C’è voluto davvero poco prima che il contagio della Finanziaria monstre francese varcasse il Monginevro. I giornali parlano di Meloni e Salvini infuriati con il ministro Giorgetti per le sue frasi sulla Manovra che richiederebbe il contributo di tutti. PMI incluse. La verità fa male. Lo so. D’altronde, certe sindromi hanno sintomi evidenti. Ad esempio, se volete sapere quanto ci sia di vero nell’allarme lanciato dal Mef, basta dare un’occhiata agli argomenti trattati dall’onorevole Borghi nei suoi tweet: se tace di argomento economico, quello che dovrebbe essere il suo ambito di interesse, significa che la situazione comincia a precipitare. Da giorni parla solo di vaccini. E la stessa cartina di tornasole vale anche per analisti e commentatori. Se di colpo spariranno gli alti lai a rivendicare la superiorità del Pil italico su quello francese e tedesco, significa che la loro opera di lisciamento pelo del potere si è schiantata contro il muro della realtà. Il ministro Giorgetti l’ha guardata in faccia. E ha deciso che era meglio dire la verità subito, mentre le polemiche ancora si limitano al pasticciaccio brutto delle accise. Perché più passano i giorni, più il tempo per racimolare risorse passa. E la scadenza europea si avvicina.
Dal Governo lo dipingono implicitamente come uno che si è lanciato per primo all’accaparramento della scialuppa. Semplicemente, ha avuto la decenza di dire che il tempo della narrazione è finito. Per mesi ci hanno dipinto un quadro totalmente dadaista della realtà. Aste del Tesoro piene grazie a uno spread tenuto sotto controllo unicamente da quel reinvestimento titoli della Bce che entro fine entrerà in modalità reverse. Ovvero, la carta comprata in seno al Pepp tornerà gradualmente sul mercato. Apparentemente, in pieno prodromo da recessione più o meno alle porte e con le elezioni Usa che avranno nel frattempo delineato scenari difficile da incorporare a freddo nelle prezzature. Era bella la vita, quando si poteva contare su giornali e giornalisti amici in modalità grancassa e megafono a ogni collocamento di Btp indicizzato all’inflazione. Già alla prima cedola, la platea dei Majakovsky si era assottigliata. Perché si viaggiava sotto la parità.
State certi che da oggi fioriranno i comunque io ve lo avevo lasciato intuire che qualcosa non andava. Io invece posso dire che – IlSussidiario.net canta – vi avevo messo in guardia da un Def lacrime e sangue in tempi non sospetti. Vi avevo spiegato il perché non era possibile gestire un 7,2% di deficit con strumenti ordinari e al netto di un rientro in regime del parametro europeo del 3%. Ora il Governo pare aver promesso all’Europa di arrivare al 2,8% entro il 2026. Avete idea di quanto costi un simile processo di normalizzazione della ratio, fra tagli e aumenti delle tasse? Altro che accise. Altro che sigarette. Servirà mettere mano con la falce. E sfido tutti ad avere il coraggio di rimettere in campo la favoletta patetica della spending review. Da quando esiste, quella pratica di contabilità efficientista ha generato solo slogan. Conti alla mano. Il potere, la classe politica in questo Paese non intende rinunciare a privilegi e rendite di posizione. E le loro clientele assortite, nemmeno.
Il Sistema è questo. Poi, tutto intorno, c’è la pletora dei mistificanti scientifici. Ovvero, chi scomoda quella scienza tutt’altro che esatta che è l’economia per dirvi che il debito è una cosa buona e giusta, addirittura che fare deficit non costa niente. Dopo le parole del ministro Giorgetti, vi invito a chiedere conto di quell’oscenità. Vogliamo un’inflazione al 10% fisso come patrimoniale silente e collettiva, pur di poter continuare a fare deficit e mandare in orbita l’indebitamento dello Stato? Perché più di una volta abbiamo letto che l’inflazione aiuta a sostenere i conti traballanti. Vero. Manca però la seconda parte: alla distruzione rapida e implacabile del già stentato potere d’acquisto dei ridicoli salari italiani, come si pone rimedio? Con il decreto flussi, ovviamente! Regolarizziamo 450.000 soldati dell’esercito industriale di riserva nei prossimi due anni, al fine di comprimere ancora un po’ al ribasso le dinamiche salariali. E i margini strizzati di lorsignori respirano un po’.
Siamo ufficialmente entrati in modalità mangino brioche. Anzi, mangino cornetti, a Roma ci tengono tantissimo al distinguo dolciario con Milano. Vi lascio con questi due grafici, in modo da capire come nulla accada a caso. Tout se tient, signore e signori.
Quanto rappresentato in quelle immagini, infatti, fa capo ad avvenimenti occorsi fra martedì e mercoledì. Come dire, la bolla dell’indebitamento allegro non conosce confini. Internazionalismo allo stato puro. La prima ci mostra come fra il 27 settembre e il 1 ottobre, il debito totale statunitense sia salito di 345 miliardi. In tre giorni. Oggi lo stock segna quota 35,7 trilioni di dollari. La seconda grafica invece ci mostra plasticamente e senza alcuna pietà, la realtà del Paese-laboratorio del debito pubblico come via maestra alla felicità. Il Giappone. Il Primo ministro di quel Paese, infatti, ha dichiarato chiaramente a Bloomberg che attualmente non esistono le condizioni per cui la Bank of Japan possa operare gli altri due aumenti dei tassi promessi entro fine anno. Ovvero, la certificazione che con la sua sostenibilissima massa debitoria record, Tokyo non può vivere al di sopra dello 0,25% di costo del denaro. Pena implodere. Detto fatto, lo yen sul dollaro è tornato da 141 a 146,7 in un battito d’ali di colibrì. E con esso, il rischio connesso a qualche trilione di carry trades a rischio smobilizzo. Ma anche in questo caso, alcuni scienziati vi avevano detto che quella dinamica non c’entrava nulla con lo tsunami di inizio estate sui mercati. E che, comunque, era assolutamente gestibile e ormai del tutto neutralizzata. Il debito buono esiste in un solo caso. Se puoi ripagarlo ex ante. Ma con conti pubblici come quelli del Giappone o quelli che hanno fatto rompere gli indugi al titolare del Mef o costretto la Francia a un diluvio di tagli e tasse, l’unica via è quella di calciare il barattolo. Legittima. Ma almeno evitiamo di dire che nessuno ci obbliga a spingerci fino alla fine della strada, evitando così di prenderci in faccia il rimbalzo della lattina contro il muro. Quello della realtà.
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