Fossi di indole vendicativa, oggi avrei potuto divertirmi. E tanto. Ma vedere le acrobazie degne di Will Coyote dei sovranisti e dei loro fiancheggiatori mediatici, sorti come funghi nel giugno dello scorso anno e oggi sempre più in modalità “discesa dal carro”, mi basta e avanza, è di per sé uno spettacolo rinfrancante. Non perché abbia un tornaconto personale, bensì perché – come l’arcobaleno – anticipa l’arrivo del bel tempo. E la fine di quel temporale di idiozie e balle sesquipedali che è stato il cosiddetto “Governo del cambiamento”. Tant’è, bene così. D’altronde, mi pare di aver detto che dare per morti Macron e Merkel significava non capire nulla in tempi non sospetti. Cioè, quando i “gilet gialli” sembravano i nuovi Sanculotti proti a prendere la Bastiglia e la Cancelliera perdeva un’elezione amministrativa alla settimana. Bene, guardate le nuove nomine delle istituzioni Ue e tirate da soli le somme: dove è finita l’ondata sovranista alle europee che doveva ribaltare l’Unione come un calzino, ponendo fine all’era Juncker?
Ora abbiamo una fedelissima della Merkel appoggiata da Macron al suo posto. E Christine Lagarde, la quale non mi pare un’ungherese pappa e ciccia con Orban (anzi, è una parigina molto altezzosa e fresca di guida di quello stesso Fmi che ha gestito in prima persona la crisi greca, imponendo una cura draconiana), al posto di Mario Draghi alla Bce. Un capolavoro di patetica impotenza, ecco cosa ha saputo portare a casa il ministro Salvini con la sua retorica. Non a caso, ora dedica tutto il suo tempo alla guerra senza quartiere contro Carola, le Ong e la magistratura. Si parla poco di Europa, in casa sovranista. E ancora meno di quell’assestamento di bilancio che, in realtà, è stata una vera e propria manovra correttiva, fatta su impulso europeo e benedetta dal presidente Mattarella in persona.
Non a caso, ancora una volta, il documento uscito dal Consiglio dei ministri di lunedì che certificava il deficit al 2,04% e non al 2,4% non reca le firme dei due vice-premier: uno era assente (pare giustificato), l’altro è andato via prima. Ora dovranno cominciare a dare delle spiegazioni ai rispettivi elettori, in particolare quelli del Nord che sono decisamente stanchini dei “no” statalisti e assistenzialisti dei Cinque Stelle. Auguri. Detto questo, paradossalmente le nomine europee ne hanno oscurato una che io ritengo ancora più importante. Quantomeno, a livello simbolico e strutturale.
Martedì, infatti, non si distribuivano sedie solo fra Strasburgo e Bruxelles, ma anche a Washington, dove il presidente Donald Trump finalmente poteva esercitare le sue prerogative e indicare due nuovi membri del board della Fed. E chi ha scelto, il buon Donald? Primo, Christopher Wallen, eminente docente di economia alla Notre Dame University e già membro del consiglio della influente Fed di St. Louis. E fin qui, nessuna sorpresa. Un pochino più significativa e, a suo modo, decisamente storica e rivoluzionaria la seconda nomina presidenziale: Judy Shelton.
Direte voi, chi è? E avete ragione. La dottoressa Shelton non è un’economista nota per la sua partecipazione a simposi internazionali o per ospitate televisive, non ha vinto premi o scritto decine di libri. È membro fondatore del think tank Empower America ed ex membro del board dei direttori della Hilton Hotels, laureata in economia e con un dottorato di ricerca. Ma, soprattutto, è advisor economico della Casa Bianca, una liberista ante litteram e una sostenitrice del gold standard.
Questa che vedete nel grafico è infatti la reazione del prezzo dell’oro, già ai massimi da otto anni, alla notizia della sua nomina: dieci dollari nell’arco di pochi istanti, passando da 1.425 dollari all’oncia a 1.435. Perché? Semplice. Ecco una dichiarazione risalente allo scorso maggio di lady Shelton riportata da Bloomberg: “Se nominata alla FED, mi batterei per portare i tassi a 0 entro uno o al massimo due anni…”. Ma soprattutto questo, tratto da un articolo scritto dalla stessa Shelton per il Wall Street Journal: “È totalmente legittimo e interamente prudente mettere in questione l’infallibilità della Federal Reserve nel calibrare la fornitura di moneta in base alle necessità reali dell’economia. Nessun’altra istituzione ha avuto più influenza e responsabilità riguardo la creazione di moneta e credito nei periodi precedenti alla devastante crisi globale del 2008. E la risposta della Fed a quella crisi potrebbe aver esacerbato il danno… Data la sua stessa natura di tutela del valore al di là dei confini geografici e di tempo e di unità di conto su cui far affidamento, è assolutamente ragionevole chiedersi se queste due prerogative del denaro non siano maggiormente assicurate da un suo ancoraggio all’oro o a qualche altro riferimento, piuttosto che basarsi unicamente sul giudizio di una dozzina di funzionari che si incontrano otto volte all’anno per decidere i tassi di interesse. Un sistema collegato potrebbe permettere la convertibilità della valuta sia agli individui (come sotto un gold standard) che alle Banche centrali estere (come sotto Bretton Woods)”.
Altro che Lagarde alla Bce, signori miei! Abbiamo una cultrice del gold standard in seno al board della Fed, oltretutto su diretta nomina presidenziale! Richard Nixon si starà ribaltando nella tomba. Signori, questa non è solo una rivoluzione, è un segnale enorme, clamoroso, epocale. Un segno dei tempi e la conferma di quanto vi dico da sempre: la presidenza Trump, nella sua interezza ontologica, è stata soltanto un enorme esperimento economico-politico-sociale di massa, un laboratorio degno di Frankenstein per preparare gli Usa e il mondo al nuovo ordine che i disastri finanziari giocoforza ci imporranno e che solo un’eccezione politica della Storia poteva prodromicamente rendere normale, accettabile, distopicamente benvenuto. Il famoso concetto da rana bollita di Noam Chomsky di new normal, la vera missione statutaria dell’amministrazione Usa. Ovvero, tassi a zero o negativi praticamente a vita. O, quantomeno, per decenni interi.
È un cambio totale di paradigma e di approccio, il quale ovviamente non vedrà la Shelton cambiare le regole del gioco e imporre un nuovo gold-standard al dollaro (non fosse altro perché è l’unico membro a volerlo, per ora), ma senza un “pazzo” alla Casa Bianca la sua nomina non sarebbe mai stata possibile o accettabile, avrebbe rappresentato un vulnus culturale al limite della bestemmia e dell’iconoclastia monetaria. Una donna, economista, la quale non solo rivendica la bontà di un collegamento fra moneta e oro, ma addirittura dice chiaro e tondo che la Fed, così com’è, non solo non è infallibile, ma appare invece un’istituzione vecchia, paludata e disfunzionale rispetto alle reali esigenze e ai tempi mutati dell’economia. Soltanto Donald Trump – e l’élite reale che lo ha messo a Pennsylvania Avenue per questo – poteva scoperchiare un vaso di Pandora simile, senza che le Borse reagissero come cani di Pavlov strafatti di Lsd.
D’altronde, signori, questo grafico parla chiaro: i governi “in lotta” con gli Usa – vedi Cina e Russia – stanno acquistando oro fisico da trimestri interi e da inizio anno lo stanno facendo come se ci fosse una guerra atomica dietro l’angolo. L’intento è chiaro, oltre a quello ufficiale della diversificazione delle riserve: de-dollarizzare l’economia e rafforzare il ruolo di benchmark alternativo delle loro monete nel mondo a livello commerciale e finanziario, di fatto dando vita a un implicito status di gold-backing. Ovvero, un gold standard parallelo da parte di quelle che un tempo venivano definite appendici di un “Impero del male” globale.
Non a caso, i Paesi africani paiono intenzionati a dare l’addio al franco coloniale o CFA per adottare lo yuan come divisa parallela: chissà se adesso Giorgia Meloni e soci saranno soddisfatti, dopo aver millantato di aver battuto Macron nelle urne e nella lotta per le nomine europee. Signori, il 2008 ci ha cambiati totalmente. Ha cambiato il mondo, la sua narrazione economica e il suo paradigma di sviluppo: dalla globalizzazione siamo passati al neo-imperialismo travestito da sovranismo, quindi occorre rafforzare le valute con strumenti che non paghino gli azzardi della finanza e della leva. E che, anzi, come l’oro (o le criptovalute) ne beneficino, come ci mostra il rally infinito del metallo prezioso di queste settimane, sotto i colpi di una crisi imminente che innesca fughe verso i beni rifugio.
Mercoledì una piccola rivoluzione ha sconvolto il mondo, mentre noi prendevamo atto dell’ovvio. Ovvero, della scontata vittoria di Merkel e Macron contro un esercito di scappati di casa che tentava l’assalto al Palazzo d’inverno armato solo con le pistole ad acqua della propaganda e dell’esasperazione della gente per la classe dirigente che l’ha preceduto. Signori, stiamo entrando in una nuova epoca. Il contrappasso, il riscaldamento pre-partita del sovranismo globale sta per finire, ora i dogmi sono crollati e tutto è accettabile, possibile e applicabile. Non stupitevi, quindi, se a breve arriveranno altre sorprese. Clamorose. Perché lo faranno silenziosamente e sotto traccia, come la nomina della sconosciuta Judy Shelton a membro del board della Fed. Per capirci, il corrispettivo economico di Lionel Messi che arriva al Frosinone a parametro zero.
P.S.: Strano tempismo per l’altrettanto strano attacco – oserei dire di matrice “chirurgica”, stante l’alto tasso di messaggistica simbolica – contro un centro profughi in Libia da parte delle milizie fedeli al generale Haftar, ieri mattina. In pieno “caso Carola Rackete”, subito dopo l’incontro riservato fra il ministro Salvini e al-Sarraj a Milano (capace di preoccupare e irritare non poco il Colle e la Farnesina) e alla vigilia dell’arrivo a Roma di Vladimir Putin per una visita-lampo ufficiale. Qualcuno, forse, l’ha fatta fuori dal vaso, volendo ricorrere a un’alta ed elegante figura retorica del gergo diplomatico. E si sa che ai funerali delle vittime, i mazzi di fiori più grandi e costosi li mandano quasi sempre gli assassini. Ho il sospetto che, a giorni, la questione del gasdotto Tap tornerà prepotentemente al centro del dibattito politico italiano. Ma, quasi certamente, mi sbaglierò anche questa volta. Nel frattempo, godiamoci l’ultimo tassello del trionfo sovranista in Europa, quello definitivo: David Sassoli a capo dell’Europarlamento.