Non volevo dilungarmi nel commentare il suicidio politico, culturale ed economico posto in essere dall’Europarlamento con la risoluzione anti-russa votata giovedì a stragrande maggioranza, mascherata com’era da difesa dei diritti umani nel caso Navalny e dell’integrità territoriale dell’Ucraina.
Ma lo farò, mi spiace. In principio, nel documentarmi al riguardo, avevo deciso di limitarmi ad assolvere al compito che il 99,9% della categoria giornalistica italiana ha bellamente e scientemente ignorato, comunicando la notizia della dichiarazione di persona non grata nei confronti del presidente David Sassoli e di altri sette alti funzionari Ue: informarvi. Ovvero, darvi la possibilità di leggere la mozione andata al voto sotto forma di risoluzione, in modo che possiate prendere atto delle minacce di interventi ritorsivi senza precedenti che contiene e meglio capire il perché non solo della legittima, bensì addirittura della quasi obbligata reazione del Cremlino.
Per chi non conosce l’inglese o non ha voglia di leggere righe e righe di idiozie da politically correct prima di arrivare al succo, eccone i punti cardine. La risoluzione approvata, in caso di prosecuzione dell’aggressione russa contro Kiev, impegna infatti l’Europa a bloccare immediatamente l’import di petrolio e gas dalla Russia, congelare tutti i beni degli oligarchi legati al Cremlino e dei loro familiari, revocarne i visti e – udite udite – escludere Mosca dal sistema di pagamento internazionale Swift. Atto quest’ultimo che i funzionari russi nei giorni scorsi avevano già definito come una dichiarazione di guerra, in caso fosse stato intrapreso o ufficializzato. Ma non basta. Le sanzioni andrebbero a colpire anche il gasdotto Nord Stream 2 che collega direttamente la Russia alla Germania, bypassando proprio l’Ucraina, alla cui ultimazione l’Europa sarebbe chiamata a mettere il veto, proprio ora che al termine dei lavori mancano gli ultimi 100 chilometri. Casualmente, uno degli obiettivi prioritari di Mike Pompeo quando era alla guida del Dipartimento di Stato e che il suo successore, Tony Blinken, ha immediatamente inserito in agenda, insieme a Hong Kong e Taiwan. E le pressioni Usa devono essersi fatte irresistibili nelle ultime settimane, poiché solo lo scorso agosto una delegazione Ue aveva infatti respinto le nuove sanzioni statunitensi contro soggetti che cooperassero con Gazprom nel progetto. Qualcosa è cambiato.
Ora, chiedo venia: a Bruxelles pensano che abbiamo tutti l’anello al naso? Fare il lavoro sporco per il Dipartimento di Stato, quando lo stesso Joe Biden ora gioca a recitare la parte del poliziotto buono con Vladimir Putin e Xi Jinping, a detta di David Sassoli e soci significa difendere gli ideali europeisti? Certamente non gli interessi. Cosa pensano di fare, comprare LNG (gas naturale liquefatto) e shale oil (petrolio di scisto estratto con il fracking) statunitensi a prezzi maggiori di quelli russi e pagare anche uno sproposito per deliranti trasporti via Atlantico? Conveniente, non c’è che dire. E comodo a livello logistico, soprattutto. Non è che dall’Ucraina stia uscendo qualche altro scheletro di casa Biden, quindi alla Casa Bianca hanno alzato il telefono per far entrare in azione il vassallo?
A fronte di continue richieste di spiegazioni, dimissioni, radiazioni dal genere umano del ministro Speranza, non sarebbe piuttosto il caso che qualcuno chiedesse al ministro Luigi Di Maio di riferire in Parlamento rispetto ai contenuti del suo recentissimo viaggio negli Stati Uniti, alla luce di quanto accaduto a Bruxelles? L’Italia ha deciso di dichiarare guerra politica e poi magari commerciale a una superpotenza di cui è tuttora il quinto partner assoluto per interscambio? Nel caso, propongo l’ex numero uno grillino al Nobel per l’economia, mi sembra il periodo adatto per collezionare disdette di commesse. A meno che da Washington non siano arrivate proposte alternative a cui non si pò dire di no: nel qual caso, forse il Parlamento andrebbe informato, visto che si tratterebbe di scelte vincolanti di politica estera del Paese.
Cari lettori, il testo della mozione poi diventata risoluzione contro Mosca ce lo avete: leggetelo, quando avete dieci minuti. Poi andate a leggere le dichiarazioni di Mike Pompeo prima dell’addio al Dipartimento di Stato: sembra la medesima agenda. Siamo diventati ufficialmente una colonia, da quando Joe Biden è arrivato a Pennsylvania Avenue? E questa domanda non la ponga tanto al Pd, il quale di fronte ai Dem statunitensi batte i tacchi a prescindere, anche quando chiedono basi aeree per bombardare città serbe e uccidere donne, vecchi e bambini per 72 giorni di fila o dimenticare l’ABC di quegli stessi diritti civili che oggi si sbandierano come totem rispetto al caso Navalny, ad esempio sul caso Ocalan. Non a caso, il loro ex leader ora è apprezzato editorialista di Arab News, indipendente e liberal testata in lingua inglese vicina all’establishment dell’Arabia Saudita, Regno notoriamente attentissimo a certe tematiche: pare infatti che il prossimo articolo Matteo Renzi lo dedicherà al DDL Zan, Mohamed Bin Salman freme dalla voglia di leggerlo e farne propri i contenuti in patria. Non ci fosse da piangere, davvero una risata li seppellirebbe. Chiedo piuttosto un parere ai presunti e sedicenti sovranisti italiani, governativi e all’opposizione: tutto bene rispetto alla svolta di Bruxelles?
E per favore, evitiamo di scomodare il caso di spionaggio emerso a Roma come giustificazione per questo maccartismo fuori tempo massimo: al netto della bufala in cui si è sostanziato l’intero Russiagate e visto che in queste ore siamo in tema di rivisitazione giudiziaria degli anni di piombo, vogliamo aprire l’armadio di CIA e Gladio in Italia da Piazza Fontana in poi? Meglio di no. Altrimenti a qualcuno potrebbe tornare in mente la minaccia diretta dell’allora segretario di Stato Usa, Henry Kissinger, all’allora ministro degli Esteri italiano, Aldo Moro, in visita a Washington. E fare due più due. Era il 1974. Altri tempi, altri ministri. Ma vecchie e consolidate strategie. Chissà se prima che si imbarcasse per varcare l’Atlantico, qualcuno ha reso edotto l’attuale titolare della Farnesina di quello spiacevole precedente.
Il problema, però, ora diventa strategico e strutturale. Quanto avvenuto a Bruxelles è sintomatico di un chiaro, smaccato e drastico cambio di paradigma nei confronti di Washington: fra giovedì e venerdì, quando all’Europarlamento è andata in scena la rottura con Mosca, si è consumato l’atto primigenio dell’Europa post-Merkel. Washington non ha mai perdonato alla Cancelliera il suo sguardo non ideologico alle relazioni internazionali, non a caso a finire nel mirino fu da subito Nord Stream 2. E, soprattutto, lo scorso dicembre la decisione di accelerare al massimo la firma del memorandum commerciale Ue-Cina sotto la presidenza di turno tedesca in scadenza fece letteralmente infuriare gli Usa. Deep State in testa. Il quale non è un’entità dietrologica, mistica o complottistica: sono i corpi intermedi del potere. Agenzie federali e Pentagono in testa. Chi conta davvero, insomma. L’Europa non deve decidere autonomamente quali siano gli accordi più convenienti per il suo futuro, di volta in volta. Deve seguire con i paraocchi dell’ideologia un’agenda atlantista che garantisce unicamente i desiderata dallo Zio Sam. Punto. Altrimenti, qualcuno mi spieghi la necessità strategica di inserire un qualcosa di epocale e potenzialmente devastante come l’esclusione di Mosca dal sistema di pagamento internazionale Swift (in epoca di valute digitali delle Banche centrali e criptovalute come nuovo bene rifugio) in una risoluzione preventiva di intervento per il caso Navalny: non è farina del mulino europeo. Troppo chirurgica, studiata e sottile: a Bruxelles, soprattutto in posizioni apicali, certi Diogene non ci sono. Si fanno fregare nella stipula di contratti per i vaccini e dovrebbero saper gestire da soli manovre geo-finanziarie degne di Sun-Tzu? Ma per favore.
Prepariamoci, insomma. Non a caso, Emmanuel Macron di colpo ha sentito la necessità di chiudere i conti con la dottrina Mitterand. Proprio ora che Angela Merkel sta per chiudere il sipario dietro di sé e Parigi avrà bisogno come il pane di un nuovo alleato forte come Roma. E come Mario Draghi, uno che in qualità di ex capo della Bce e banchiere di lungo corso, oltretutto conosce bene il Level 3 delle banche d’Oltralpe. Et voilà, la retata dell’anno. Salvo poi tutti a casa in libertà vigilata, ci si rivede per la prima udienza fra un annetto. Dopo le presidenziali francesi. Quando la questione dottrina Mitterand sarà tornata bellamente nel cassetto della Storia, suo luogo naturale.
Tutti segnali che in Europa è finita un’epoca di equilibri garantita – piaccia o meno – dalla Cancelliera venuta dall’Est, una gigante fra i nani. E ce ne accorgeremo, come sempre accade, quando sarà tardi. Quando, come purtroppo i sondaggi paiono confermare, qualche salva-pinguini finirà al palazzo del Cancellierato, mettendo sulla scrivania due fotografie ben incorniciate in argento: quella di Greta Thunberg e quella di Joe Biden, i riferimenti. La prima per pulire la coscienza, la seconda per restare in sella. La tanto odiata Europa a guida tedesca, il quarto Reich, è ufficialmente morta con la risoluzione di giovedì scorso. Ora issiamo la bandiera arcobaleno e quella green sul simbolico Reichstag in fiamme e festeggiamo. Ora che siamo diventati ufficialmente il 52mo Stato.
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