Lo ammetto. Pur avendovi messo in guardia fin da subito sull’arrivo del Russiagate all’amatriciana, nemmeno io credevo che si sarebbero bruciate le tappe in questo modo. Ma si sa, certi scoop giornalistici sono come la prima volta che si fa sesso. Quando l’ansia da prestazione e l’emozione dell’attesa prendono il sopravvento, il rischio più che concreto è quello di sparare a salve. Purtroppo per La Stampa, la cilecca è stata di quelle epocali.



Perché a parte la smentita del delegato del Governo ai Servizi, Franco Gabrielli, l’idea che il Governo Draghi possa essere caduto su pressione o mandato del Cremlino può stuzzicare la fantasia solo di Letta e Di Maio. Persone il cui grado di disperazione politica è più controllato, invece, riescono a elaborare e rendersi conto che siamo di fronte alla minestra riscaldata del caso Capuano, il facilitatore giunto alla corte di Matteo Salvini e da quel momento tramutatosi in emissario e consulente per le questioni internazionali del numero uno del Carroccio. Il quale avrà anche fiuto politico ma per le persone, proprio no. 



E la Lega, poi, storicamente è permeabile a certi avvicinamenti bizzarri. Basti pensare che negli anni della secessione dura e pura, infatti, si accostò al movimento nientemeno che l’ex terrorista di Prima Linea, Roberto Sandalo. Senza che nessuno se ne accorgesse per mesi. Ma per il giornale pirata dalla Gedi l’importante era mettere un po’ di fango nel ventilatore elettorale. E garantire a Enrico Letta un diversivo rispetto al parto plurigemellare che si trova ad affrontare in vista del voto e di alleanze in progress che definire eterogenee appare un eufemismo. Non stupirebbe, in tal senso, che a breve si scopra come Vladimir Putin sia alla base anche della separazione fra Totti e Ilary. Perché signori, questo tweet parla da solo e ci mostra plasticamente il livello di credibilità, autorevolezza, equilibrio ed equidistanza con cui il giornalista autore dello scoop de La Stampa tratta il tema Russia. 



Ben inteso, un giornalista di cantonate può prenderne. Io ne sono l’esempio. Ma qui non si tratta di una svista o un errore di valutazione: nella migliore delle ipotesi, siamo di fronte a un palese esempio di non sapere minimamente di cosa si stia parlando. 

Ora veniamo alla questione seria. La quale entra in gioco con questi due grafici, destinati a mostrarci il livello da sprofondo toccato dagli indici di fiducia dei consumatori dell’eurozona e della Germania nell’ultima rilevazione compiuta rispettivamente dalla Commissione Ue e da GfK. Il minimo storico assoluto, addirittura un regime di pessimismo peggiore di quello raggiunto durante i lockdown da Covid. 

E per quanto riguarda l’eurozona, se sono Grecia ed Estonia a guidare la classifica dei Paesi che vedono più nero all’orizzonte, il peggioramento degli outlook dei consumatori riguarda 11 su 19 nazioni. Altro record. In questo contesto, chiaramente la priorità è capire se un funzionario di ambasciata russo abbia giocato a Chi vuol essere mitomane? con Capuano. Ma c’è di peggio e ce lo mostra questo terzo grafico, dal quale si evince come nel mese di luglio l’inflazione in Germania sia tornata a salire. Su base annua si è attestata all’8,5% dall’8,2% di giugno e contro le attese per un ulteriore ribasso all’8,1%. 

Insomma, al netto del taglio delle accise sui carburanti e del bonus trasporti varati dal Governo di Berlino, gli aumenti legati a cibo ed energia hanno operato un off-setting negativo enorme. Tale, appunto, da spedire nuovamente in orbita il dato armonizzato HICP. E ancora non basta. Perché al netto del nuovo taglio dei flussi dalla Russia attraverso Nord Stream 1 e della navigabilità del Reno ancora compromessa dal livello troppo basso delle acque, un gigante della chimica come Basf ha annunciato il taglio della produzione di ammoniaca nei suoi impianti, poiché eccessivamente energivoro. Stiamo parlando di una multinazionale enorme, il cui fatturato nel 2021 è stato di 78,6 miliardi di euro. La quale ha visto il suo amministratore delegato, Martin Brudermüller, prima ammettere come l’azienda già nel secondo trimestre di quest’anno sia stata costretta a spendere su base annua 800 milioni di euro in più per l’energia al fine di tenere aperti gli stabilimenti e poi annunciare appunto la misura draconiana di restrizione. Prima ancora che il Governo di Berlino metta in atto il terzo livello del piano di emergenza energetico nazionale. 

Ripeto, il colosso di Ludwigshafen non è una Pmi che deve contare le monetine per saldare la bolletta, è un player internazionale di primissimo livello. Un’eccellenza. E con numeri e disponibilità enormi. Avete idea cosa significhi la sua decisione in prospettiva per l’autunno/inverno? Unite questo all’inflazione tornata a salire e al tracollo del sentiment dei consumatori e l’epilogo appare uno solo: la recessione per la Germania nel terzo trimestre è già scritta. Peccato che il fall-out di quella crisi, scontando uno scarto temporale di 3 mesi, sia destinato a scaricarsi sulle aziende di fornitura e subfornitura dell’economia tedesca presenti soprattutto nel Nord Italia. Sia chi produce macchinari industriali, sia chi fornisce la componentistica. 

Insomma, a meno di soluzioni miracolose in arrivo da qui a un paio di mesi, tra la fine del terzo trimestre e l’inizio del quarto, l’Italia verrà travolta da un’ondata recessiva esogena che andrà a unirsi a quella già presente a livello interno, stante il caro-energia e il rallentamento globale. Quindi, Pil a precipizio ma soprattutto fortissimo rischio di crisi occupazionale su larga scala. E nell’area più produttiva del Paese. Ora, cosa farà il nuovo Governo uscito dalle urne del 25 settembre? E cosa farà lo spread? Il quale, giova ricordare, da oggi in poi è legato mani e piedi alle 4 condizionalità imposte dalla Bce per poter accedere al Tpi, il mitologico scudo anti-spread che somiglia come una goccia d’acqua al Mes. 

Capite perché certe cortine fumogene hanno il fiato corto e si configurino appunto come colpi a salve? Perché signori, o l’Europa nel suo insieme rinsavisce e smette di fare il gioco degli interessi Usa oppure da qui alla chiusura degli ombrelloni essere amico di Vladimir Putin rischia di diventare un titolo di merito. Quantomeno, agli occhi dei consumatori. Che, casualmente e incidentalmente, sono anche elettori. 

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