L’economia della Russia si sta indubitabilmente contraendo, ma sulla base di robusti indicatori in tempo reale, le predizioni di alcuni economisti rispetto a un calo del Pil fino al 15% per quest’anno cominciano a risultare pessimistiche. No, non ho scritto io questa frase. Non è frutto di una sorta di esaltazione mistico-ideologica che mi ha colto dopo il discorso di Vladimir Putin per il Giorno della Vittoria. L’ha scritto l’Economist nella sua ultima edizione. Proprio il prestigioso settimanale economico-finanziario che per alcuni giorni è stato la Bibbia laica dei Majakovsky un tanto al chilo del Governo dei Migliori, quando il nostro Paese venne insignito del premio come rivelazione dell’anno per il suo strabiliante Pil al 6%. Ora, invece, è costretto ad ammettere questo: la Russia alle soglie del fallimento a causa delle sanzioni e a un passo dal default per il congelamento delle riserve della Banca centrale è una balla. L’ennesima. Anzi, un wishful thinking. 



Interessante un particolare: l’Economist è controllato al 43% dalla famiglia Agnelli. Di fatto, il medesimo editore dei due quotidiani-corazzata del gruppo GEDI. Quindi, La Repubblica e La Stampa. Non notate una certa differenza di approccio alla questione, al netto di una qualsiasi edizione dei due giornali italiani degli ultimi 10 giorni, quando il pagamento di un cedola dopo l’altra ha generato qualche perplessità attorno al mito del tracollo? Perché prima di allora anche il settimanale della City aveva sposato la grancassa propagandistica della Russia alle soglie di un altro 1998, inutile e scorretto negarlo. Ora, però, ha lasciato che Madame Verità facesse il suo ingresso a Palazzo. 



Ma non basta. Indovinate chi ha pronunciato questa frase, intervistato dal TG2: Putin potrebbe approfittare della fuga di notizie sul coinvolgimento della CIA nel conflitto e dell’invio di armi a Zelensky, per dire che la Russia si trova a fronteggiare direttamente Nato e Usa. Dai, chi è stato? Chi ha raggiunto queste vette apparentemente inarrivabili di ovvietà innalzata ad acuta analisi? Federico Rampini, editorialista geopolitico ed economico di punta del Corriere della Sera, il quale lo ha strappato con piglio da campagna acquisti calcistica proprio al gruppo GEDI. Visto l’acume contenuto in questo concetto, decisamente soldi ben spesi. Quindi, capite da soli che anche in via Solferino non sia esattamente l’obiettività la stella polare cui fare riferimento. Ma ecco che, a differenza del gruppo GEDI, il buon Urbano Cairo pare aver fiutato l’aria. Ed essendo clamorosamente, parossisticamente e ormai ampiamente oltre la soglia del ridicolo schierato al fianco di qualsiasi istanza Kiev-Nato attraverso La7, da imprenditore con sviluppato istinto di sopravvivenza ha mandato avanti il suo pasdaran dell’ovvio, al secolo Aldo Cazzullo, per intervistare l’ingegner De Benedetti. A sua volta, editore di un quotidiano a strettissima diffusione fra i soli parenti dei redattori che pare però sia la prima lettura mattutina di Jens Stoltenberg, mentre attende il caffè e latte e muove i carrarmatini del Risiko verso Kaliningrad. Ma anche ospite graditissimo e con ossequioso riguardo nel salotto televisivo di Lilli Gruber su La7, quindi ancora in casa Cairo. Evviva la libertà di informazione, abbasso i monopoli e i conflitti di interesse! 



E cos’ha detto l’uomo che sussurrava all’Olivetti al Corriere della Sera? Che l’Europa non ha alcun interesse a fare la guerra a Putin e che non deve affatto andare dietro a Biden. Praticamente, un’intervista a Marco Rizzo. 

Cosa sta succedendo in questo Paese, mentre attendiamo il default russo come nemmeno il Godot di Beckett? Forse la cosiddetta classe dirigente sta cominciando a prezzare la realtà in divenire come fanno i traders più scafati con le dinamiche di mercato? E cosa prezzano? Una maggioranza ormai a pezzi, tanto che persino il Pd ora è arrivato a muovere dei timidi distinguo rispetto al terzo invio di armi all’Ucraina, nonostante esprima il ministro della Difesa. Un presidente del Consiglio che tratta il Parlamento come un accessorio sgradito e ingombrante, tanto da negare un’informativa prima dell’incontro di oggi alla Casa Bianca, al quale si presenta con un attestato di stima ufficiale dell’Atlantic Council e con una strana joint venture tra i nostri Servizi e quelli Usa attesa per il mese di giugno. Gli stessi Servizi che ieri, proprio dalle pagine di Repubblica, denunciavano come il Cremlino pagasse gli ospiti filo-russi presenti nei talk-show. Il tutto con sullo sfondo la chiusura del programma di Bianca Berlinguer. 

Ma è la Russia di Putin il buco nero della libertà d’informazione. Ma soprattutto, la classe dirigente ha fiutato l’odore della paura che emanano gli 86 miliardi di debito da emettere e piazzare sul mercato fra questo mese e quello di giugno. Per l’esattezza, 46 più 40. Con i tassi decisamente in rialzo e una riunione della Bce che se non dovesse annunciare una qualche forma di schermatura degli spread, ma, anzi, arrivasse a confermare un aumento del costo del denaro addirittura a luglio, manderebbe il nostro differenziale sul Bund in orbita. Che figuraccia: Mr. Whatever it takes, quello che a detta degli esimi editorialisti dei giornali poc’anzi citati avrebbe garantito uno spread a doppia cifra ai nostri Btp, rischierebbe invece di ritrovarsi in pieno in una spirale da 2011. L’anno della letterina della Bce, lo ricordate? 

Meglio cambiare aria. Tanto più che l’approssimarsi delle amministrative sta tramutando le fibrillazioni politiche in vere e proprie detonazioni. Per ora, controllate. Ma per quanto ancora? E al netto di un’Europa che proprio delle pressioni per conto terzi di Mario Draghi per il lancio del sesto pacchetto di sanzioni (con inclusione del petrolio russo) si sta facendo beffe, visto l’ennesimo rinvio in concomitanza con i toni belligeranti del G7. Francia e Germania, in tal senso, si sono paraculescamente portate avanti da tempo. Ora Economist e De Benedetti paiono farci capire che anche i cosiddetti poteri forti italiani si siano rotti l’anima di Zelensky e dei suoi videomessaggi degni di una serie di Netflix. 

E attenzione, perché se esiste al mondo una certezza consolidata è che Bono degli U2 porti una sfortuna mortale. Ciò che tocca, generalmente finisce male. Cos’ha voluto dire l’Ingegnere, pur non potendolo ancora ammettere chiaramente? Che tra non molto ci sarà la fila fuori dal Cremlino per tornare a trattare le condizioni migliori per gas e petrolio e che, allo stato attuale, l’Italia non solo è chiaramente l’ultima dell’appello, ma potrebbe addirittura trovare il portone chiuso, una volta giunto il suo turno. Quindi, meglio cominciare a issare le vele per il cambio di vento. E il fatto che Vladimir Putin non abbia minimamente fatto accenno a un’escalation nel suo discorso di ieri, addirittura citando il sacrificio dei soldati americani contro il nazismo, pare un messaggio in codice: perché se Joe Biden gioca con il suo amico immaginario, la corporate America fa i conti con l’economia e i profitti. E i Democratici con le elezioni di mid-term, nonostante il loro esponente a Pennsylvania Avenue. 

Vuoi vedere che Mario Draghi, a forza di voler anticipare tutti in fatto di realismo maggiore di quello del Re, arriverà a Washington trovandosi in palese posizione di fuorigioco? Il problema è che il suo posizionamento equivale a quello del Paese. Ascoltate l’Ingegnere. E leggete l’Economist. 

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