Viene da chiedersi cosa abbiano bevuto o fumato quelli di Standard&Poor’s prima di confermare il rating italiano e, soprattutto, promuovere l’outlook del nostro Paese. Lo avessero fatto un mese fa, quando decisero invece di declassare le prospettive della Spagna, avrebbe magari avuto un senso: all’epoca, infatti, il virus pareva latente ma non in grado di mordere e la retorica dei 209 miliardi unita al backstop della Bce garantiva cieli azzurri e aste di debito pieno. Operare come ha fatto soltanto la scorsa settimana, invece, appare da folli, visto che un semi-lockdown era ormai ampiamente annunciato. O magari da incompetenti. O, forse, una simile mossa è da ricondursi al profilo da depositari di qualche segreto ancora ben custodito, ma in modalità di disvelamento che noi comuni mortali per ora ignoriamo. In compenso, il nostro Bot a sei mesi ieri è andato in asta pagando il minimo storico di rendimento.



Gli adoratori del debito hanno festeggiato, un po’ sottotono in realtà. Nonostante in contemporanea, lo spread varcasse di nuovo quota 140. Un po’ strana come dinamica, simile per stravaganza alla crescita parallela di mercati azionari e prezzo dell’oro che conosciamo ormai da trimestri e che sta preparandosi a presentare il conto. Quantomeno per il parco buoi, visto che la smart money è alla finestra dallo scorso marzo e sta saggiamente ignorando questo rally terminale dai minimi primaverili. Il Ftse Mib ieri ha fatto impressione, ovviamente. Ma attenzione, a farci paura deve essere il Dax, l’indice principale della Borsa tedesca. Cerchiamo di contestualizzare, perché queste righe appaiono a mio avviso importanti in vista degli annunci di oggi del board Bce.



Guardate questi grafici, i quali ci mostrano due dinamiche poco rassicuranti. In quale clima si sono materializzati i tonfi di ieri, infatti? Il bilancio dell’Eurotower aveva appena sfondato l’ennesimo record storico, arrivando a toccare qualcosa come 6,782 triliardi di euro, pari al 66,4% del Pil dell’eurozona post-lockdown. In una sola settimana, lo stato patrimoniale della Bce è cresciuto di altri 38,3 miliardi: le presse, ormai, rischiano di fondersi per usura e super-lavoro. E cosa ci dice invece il secondo grafico? Che la campanella d’allarme in Germania è suonata. Ufficialmente.



Non a caso, Angela Merkel si prepara a varare un lockdown light dal 4 novembre al 4 dicembre, al fine di tamponare sul nascere la nuova escalation di contagi e salvare il salvabile quantomeno della stagione natalizia a livello di consumi. Quella traiettoria discendente dell’indice di fiducia Ifo parla chiaro: il calo è il primo da aprile, quando il picco di pandemia lasciava già intravedere gli spiragli di una ripresa che il governo tedesco stava dopando con un inedito ed enorme ricorso all’indebitamento per spesa pubblica. Il rischio implicito, quindi, è quello di un’altra recessione-lampo a doppia cifra. E il Dax, a differenza di altri indici pesantemente finanziarizzati, ha ancora una componente industriale e legata all’economia reale molto forte, quindi opera da proxy ancora credibile. E il tracollo di ieri rappresenta qualcosa in più dell’agonia per il proverbiale canarino nella miniera: era un rantolo quasi terminale, una disperata ricerca di ossigeno da parte del pennuto.

Inutile dirlo, se la locomotiva europea si ferma di colpo, l’effetto traino appare bruciato. Oltretutto, quando tutto intorno il panorama appare deserto e pietrificato; la Francia nuovamente in lockdown nazionale, la Spagna in stato di emergenza fino a maggio e l’Italia che ormai flirta apertamente con l’ipotesi di una nuova serrata totale, nonostante l’alternarsi ormai vorticoso di Dpcm a spizzichi e bocconi finalizzati a scongiurare questo epilogo estremo e potenzialmente esiziale. Ma ecco la nota che, a mio avviso, deve spaventare maggiormente. E che deve operare da cartina di tornasole per ogni singola parola che oggi verrà pronunciata da Christine Lagarde, dopo che ieri Ursula von Der Leyen ha parlato della nuova ondata di Covid con toni decisamente drammatici, quasi a voler anticipare un epilogo ben peggiore di quello della scorsa primavera.

Guardate questo grafico: nel silenzio totale dei media, venerdì scorso il sistema di pagamenti trans-europeo Target 2 è stato vittima di uno strano guasto tecnico. Per 11 ore, le principali e maggiore istituzioni europee non sono state in grado di movimentare capitale in maniera ordinaria. E, come mostra il grafico, l’interruzione ha portato a una diminuzione dei depositi presso la facility della Bce pari a 416 miliardi di euro. Quel sistema rappresenta l’autostrada del cash europeo, il meccanismo con cui banche commerciali e centrali transano i propri pagamenti per ammontare molti alti. Il sistema cardio-circolatorio dell’eurozona. Il quale, fino a sabato mattina all’alba, ha dovuto vivere in modalità di circolazione extra-corporea.

C’è un problema: un incidente simile, se limitato nel tempo, crea un precedente. Se prolungato, invece, ha effetti devastanti sul mondo reale, sull’economia di ogni giorno. Direte voi, i guasti succedono. Vero. E, oltretutto, non pare vi siano state conseguenze. Sicuri? I guasti accadono, sicuramente. Casualmente, questo è accaduto di venerdì pomeriggio. Quindi, prima di due giorni di mercati e banche chiuse. Cos’è accaduto, però, lunedì mattina di questa settimana alla riapertura delle Borse, nella fattispecie all’inizio delle contrattazioni proprio al Dax? L’icona tecnologica tedesca SAP si è letteralmente schiantata, un -17% che ha rappresentato il peggior calo dal 1999 e capace di trascinare in profondo rosso l’intero indice. Come mai quel tonfo dell’azienda di software, vero fiore all’occhiello industriale della Germania 2.0? Ufficialmente, la ragione risiederebbe nel peggioramento della guidance sull’intero esercizio 2020 (e per il medio periodo) a causa proprio della reimposizione di nuove misure di lockdown per contenere l’epidemia di coronavirus che avrebbe colpito l’attività produttiva. Quali misure, di grazia? In Germania non è in vigore alcuna restrizione, per ora. Tantomeno a livello industriale. Non a caso, Angela Merkel punterebbe a un lockdown light che limiti la circolazione delle persone nelle ore del tempo libero (bar, ristoranti, cinema e teatri), ma non le attività primarie, nemmeno le scuole che rimarrebbero aperto in ogni livello di ordine e grado. Non sarà che SAP abbia essa stessa operato da canarino nella miniera di quello che potrebbe essere stato non un guasto casuale ma uno stress test di tenuta del sistema dell’eurozona, in vista di un lockdown generalizzato che ormai pare inevitabile e che Ursula von Der Leyen ieri pare aver anticipato fra le righe del suo discorso allarmato?

Una simile ipotesi giustificherebbe la scelta temporale, ovvero uno stop senza preavviso ma piazzato strategicamente in un arco temporale limitato di contrattazione e operatività dei mercati, azionari ma anche interbancario. Insomma, nessun danno immediato ma la possibilità di calcolarne il fall-out a riapertura delle contrattazioni attraverso dei proxies. E SAP, più di Bayer e Deutsche Bank, oggi rappresenta alla perfezione il nuovo volto in mutazione del Dax, indice ciclico per eccellenza, ma che comincia a subire le influenze da unicorni di Wall Street e la logica da Silicon Valley globale della dittatura tech. Il caso Wirecard, al riguardo, sembra però ricordare a tutti come questa strada non abbia portato fortuna a un mercato storicamente luterano e rigidamente macro-backed come quello di Francoforte.

È stato un incidente o uno stress test? Ovviamente, nessuno lo dirà mai. E poco importa, a dire il vero, vista la serietà della situazione in cui ci troviamo, quasi di colpo. Per questo dobbiamo sperare che oggi Christine Lagarde non sbagli nemmeno una virgola, neppure un tono della voce o un aggrottare di ciglia nel corso della sua conferenza stampa post-board. Altrimenti, aprite gli ombrelli.

P.S.: Cosa vi dicevo da qualche tempo, rispetto al fatto che la Turchia sarebbe arrivata giocoforza a battere cassa al tavolo dell’Europa per cercare di deviare l’attenzione dal tracollo della valuta e dalle mosse spericolate della sua Banca centrale, mentre l’esercito di Ankara gioco a Risiko fra Medio Oriente e Caucaso? Detto fatto, una bella crisi diplomatica con la Francia con coté di denuncia contro Charlie Hebdo, utilissima per rinfocolare anche i timori di terrorismo nel Vecchio Continente. Guarda caso, l’attacco senza precedenti di Recep Erdogan verso Emmanuel Macron si è sostanziato nelle ore in cui la lira turca è letteralmente implosa, sfondando al ribasso quota 8,20 sul dollaro. Coincidenze.