Mala tempora currunt? Certamente sono tempi difficili. E pericolosi. Ma forieri di possibilità, se si avesse il coraggio di affrontarli a testa alta. Ad esempio, nessuno vi ha detto che il mito incrollabile di Greta Thunberg sta non solo vacillando, ma, quasi si trattasse di una sorta di contrappasso dantesco, scivolando lentamente dagli allori al fango. Vi invito a guardare questo video, il quale ci mostra come in soli 6 minuti e 38 secondi, SkyNews Australia abbia letteralmente seppellito l’attivista ambientalista.
Ecco la definizione che di lei ha offerto ai telespettatori l’anchorman di punta dell’emittente, Andrew Bolt: Solamente una ragazzina, piena di rabbia, ossessionata da visioni apocalittiche, totalmente priva di soluzioni pratiche ma portata talmente in palmo di mano da aver dettato al mondo l’agenda energetica per le economie del 21mo secolo. Tradotto, siamo degli imbecilli che si sono fatti letteralmente rovinare da una 16enne con evidenti problemi della sfera comportamentale. Quando – mesi fa – ho sostenuto su queste pagine le medesime argomentazioni, calcando un po’ la mano, il massimo che ho ottenuto è stata un’autorevole mail di insulti e contumelie. Il tempo è galantuomo, d’altronde. E quella mail la conservo gelosamente, stile reliquia.
Detto questo, state certi che il brutto scivolone in cui è incorso martedì Mario Draghi sta lì a ricordarcelo come, alla fine, il conto arrivi sempre al tavolo. Già, mentre tutti oggi vi parleranno del discorso tenuto dal presidente del Consiglio facente funzioni al Meeting, io preferisco sottolineare quanto ha sostenuto 24 ore prima. Ovvero, appena libratesi nell’aria le prime polemiche sulle sanzioni innescate sempre a Rimini da Matteo Salvini e prontamente rintuzzate da Enrico Letta e Giorgia Meloni. Palazzo Chigi sembrò aver dimenticato la dizione affari correnti e pose un’ipoteca suicida sulla politica estera del futuro esecutivo: L’Italia è al fianco e resterà al fianco dell’Ucraina.
E se a inquietare è la prospettiva che un’uscita così drastica sia da annoverare fra gli elementi di sospetto per un Draghi-bis già ormai in lavorazione, ecco che ancor più serio appare il contesto internazionale in cui questa frase va a incastonarsi. La Conferenza per la Crimea, assise in cui Volodymir Zelensky ha ribadito la sua intenzione di riconquistare la regione russofona e Ursula von der Leyen ha sentenziato come Bruxelles non riconoscerà mai la Crimea come parte della Federazione Russa.
Ora, appare inutile ribadire come la Crimea stia alla Russia come Taiwan sta alla Cina: una red line diplomatica assoluta. Varcata la quale, si spalanca l’insondabile. Il tutto accadeva nelle ore in cui gli occhi di tutto il Continente europeo erano fissi sulle valutazioni del gas naturale ad Amsterdam, dopo l’approdo in area 300 euro per MWh di lunedì. Qual è quindi l’enorme problema insito in quell’uscita di Mario Draghi? Ce lo mostra questo grafico: nelle medesime ore, a New York il prezzo del gas naturale Usa toccava (e brevemente superava) la quota psicologica dei 10 dollari per milione di unità termiche britanniche (MMBtu), livello che non si conosceva addirittura dal 2008.
Come notate dal grafico, però, nell’arco di poco tempo quella valutazione record ha conosciuto in tracollo. Cos’è successo? Hanno scoperto un giacimento sotto la Casa Bianca? No. Come ricorderete, lo scorso giugno un enorme incendio colpì il terminale di Quintana, in Texas, della Freeport LNG, secondo esportatore Usa (oltre il 20% del totale dell’export) e hub primario per gli invii del gas liquefatto statunitense verso l’Europa. Fu un brutto colpo, perché le prime indiscrezioni parlavano di danni tali da limitare l’operatività fino alla fine dell’anno. Detto fatto, la miracolosa alternativa a Gazprom garantita dall’amico americano veniva a mancare. Proprio nel momento peggiore, perché in estate sarebbe stato fondamentale approvvigionarsi in alternativa a Mosca e ai suoi blocchi dei flussi per riempire gli stoccaggi. Non a caso, immediatamente dopo partiva il tour internazionale di questua di Mario Draghi e Luigi Di Maio fra Angola e Algeria. Chiaramente, i media spacciarono quei contratti come oro colato, peccato che nel primo caso si trattasse di volumi quasi simbolici e legati a una situazione di stabilità e affidabilità politica prossima allo zero e nel secondo, addirittura, di un Paese che vedeva Gazprom fare il bello e cattivo tempo – in maniera più o meno ufficiale – nel board dell’azienda energetica statale.
Torniamo quindi all’oggi. Anzi, a lunedì. E a quel calo drastico del prezzo. Cosa lo ha garantito? Mezz’ora dopo lo sfondamento di quota 10 dollari, la Freeport LNG ha emesso un comunicato nel quale rimandava a metà novembre il ripristino totale delle attività di esportazione. Casualmente, dopo il voto di mid-term che si terrà l’8 di quel mese. Casualmente, dopo che solo il venerdì precedente con un altro comunicato aveva invece confermato il via libera alle esportazioni dal terminal di Quintana a partire da inizio ottobre. Tradotto, altri mesi di stop al gas Usa verso l’Europa e maggiori forniture interne. Puff, il prezzo si sgonfia come un soufflé.
Ora, se questa è l’alternativa più credibile – sia a livello di volumi che di profilo di credibilità del fornitore – a Gazprom, come vi pare che vada letta l’uscita di Mario Draghi di totale continuità nel sostegno politico, militare e finanziario dell’Italia all’Ucraina, proprio mentre Zelensky ribadiva la sua intenzione di attraversare la red line della Crimea? A casa mia si chiama suicidio. Esattamente come lo è stato garantire a Greta Thunberg di dettare l’agenda energetica al mondo, di fatto driver strutturale della crisi che la guerra in Ucraina ha fatto detonare del tutto. Ma non ha scatenato, ricordiamocelo sempre.
Non vi pare che ci sia la più palese delle agende nascoste (scusate l’ossimoro) dietro quanto sta accadendo e si sta lentamente disvelando? Sicuri che sia il momento di mettersi frontalmente contro il Cremlino, soprattutto dopo l’avvertimento decisamente palese che Mosca ha inviato a Estonia e Austria per il caso Dugin? Vogliamo proprio cercare i guai con il lanternino? Oppure l’intera vicenda è ben più complessa, grave e articolata di quanto sembri?
Pensatela come volete al riguardo, ma fissatevi in testa un concetto che nessuno, in punta di buonafede, può negare: l’Italia, a oggi, non ha alcuna alternativa credibile a Gazprom. Nessuna. Ora, fate il vostro gioco. Una sola cosa mi premerebbe chiedere, ottenendo una risposta sincera: mentre erano sul palco del Meeting e in contemporanea accadeva tutto questo sul tema esiziale dell’energia, i principali protagonisti politici del voto autunnale ne erano consci, informati e consapevoli per almeno un 10%?
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