A cosa serve la battaglia geopolitica in atto sui vaccini? A occhio e croce, a qualcosa di paradossalmente ancora più importante della conquista di quote di mercato nei rapporti internazionali e della volontà di rinsaldare alleanze, come dimostra la nuova crociata maccartista lanciata dalla Nato contro Russia e Cina. Ed è proprio il Dragone a mostrarlo chiaramente. Pechino non ha preso bene la convocazione del proprio Ambasciatore da parte del ministero degli Esteri tedesco. E non ha perso tempo nel renderlo noto, a modo suo. Oltretutto, utilizzando il proxy più simbolico possibile. Ovvero, Hong Kong, dove le autorità sanitarie hanno bloccato la somministrazione del vaccino Pfizer-BionTech per difetti di confezionamento delle fiale. Un alibi, ovviamente. Ma anche qualcosa da non sottovalutare. Perché Pechino è diventata nel 2020 il primo partner commerciale della Germania e quell’atto diplomatico di Berlino potrebbe scavare un fossato.
Esattamente, ciò che vuole l’America, impegnata parallelamente nel martellamento del Dipartimento di Stato per ottenere il rinvio sine die del completamente dei lavori per Nord Stream 2. Non a caso, ieri Joe Biden è stato “ospite” del Consiglio Ue, assise alla quale si è nei fatti presentato in veste di rappresentante farmaceutico di Pzifer e Johnson&Johnson. Un piazzista di lusso. Ma la Cina non pare intenzionata ad accettare provocazioni. E se l’arma dei semiconduttori non fosse sufficiente a spaventare una Volkswagen che sta volando proprio sulle aspettative legate all’auto elettrica (mentre Ford è stata costretta a bloccare per due settimane la produzione negli stabilimenti di Kentucky e Ohio), ecco che Pechino accetta anche lo scotto dei tonfi di Borsa e annuncia la possibile vendita di alluminio dalle riserve strategiche per calmierare i prezzi.
Solo mercoledì, Zhejiang Huayou Cobalt ha perso l’8,3% e Aluminum Corp of China il 6,1%. E attenzione, perché la Pboc non è mai stata così frugale nell’offerta di liquidità alle banche da un anno questa parte, facendo mancare un supporto fondamentale alle equities: come dire, noi possiamo permetterci un tonfo. Giappone e Usa, invece? La prova sta in questo grafico, dal quale si evince come l’indice benchmark del Dragone abbia già perso il 15% dai massimi. E pare proprio che la Banca centrale non sia intenzionata a fare un plissé per sorreggerlo.
Chicken game, il gioco del pollo: chi si getta dall’auto in corsa per primo? Pericoloso. Molto pericoloso in un mondo inondato di liquidità ma anche terribilmente esposto a indebitamento e leverage. Una miscela esplosiva: praticamente, il corrispettivo di accendersi una sigaretta con una bottiglia molotov. E perché il mondo sarebbe disposto a correre questo rischio? Lo spiega questo altro grafico: la (falsa) convinzione che la fiammata inflattiva in atto sia totalmente ascrivibile al cambio di paradigma imposto agli stili di vita dalla pandemia, la cosiddetta Covidflation su cui sta lavorando il professor Alberto Cavallo della Harvard Business School. Quindi, affidandosi ciecamente ai vaccini, la convinzione è quella di un ritorno al vecchio, caro regime di deflazione che garantisce le condizioni per un Qe pressoché perenne. E le Borse festeggiano.
Pechino sta dimostrando che l’intera narrativa può cambiare. E che lei è pronta ad accettare la sfida. E gli altri? Questo grafico mostra come il 24 marzo, la Bank of Japan abbia acquistato Etf per 71,3 miliardi di yen al solo scopo di sostenere il Topix, il maggior acquisto su singolo giorno di sempre e, soprattutto, il primo cambio di pattern da inizio anno. Non a caso, quel giorno il Topix aveva patito le peggiori perdite da un mese a questa parte: il 31 marzo finisce l’anno fiscale in Giappone e non è piacevole farlo con gli indici in correzione, dopo i ribilanciamento di portfolios.
Insomma, Tokyo difficilmente accetterà la sfida di Pechino. E attenzione, perché la Cina sta muovendosi in questa direzione con Hong Kong già in regime di correzione ufficiale. E gli Stati Uniti? Ci pensano questi due grafici a mettere la situazione in prospettiva, poiché ci mostrano cosa stia accedendo in queste ore, nel silenzio generale della stampa. E grazie al caos vaccini. Il comparto delle Spac, i veicoli di collocamento che hanno garantito l’ultima fase di rally, è ufficialmente entrato in bear market, avendo perso oltre il 20% dai massimi.
Titoli sui giornali? Zero. Eppure la SPAC-mania aveva monopolizzato media e social network per mesi: puff, sgonfiata come un soufflé mal riuscito. Senza che nessuno se ne preoccupi. Ancora più seria la dinamica messa in prospettiva dall’altro grafico, poiché mostra la sempre più stringente correlazione fra rendimenti dei Treasuries e andamento del Nasdaq, il quale sta continuando a patire cali. Quando non veri e propri tonfi. Eppure, guarda le coincidenze: grazie all’ultima follia (concordata) di Recep Erdogan e il conseguente crollo della lira turca, i rendimenti dei titoli di Stato Usa sono rientrati in margini accettabili rispetto al tipping point rappresentato da quota 1,75%.
E cos’è accaduto lunedì scorso, in concomitanza con l’ennesima crisi valutaria di Ankara? Ce lo mostra questo ultimo grafico, dal quale si evince come in perfetta contemporanea l’Etf più famoso nel tracciamento del Nasdaq, l’Invesco QQQ, abbia registrato un inflow giornaliero di qualcosa come 4,9 miliardi di dollari, il massimo dal boom della stagione dot.com del 2000. Correlazione perfetta fra un debito sempre più insostenibile per il ricorso strutturale a deficit da monetizzare tramite Qe perenne e l’indice più esposto al leverage e all’espansione dei multipli: praticamente, nitroglicerina con cui si gioca a palla avvelenata. Finora, la Fed l’ha scampata.
Vi pare un caso che la crisi turca, la quale nella notte fra domenica e lunedì scorsi ha visto il tasso overnight arrivare al 10.000%, salvo stabilizzarsi al 600%, non abbia minimamente contagiato il resto degli indici, nonostante le implicazioni di esposizione bancaria a quel Paese senza ormai più riserve e in mano a un uomo che licenzia chiunque osi non abbassare i tassi? Mossa strategica. Ovviamente, compiuta da Erdogan con la certezza che gli Usa garantiranno proprio per quelle riserve. Basterà fra qualche tempo andare a vedere il livello di contabilizzazione degli swaps all’interno delle stesse. E, soprattutto, notare quanto le mire turche in Siria otterranno mano libera dagli Usa, in ossequio al do ut des.
Tutto questo sta accadendo oggi, ora. Eppure nessuno ne parla. E nessuno pare accorgersene, monopolizzata com’è l’informazione dal caos vaccini. La Cina sta silenziosamente lanciando la sfida del secolo, proprio a pochi giorni dal fallimentare meeting con gli Usa in Alaska e in piena campagna sanzionatoria da parte dell’Europa.
Comincia il Risiko. Quello vero. E il nervosismo tedesco in politica estera ne sarà il termometro.
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