Sono poche le cose che nella vita mi danno più fastidio di essere d’accordo con Emmanuel Macron. Ma il suo appello all’Europa affinché si dia una svegliata, altrimenti gli Stati Uniti del Trump in modalità protezionista ci divorano, va sottoscritto. Non fosse altro alla luce di questo grafico.
Davvero continuate a pensare che Joe Biden fosse un soggetto da Rsa, incapace di gestire l’agenda tardo imperiale degli Usa? Ripensateci. Ecco la fotografia impietosa dell’Europa a rischio di finire divorata in un sol boccone.
L’operazione Ucraina nel suo risvolto sanzionatorio in combinato con il delirante Green Deal della Commissione Ue – di cui gli Usa si sono fatti beffe, esattamente come Cina e India – ha generato questo capolavoro di deindustrializzazione e perdita di competitività industriale. I costi energetici mettono l’Europa totalmente in fuorigioco. Impossibile colmare il gap con Usa e Cina. E persino la Russia che avremmo dovuto spedire in miseria e in default, ora ride. E più scenderanno le temperature, più riderà. E non facciamoci illusioni: Donald Trump non farà prigionieri. La sua missione a Pennsylvania Avenue sarà proprio quella di intraprendere e terminare la fase 2 di quanto iniziato da Joe Biden. Una volta scoperto il collo dell’Europa, azzannare. Dazi. Tariffe.
Ecco perché, tardivamente, l’Ue ha spedito una delegazione di sherpa di alto profilo a Pechino per cercare una mediazione sulla questione dell’auto elettrica. Perché dopo aver votato per i dazi penalizzanti, qualcuno a Bruxelles ha fatto due più due. E capito che qualcun altro sta giocando con la maglietta di un’altra squadra. Seppur ben nascosta sotto quella blu stellata. Temo sia tardi. Non fosse altro per il trattamento riservato dall’Europa alla Cina nell’ultimo anno. E l’accoglienza da parvenu platealmente ostentata la scorsa settimana dalle autorità del Dragone al ministro degli Esteri tedesco in visita ufficiale, parla chiaro. Rapporti a dir poco gelidi. E per tentare di riscaldarli, Bruxelles dovrà concedere. Concedere tanto.
Nel frattempo, la Germania sprofonda in crisi politica. L’Italia si divide in curva sud e curva nord rispetto a chi ama e odia maggiormente Donald Trump. E solo la Francia, al netto e alla luce dei suoi conti pubblici da incubo, sembra suonare una tardiva sveglia.
Ma attenzione a quanto emerso dalla riunione della Fed di giovedì. E non mi riferisco al taglio di ulteriori 25 punti base dei tassi. I mercati, non a caso, l’hanno totalmente ignorato. Bensì al contenuto tutto politico, simbolico e quasi messianico di alcune risposte fornite da Jerome Powell nel corso della conferenza stampa. Ad esempio, questo scambio quasi tennistico. Eccone il testo. La reporter chiede: If President Trump asked you to leave, would you go? E Powell risponde gelido: No. Poi la reporter allora incalza: Can you follow up on that? Do you think legally you’re not required to leave? E Powell ancora più gelido: No. Cos’ha trasformato di colpo l’agnellino che presiede con postura umile e quasi servile la Fed, il capro espiatorio silente di ogni caos di mercato, il Monsieur Malausséne di ogni rogna inflazionistica, il ragionier Filini dell’Impero, nel fratello di Rambo? Sfidare l’uomo del giorno nel pieno del suo trionfo globale. Forse il fatto che, prima che di prendere la parola, il medesimo Jerome Powell ha incassato la certezza informale di riconferma fino alla scadenza naturale del suo mandato nel 2026? Non solo. Ancorché questa mossa parli chiaro, stante le minacce continue che la prima Amministrazione Trump riservò alla Banca centrale. L’alzata di cresta e di ingegno del Governatore della Federal Reserve ha molto a che fare con quanto descritto nella prima parte dell’articolo. Ovvero, Donald Trump è stato messo alla Casa Bianca unicamente per distruggere del tutto l’Europa a livello di competitività economica e gestirne la spartizione con la Cina. Ma a tenere in piedi il Paese, lo stesso che nel giorno del voto presentava questa dinamica debitoria e che fra 72 ore emetterà oltre 70 miliardi di nuovi Bills, ci penserà la Fed. È la Banca centrale a decidere. La Casa Bianca deve disporre.
Vi faccio un esempio. Sapete come ha risposto Jerome Powell alla domanda di un giornalista rispetto alle contromosse che la Fed starebbe approntando in caso stagflazione legata al continuo taglio dei tassi? Il nostro unico piano contro la stagflazione è quello di non dover averci a che fare. Spavaldo. Quasi irridente. Di colpo. Dopo mesi e mesi in modalità da sobrio e intimidito passacarte. Jerome Powell con quel no opposto a chi gli chiedeva se si fosse dimesso, in caso Donald Trump lo avesse chiesto, ha sancito la superiorità della Fed sulla legge. Sulla Costituzione. E soprattutto sul tycoon impresentabile che, se vuole restare dov’è e poi godersi una vecchiaia ricca e lontana dai tribunali, dovrà fare esattamente quanto gli verrà telegrafato. Guerra all’Europa.
Non a caso, l’agente sotto copertura degli interessi Dem statunitensi nel Vecchio Continente, Emmanuel Macron, lancia il tardivo allarme. Perché uno come Donald Trump, se messo alle strette, può imbizzarrirsi. E a quel punto, creare danni. E recitare a soggetto una parte che invece necessita pedissequa esecuzione del copione. Quale? Quello comunicato dalla Fed al mondo su mandato dei suoi datori di lavoro – ovvero, le banche commerciali e di investimento – e che sancisce, attraverso un taglio dei tassi in confermato regime di prezzi ancora elevati, come il target del 2% sia ormai retaggio antico. Jerome Powell ha comunicato urbi et orbi che, da ora in poi, i tassi si possono abbassare in serie anche con dinamiche dei prezzi che non solo vanno ancora in overshooting ma, sul breve termine, addirittura mostrano palesi e inequivocabili segnali di un imminente colpo di coda. D’altronde, quando sei la Banca centrale di un Paese il cui debito cresce di 1 trilione ogni 90 giorni, l’inflazione serve. E serve strutturalmente.
E quale sarà il passo successivo, quasi automatico, ciò per cui occorre far sprofondare l’Europa nel baratro per genere l’alibi? Se si può operare in maniera espansiva attraverso la leva ordinaria sui tassi con i prezzi ancora alti e in procinto di salire di nuovo, cosa vieterà un domani non troppo distante anche di acquistare assets nel medesimo contesto? Se, ad esempio, i prestiti al commercial real estate rischiassero la prossima primavera di generare prodromi di stagflazione, occorrerà operare come con la stagflazione. Ovvero, evitare del tutto che il problema si ponga. Qe perenne e strutturale. Capolavoro. A cui ora serve solo il finale da Oscar: schiantare l’Eurozona.
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