Che quella del green pass fosse una pantomima, lo si era capito praticamente subito. Questo però non rende meno seria la situazione che stiamo vivendo. Anzi, paradossalmente, la aggrava. Il ministro Lamorgese ha dovuto ammettere l’ovvio: i ristoratori non sono pubblici ufficiali, quindi non possono e non sono tenuti a controllare i documenti dei clienti. Detto fatto, nella medesima giornata si scopre che su Telegram era già ampiamente attivo un network di vendita di green pass falsi. Sventato e bloccato dalla polizia. In un caso, però. Quanti altri attivi ce ne saranno? E quanti certificati verdi taroccati sono già in circolazione nelle nostre località di villeggiatura, come nelle nostre città?
Signori, siamo il Paese che attacca gli adesivi con il bicchiere sui televisori per dimostrare di avere l’abbonamento corporate a Sky e dove il giorno dopo l’obbligo di cintura di sicurezza, venivano vendute t-shirt con stampata una striscia nera obliqua a simularne la presenza. Suvvia, evitiamo eccessi di ottimismo sulla fortuna che potrà baciare questa iniziativa. C’è infatti un problema: la realtà. Testarda. La stessa che ha visto Mario Draghi difendere il principio del reddito di cittadinanza, rimandando però a più avanti una discussione riguardo una sua eventuale rimodulazione. Mister debito buono comincia a praticare la nobile arte politica del compromesso e della dissimulazione?
Guardate questa tabella compilata da Statista su dati di un sondaggio Ipsos condotto fra 19.010 cittadini adulti in 28 Paesi.
Il tema? Le preoccupazioni. E non mancano le sorprese. Chi, infatti, poteva pensare che il 63% degli interpellati in Svezia avrebbe risposto crimine e violenza? Non stiamo parlando della Colombia dei narcos, Paese nel quale il primo grattacapo appare la corruzione, bensì del paradiso del welfare scandinavo, dell’inclusione sociale, della sostenibilità ambientale. Occorre negarla quella realtà. Perché, piaccia o no, è il frutto marcio proprio dell’eccesso di accoglienza che negli anni ha tramutato le periferie di Stoccolma e Goteborg in no-go areas persino per la polizia. Ma guai a dirlo, si viene immediatamente bollati come appartenenti alla sezione Brianza del Ku Klux Klan e si finisce nel mirino di Repubblica.
E se in Russia è quello della povertà lo spettro più temuto e negli Usa condividono la preoccupazione maggiore proprio con la Svezia, stante i bollettini di guerra di ogni weekend in città come Chicago o Cleveland, ecco che arriva l’Italia medagliata e campione d’Europa: per il 55% degli interpellati, a turbare i sonni c’è la disoccupazione. Il Paese, quello vero, è più avanti della politica. Perché vive sulla sua pelle, pur non essendone interessato in maniera diretta, casi come quelli della Whirlpool o della GKN: dalla sera alla mattina, addio certezze. Una mail e tutto torna in drammaticamente in discussione. Mutuo, bollette, affitto, spesa. Tutto. Occorre negarla, questa realtà. E basta guardare alle prime pagine dei giornali di ieri: il 99% delle aperture era dedicato all’emergenza climatica lanciata dall’Onu. Sapete su 28 Paesi presi in esame dallo studio Ipsos, in quanti viene menzionato il cambiamento climatico fra le principali ragioni di turbamento? Nessuno. D’altronde, lo stesso Premier greco ieri ha dovuto gettare la maschera: «Contro gli incendi non abbiamo fatto abbastanza». Perché il clima starà certo cambiando e il mondo sarà più caldo, ma se invece di comprare nuovi Canadair o garantire la manutenzione a quelli che già hai in dotazione, spendi i soldi risparmiati dal servizio del debito – grazie al regalino della deroga Bce – in altre maniere meno nobili, allora un po’ le rogne te le cerchi. Non serve invocare Greta Thunberg, basterebbe un minimo di buonsenso. E onestà intellettuale.
L’Europa sta per sborsare al nostro Paese la prima tranche del Recovery Plan, circa 25 miliardi. Dove andranno a finire? I fondi Sure, circa 40 miliardi già erogati, sono stati utilizzati in gran parte per tamponare le falle Inps e le necessità immediate sui ristori (o sostegni, chiamateli come preferite). Ma l’apertura di credito personale di Mario Draghi verso lo strumento del reddito di cittadinanza mi appare come una doccia fredda. Non perché il presidente del Consiglio goda nel vedere la gente senza stipendio e lavoro, bensì perché in un momento come questo la percezione vale più del contenuto in ciò che si comunica. E Mario Draghi, al netto dell’ottimismo da Pil dopato, sa che l’autunno sarà duro. Durissimo. E lo conferma l’altolà di Confindustria all’accesso di festeggiamenti proprio legati al tasso di crescita del secondo trimestre, quello che ha generato quel riflesso pavloviano da Mundial ’82 nei quotidiani, tutti intenti a ciclostilare il medesimo titolo sul nostro Paese che batteva la Germania.
Per viale dell’Astronomia, occorre cautela in vista del terzo trimestre. Lo stesso che, ad esempio, ha visto Goldman Sachs più che dimezzare le prospettive sul Pil cinese, a causa della variante Covid che ha imposto nuove restrizioni. Non una revisione, un colpo di accetta. E non scordiamoci il fatto che, a livello europeo, il 26 settembre la Germania andrà al voto per il dopo Merkel. Con due grandi novità. Primo, come mostra questo grafico, ieri la pubblicazione dell’indice Zew sulla fiducia degli investitori sia è sostanziata in una vera e propria doccia gelata: crollo a 40,4 punti da 63,3 di luglio e contro un consensus degli analisti di 56,7. La Berlino dell’economia trema. E al netto delle dispute da cortile, questo è un pessimo segnale anche per noi.
Secondo, al netto delle discrepanze di vantaggio della Cdu evidenziate dai vari sondaggi (da un minimo di 2 punti a un massimo di 6), a far riflettere ulteriormente è il 48% di cui sarebbe accreditata la strana coalizione fra Spd, Verdi e Liberali. In grado, stando ai numeri della rilevazione demoscopica Insa, di garantire una maggioranza parlamentare per eleggere il/la nuovo/a Cancelliere. Tradotto, Merkel in pensione e CDU all’opposizione. Praticamente, il mondo ribaltato. Non a caso, il numero uno della Bundesbank, fiutato il rischio espansivo, ha rotto gli indugi e in un’intervista alla Welt am Sonntag ha chiesto la fine del Pepp nei tempi concordati, ricordando con duro sarcasmo come «la prima P di quell’acronimo sta per pandemico e non permanente finanziamento dei deficit degli Stati membri». Che dire, touché. E che il mondo cambi in fretta, tanto in fretta da generare ampi spazi di dissimulazione, lo mostra questo altro grafico in arrivo proprio dalla Germania, il quale compara il valore di Biontech con quello della Bayer: quasi il doppio.
Miracoli del Covid, un’azienda fino all’altro giorno sconosciuta che umilia una nata 158 anni fa e nota in tutto il mondo. Volete che non sia possibile una Cdu all’opposizione, in un mondo così? E con un allarme mediatico permanente sul clima, oltretutto? Unite poi al quadro un candidato Cancelliere così poco intelligente da farsi immortalare mentre ride di gusto nel pieno di un’alluvione e la potenziale debacle è servita. Insomma, la pantomima sul green pass rappresenta nulla più che un coté ansiogeno a un quadro emergenziale più grande, l’appendice pop con cui distrarre e tenere impegnata la gente. È la ruota del criceto, niente altro. Non a caso, il ministro dell’Interno ha dovuto ammetterlo candidamente, una volta posta di fronte al fatto compiuto. Ci sono volute 48 ore, praticamente in tempo reale.
Ma quell’apertura di credito, oltretutto con la sottolineatura dell’adesione ideale a livello personale, da parte di Mario Draghi al reddito di cittadinanza parla chiaro, al netto dei 25 miliardi in arrivo dall’Europa come ricompensa per la riforma Cartabia. Parla chiaro quanto il sondaggio Ipsos, certamente non la verità rivelata ma in grado di offrire una fotografia della realtà un po’ differente dai soliti cliché stereotipati. Il futuro prossimo rischia di essere quello di una GKN che diviene consuetudine. Un mondo dove a colpi di consapevolezza green contrasteremo – come tanti Winston Smith – mezzo grado di aumento delle temperature, comodamente seduti di fronte al computer di casa: dal quale avremo appreso – via mail – del nostro licenziamento.
Perché signori, il green – declinato in questo modo tanto parossistico quanto industrialmente letale, basti vedere l’auto elettrica e il ricatto cinese sui semiconduttori – fa benissimo alle aziende che emettono debito con il trucco del green-wash sul rating, ma è anche (e soprattutto) alla base della prossima mega-ristrutturazione sociale a livello globale. Dopo la globalizzazione, arriva la gretizzazione. Con cotè di endemia e diritti LGBT. Mentre la gente teme immigrazione incontrollata, crimine e perdita del lavoro. Razzisti e qualunquisti.
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