito un pochino prima della pubblicazione del comunicato, proprio al termine dell’asta repo del mattino tenuto dalla Fed di New York: le richieste di liquidità da parte di soggetti finanziari erano state pari a 61,55 miliardi di dollari, un +35% in un giorno rispetto ai 45,5 miliardi del 10 ottobre. Il tutto, mentre l’asta term a 6 giorni aveva invece mostrato segni di stabilizzazione, con le richieste ferme a 21,15 miliardi, metà circa delle richieste dell’altra iniezione di liquidità a medio termine (in quel caso, a 14 giorni) del 10 ottobre. Insomma, qualcuno pare avesse avuto bisogno di cash per superare il weekend, pronta cassa. E chi era, se c’era, il grande malato, al netto della scarsezza di riserve della Federal Reserve, a sua volta sintomo di una fragilità sistemica da esposizione monstre alla leva e terrore generale sul rischio di controparte?

A dare qualche indizio in più ci aveva pensato già dal primissimo mattino di venerdì il Financial Times, nel quale compariva un articolo decisamente interessante: la Fed sarebbe intenzionata a esentare le banche straniere operanti negli Usa attraverso loro filiali dalla regolamentazione più stringente proprio sui requisiti di liquidità. E il quotidiano della City non basava la propria ricostruzione su alcuni sentito dire provenienti dalle sale trading, ma da qualcuno così addentro alla faccenda da citare direttamente Randal Quarles, vice-presidente del Comitato per la regolamentazione bancaria della Federal Reserve, come ispiratore della mossa. In parole povere, ogni nuovo tipo di richiesta regolatoria nei confronti di banche straniere dovrà essere concordato con le istituzioni del Paese di origine, al fine di evitare vulnus legislativi e potenziali conflitti territoriali o di competenza. Il più classico e burocratici degli alibi in punta di cavillo, a detta di molti. E chi beneficerebbe maggiormente da questa sorta di esenzione dai requisiti legati alla liquidità?

Questa tabella parla decisamente chiaro al riguardo e getta una luce decisamente poco tranquillizzante sull’accelerazione della Fed nel suo cambio di policy monetaria e sull’asta repo del mattino, con la sua richiesta di liquidità per il fine settimana eccezionalmente e inaspettatamente alta. Ovvero, la Federal Reserve, onde evitare anche solo la percezione di una nuova Lehman Brothers che possa emergere dall’operatività di Deutsche Bank negli Usa attraverso il suo spregiudicato desk di investimento, sta di fatto salvando il gigante tedesco dai piedi d’argilla Poco importa, ormai.

E sapete perché? Perché visti gli ultimi sviluppi, debitamente passati sotto silenzio dai media, la questione non pare più confinata a singoli soggetti too big to fail, siano essi rintracciabili in Deutsche Bank o in qualche colosso creditizio giapponese troppo esposto su Softbank e sullo schema Ponzi di WeWork: era la giostra nel suo insieme che stava per fermarsi del tutto, era il sistema che stava crollando come un castello di carte. Un’altra volta. Sarà per questo, forse, che i media hanno debitamente silenziato l’accaduto e, soprattutto, la sua assolutamente irrituale emergenzialità di timing? In compenso, grande spazio al martirio dei curdi. E all’embrione di accordo commerciale fra Usa e Cina, comunicato da Donald Trump in persona poco dopo la pubblicazione del comunicato della Fed. A detta dello stesso presidente, “una fase 1, un passo parziale”.

E a cosa avrebbe portato la stretta di mano fra Trump e il vice-premier cinese, Liu He? Rinvio degli aumenti tariffari previsti per domani (data in cui, invece, la Fed comincerà a comprare Treasuries per rimpolpare le riserve), stand-by rispetto a quelli – ben più corposi – previsti invece per il 15 dicembre, revisione della black-list statunitense ed eliminazione dell’etichetta di “manipolatore valutario” nei confronti di Pechino, creazione di un tavolo di discussione separato per la vicenda Huawei, la quale comunque sarà secondaria e temporalmente successiva rispetto alla questione generale dei dazi. Il tutto, appunto, ancora da completare nei dettagli e, soprattutto, da mettere nero su bianco. In parole povere e alla luce dei precedenti, il nulla. Eppure, Wall Street ha festeggiato. Sotto i massimi di giornata ma ha festeggiato. Mentre dopo il comunicato della Fed era rimasta ferma, quasi sapesse che sarebbe successo. E ora, quindi?

Questo grafico, relativo all’andamento dello Standard&Poor’s 500 negli ultimi giorni che hanno portato all’annuncio di “accordo” fra Washington e Pechino pare la prova provata, l’ennesima conferma di quanto vi dico da sempre: se esiste un catalizzatore in grado di operare da driver dei listini (non potendo i buybacks durare in eterno, fosse anche solo perché vanno in qualche modo finanziati), questo è stato proprio il continuo stop-and-go legato al conflitto commerciale, perfetto creatore a freddo di news – più o meno vere – che fanno reagire gli algoritmi come cani di Pavlov e garantiscono short squeeze epocali a ripetizione.

Ma il giochino era arrivato alla fine, perché i nuovi dazi che avrebbero dovuto entrare in vigore da domani (e ancora di più quelli previsti per il 15 dicembre) rischiavano di fare davvero male ai consumi Usa, oltretutto rendendo palese la perdita di potere d’acquisto e la stagnazione salariale di questi anni di falso boom, a tutto e unico vantaggio delle élites finanziarie, come mostra il grafico. La Cina, poi, è alla canna del gas con l’approvvigionamento da import agricolo, carne di maiale in testa e con i prezzi in pericolosa spirale.

E ora, però, chi sosterrà Wall Street e i suoi continui massimi? La Fed, la quale da domani ricomincia a comprare con il badile. E, contemporaneamente, continuerà fino a fine gennaio 2020 a rifornire di liquidità le istituzioni finanziarie ogni mattina con aste repo e term. Pensate ancora che io sia paranoico e che non esista alcuna strategia pre-ordinata in quanto sta accadendo, almeno da un anno e mezzo a questa parte?