Si ricomincia. Nel giorno in cui il Governo Scholz annunciava un piano di sostegno energetico quinquennale per le aziende tedesche (12 miliardi di euro solo per il 2024), ecco che la vera notizia arrivava da Siemens Energy, controllata di Siemens AG e da giovedì beneficiaria di garanzie statali per i progetti di affrancamento dal fossile. Tradotto, eolico e turbine.



Di fatto, il medesimo piano di transizione senza paracadute che ha fatto perdere al titolo il 66% in sei mesi. Ovviamente, giovedì un bel +8% pagato da Herr Pantalonen, come mostra il grafico.

Ma ospitando i Verdi nella coalizione e non potendo farne a meno, Olaf Scholz ha benedetto il piano di garanzia come un sostegno dello Stato a una rivoluzione energetica ineluttabile che, al netto dei costi attuali, garantirà enormi benefici futuri. Insomma, il famoso debito buono. Di Stato. Ma qualcosa comincia davvero a scricchiolare e questo grafico mette la situazione plasticamente in prospettiva per l’intera eurozona.



La scorsa settimana il prezzo del gas ad Amsterdam è sceso del 15% dopo un rally del 20% innescatosi attorno al 3 ottobre, quando le tensioni mediorientali forse avevano inviato qualche spoiler sulle intenzioni a breve di Hamas. Il 7 novembre, un mese esatto dall’attacco, il prezzo del gas europeo – nonostante l’offensiva a Gaza in pieno svolgimento e con la variabile Iran sempre latente – era tornato al di sotto del livello pre-attentato. Insomma, la volatilità energetica è il new normal. E la geopolitica il suo modello di VaR. Al netto della mera speculazione futures, il lato della fornitura resta cruciale. E, soprattutto, il riemergere di un’inflazione al 4% nelle aspettative a 12 mesi dell’eurozona pubblicate solo mercoledì scorso da Eurostat parla chiaro.



C’è il forte rischio che l’energia segua l’esempio di Hamas e opti per la logica del sequestro. In ostaggio, però, finirebbero le politiche delle Banche centrali legate ai tassi. Bce in testa. Non a caso, venerdì Christine Lagarde ha escluso tagli dei tassi nei primi due trimestri del 2024. Precauzionale. Ancorché non credibile, a meno di non voler perseguire una recessione senza precedenti. E quel potere di ricatto rende questione di lana caprina ed esercizio di stile il discrimine sulle componenti più o meno volatili degli indicatori: se la Russia ha pagato un prezzo alle sanzioni via rublo e SWIFT, il livello del suo export energetico parla altrettanto chiaro su quanto quel regime non fosse sostenibile – paradossalmente – in primis proprio per chi lo imponeva.

Se il Governo tedesco deve mettere potenzialmente sul piatto 60 miliardi di euro in 5 anni di sostegno alle imprese, in attesa che trovino fornitori di energia garantita e a basso costo ex-Russia (nonostante l’accordo pluriennale già firmato col Qatar), oltre a miliardi di garanzia statali sugli investimenti di transizione di Siemens Energy, significa che la strategia Ucraina per accelerare l’affrancamento da Gazprom è totalmente fallita. Se uniamo a quanto appena stanziato, i quasi 100 miliardi spesi da Berlino lo scorso anno per salvare e nazionalizzare Uniper e calmierare i prezzi per famiglie e imprese, ecco che l’ulteriore salasso delle garanzie statali che rischiano di diventare una politica strutturale per qualsiasi comparto strategico vada in crisi, delinea un quadro cupo. Traslato a un’Italia senza reali alternative a Gazprom, stante la chimera algerina già rivelatasi tale e senza soprattutto la capacità di spesa tedesca, addirittura da incubo.

Ecco perché Giancarlo Giorgetti ha posto il veto all’Ecofin: meglio le vecchie, rigide regole del Patto di Stabilità pre-Covid che la mannaia sul deficit proposta all’ultim’ora dal rinnovato patto renano fra Germania e Francia. Perché il deficit ormai è come la carta di credito per l’Italia: senza non si arriva a fine mese. E due economie in recessione come quelle tedesca e francese sanno che zavorrare le caviglie alla concorrenza italiana può garantire loro una boccata di ossigeno, stante la differente produttività.

Il Governo non ha nulla da dire, a fronte di quasi 200 miliardi di euro messi in campo da Berlino come aiuto di Stato alle imprese per i prossimi 5 anni? Questo è il momento di battere i pugni. E se serve, seguire l’esempio di Giancarlo Giorgetti in ogni sede e su ogni tema: veto. O morte della nostra economia.

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