E così Bitcoin ha polverizzato il precedente record di 77mila dollari, stabilito la scorsa settimana, per volare fino a 93.300 dollari. Qualche settimana dopo l’oro, anche il Bitcoin vola. L’oro aveva aggiornato il suo record a oltre 2.800 dollari l’oncia. Ma tali record sono citati dai media quasi con un tono infastidito, solo perché sembrano costretti a farlo per non essere accusati di ignorare fatti e numeri tanto clamorosi.
Si capisce pure perché sono dati e numeri che danno tanto fastidio: sono la prova schiacciante delle menzogne che continuano a propinare sulla salute (presunta) dell’economia, del fallimento della moderna architettura bancaria e finanziaria e dei moderni sistemi monetari.
Il fallimento dei moderni sistemi monetari è reso evidente da una semplice considerazione: come per il valore di qualsiasi merce (detta anche commodity: come petrolio, gas, mais, caffè, ecc.), questo dipende non solo dalla “merce” in questione (se c’è domanda, se c’è una impennata dei consumi, se per fattori esterni c’è una scarsità di produzione, ecc.), ma anche dal valore della moneta con cui si misura. E il valore della moneta varia al variare delle condizioni di salute finanziaria e fiduciaria di chi la emette. Se chi la emette continua a sbagliare le previsioni economiche e continua a operare di fatto per favorire la speculazione finanziaria anche contro gli interessi della popolazione, questo di fatto inciderà sul valore di quella moneta.
Del resto, perché mai una certa quantità di oro, per esempio un’oncia, oggi dovrebbe valere tanto di più della stessa quantità di oro di dieci, venti, cinquanta, cento anni fa? Infatti, un’analisi più precisa mostra che il valore dell’oro non è cambiato molto. Voglio dire che circa 40 anni fa con mezzo chilo di oro ti potevi comprare una macchina di medio valore, proprio come puoi fare oggi con la stessa quantità di oro (a 90 dollari al grammo, sono circa 45.000 dollari). Quella che è cambiata è la moneta, è il valore della moneta, molto inferiore oggi rispetto a quaranta anni fa.
Ma non è questo il cuore del problema: il deprezzamento della moneta nel lungo periodo potrebbe essere un fattore fisiologico, potrebbe persino essere il segno di una diffusione del benessere, per cui si stampa sempre più moneta e questa nel tempo di deprezza. Il cuore del problema è che con la stessa moneta si pagano gli stipendi e questi negli ultimi decenni sono rimasti indietro come valore numerico, cioè di fatto sono stati deprezzati. In altre parole, negli anni ’70 per acquistare un’automobile media ci volevano 4/5 stipendi, oggi ci vogliono almeno una ventina di stipendi da operaio.
In altre parole, il deprezzamento della moneta è diventato il deprezzamento degli stipendi. E il deprezzamento della moneta dipende da un’ideologia (quella capitalista nella versione finanziaria moderna) che semplicemente non funziona e quindi deprezza la moneta. La stessa ideologia che ha portato a scelte sbagliate di proporzioni colossali, come quella di imporre dazi che invece di far finire la guerra, l’hanno prolungata e allo stesso tempo hanno accentuato la sofferenza dell’economia reale (grazie Mario Draghi!).
La stessa ideologia fallimentare ha permesso alla Germania di esportare povertà e importare ricchezza; ma ora che la povertà si è diffusa, i prodotti tedeschi non si vendono più, le esportazioni sono ferme al palo e pure la grande economica tedesca è in sofferenza, tanto da fare entrare in crisi la politica, che per tanti anni aveva visto il dominio incontrastato di un partito e di una guida (la Merkel), mentre oggi la maggioranza è traballante e il futuro gravemente incerto. La cosa grave è che non sanno che fare, perché non hanno altre soluzioni, non hanno altre ricette, mentre i partiti ostili a tutti i capisaldi attuali (Europa, euro, alleanza atlantica) continuano a crescere nei sondaggi e nei voti.
Non è un caso se la crisi dell’attuale Governo tedesco è esplosa nel giorno in cui è diventata certa la vittoria di Donald Trump nelle elezioni americane. Infatti, il programma economico di Trump prevede l’imposizione di dazi per una serie di prodotti europei, per favorire lo sviluppo dell’economia interna. Si prevedono dazi per prodotti che gli Usa possono produrre internamente, non dazi per prodotti propri, come ottusamente ha fatto l’Europa per tanti prodotti propri, impedendone il commercio verso la Russia.
Gli esperti hanno calcolato una contrazione del Pil, in caso di dazi, pari a circa l’1%, il che porterebbe la crescita del Pil della Germania in territorio negativo. Bisognerebbe togliere le sanzioni alla Russia, riprendere l’importazione di gas e petrolio a basso costo e favorire le nostre esportazioni verso quel Paese, la cui economia tra l’altro sta crescendo fortemente.
Quanto siamo lontani da questa soluzione la dice lunga su quanto sia grave e duratura la crisi economica in cui ci troviamo.
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