Se la prima settimana di giugno sarà esiziale per l’Europa, fra riunione Bce ed elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento, quella appena iniziata rischia di essere decisiva per il ruolo dell’Italia negli equilibri dello scacchiere internazionale. E per le conseguenze che un più che probabile irrigidimento su posizioni eterodirette porterà con sé per il nostro Paese. Per una volta, temo già nel breve periodo. Perché il caos ormai è totale.
Le notizie che giungono dall’Iran aggiungono benzina a un incendio ormai divampato oltre due anni fa e che nessuno riesce a domare. O forse, nessuno vuole domare. Dal 23 al 25 maggio, a Stresa si terrà il G7 dei ministri delle Finanze guidato da Giancarlo Giorgetti in rappresentanza della presidenza italiana. Tre i temi principali sul tavolo. Intelligenza artificiale, global minimum tax e utilizzo degli asset russi congelati in ossequio alle sanzioni. Se nei primi due casi si tratterà di fatto di riempitivi in modalità Conte Mascetti, tanto per non dare l’impressione che quanto in corso sul Lago Maggiore non sia in realtà una riunione Nato sotto mentite spoglie, per quanto riguardo l’utilizzo dei proventi dei 300 miliardi di assets russi congelati per finanziare il riarmo dell’Ucraina, il tema appare a dir poco spinoso. In realtà, esplosivo. In tutti i sensi. E Mosca ha già inviato un segnale chiaro, proprio l’altro giorno. La confisca di oltre 700 milioni di assets delle filiali russe di Unicredit, Deutsche Bank e Commerzbank appare più che un avvertimento. Persino Mr. Magoo vedrebbe chiaro e tondo di fronte a sé il Rubicone. Si può varcarlo, certo. Dopodiché, la guerra finanziaria e commerciale sarà totale. E l’Italia rischia di pagare un prezzo carissimo. Così come la Germania, la quale ha già dovuto fare i conti con la fine del regime energetico a basso costo garantito dalla Russia, pagando un prezzo alla de-industrializzazione che le deliranti politiche green dell’Ue ha reso pressoché insostenibile.
Qual è il problema? Nel corso della sessione dedicata al tema Ucraina, prevista per sabato con la partecipazione del ministro delle finanze di Kiev, Sergii Marchenko, fonti a conoscenza del dossier indicano che il G7 si appresti a valutare con favore la decisione dell’Unione europea di utilizzare gli utili di questi asset russi. E sulle finalità dell’utilizzo di queste risorse l’Italia svolgerà un ruolo di mediatore. Tradotto, ciò che finirà sul tavolo sarà su indicazione della presidenza italiana. Ma, chiaramente, su mandato Usa. Lo scriveva chiaro e tondo venerdì scorso la Reuters in un articolo ovviamente passato sotto silenzio sui nostri media. Janet Yellen sta per partire per l’Europa con un’agenda chiara. Non a caso, prima di raggiungere Stresa, farà tappa in Germania. A Francoforte. E cosa intende proporre al G7, la numero uno del Tesoro Usa? Di tramutare i proventi di quegli assets congelati in collaterale a garanzia di un bond o in un prestito che offra a Kiev circa 50 miliardi di dollari quasi pronta cassa in nuova linea di credito.
Il problema? Il precedente che si crea. Perché cartolarizzare ciò che di fatto è già frutto di un sequestro che potrebbe creare un precedente pericoloso di diritto internazionale presuppone il mantenimento di quel bond nel bilancio dei Paesi sottoscrittori per 20 anni. A chi fa capo? Al G7? E in ossequio a quale stato patrimoniale condiviso, inteso come liabilities e attivi? E la domanda non è capziosa. Perché il primo a lanciare l’allarme in tal senso è stato Josh Lipsky, senior director del GeoEconomics Center del Consiglio Atlantico. Difficile dipingerlo come amico del Cremlino. Quella relativa a questo argomento rappresenta una montagna molto alta e impervia da scalare. Ma gli Stati Uniti intendono spingere molto chiaramente in questa direzione in sede di G7. Talmente tanto che sono pronto a scommettere che se non diverrà realtà ora, lo farà nell’immediato futuro, ha dichiarato alla Reuters.
Insomma, la presidenza italiana è stretta fra l’incudine del sequestro russo di 463 milioni di assets facenti capo a Unicredit e il martello della ferrea volontà di Washington di tramutare il ruolo di badante ucraino del G7 in un impegno finanziario (e militare) pluriennale. E vincolato. Un rischio enorme. Di cui il ministro Giorgetti certamente sarà conscio. Così come è conscio del necessario bilanciamento fra rischi e benefici.
Meglio perdere del tutto il rapporto con la Russia, mettendo a repentaglio banche e aziende presenti in quel Paese, oltre a perdere del tutto ogni possibile riappacificazione energetica? O inimicarsi il Tesoro degli Stati Uniti in un momento in cui i nostri conti pubblici – per esplicita ammissione del Mef- sono fortemente a rischio? Chi controlla maggiormente il mercato che può far saltare il nostro spread, gli Usa o la Russia? E il fatto che Janet Yellen faccia tappa a Francoforte prima di arrivare a Stresa, cosa ci dice rispetto a una probabile moral suasion sulla Bce, la stessa istituzione che tramite il reinvestimento titoli del Pepp sta mantenendo in equilibrio quel medesimo spread?
Cattivi pensieri? Guardatevi intorno, cari lettori. Il tempo dell’ottimismo è finito.
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