Forse non ci è ben chiara la situazione in cui stiamo vivendo. E, forse, è il caso di schiarirci per bene le idee, perché stavolta dubito ci sarà un secondo appello. Partiamo da questi due grafici, il primo dei quali ci mostra come in base alla rilevazione del 10 aprile scorso di Bloomberg Analytics, le Banche centrali del G7 avevano inondato il mercato con liquidità per 1,4 triliardi di dollari. Soltanto nel mese di marzo. Per mettere la cosa in prospettiva, posso dirvi che si tratta di un ammontare cinque volte superiore al precedente picco registrato nell’aprile del 2009, quando si toccarono i 270 miliardi di dollari. Insomma, volendo sintetizzare la situazione in maniera elementare e brutale, la crisi che stiamo vivendo – e che pare ben lungi dall’essere entrata nella sua fase di picco – è già oggi cinque volte più grave di quella seguita all’esplosione della bolla subprime e al crollo di Lehman Brothers.
Mi pare che su queste pagine qualcuno vi avesse messo in guardia da un epilogo simile, mentre tutt’intorno si vergavano paena sul boom statunitense. Il secondo grafico, paradossalmente, è ancora più inquietante. Perché ci mostra come a sole 72 ore da un’iniezione monstre di liquidità nel sistema, la Pboc sia dovuta tornare in azione e anche questa volta sfoderando il machete: non fossero stati sufficienti gli oltre 700 miliardi di dollari immessi nel fine settimana, ieri la Banca centrale di Pechino ha tagliato ancora e di netto i requisiti di riserva delle banche, compiendo una liberazione implicita di ulteriore cash per altri 28 miliardi di dollari. Al netto delle panzane che ci raccontano rispetto a un ritorno alla normalità e a dati macro miracolosamente in recupero record, in Cina più di un soggetto finanziario sta rischiando di andare a zampe all’aria a causa della catena di rischio sulla controparte. Insomma, siamo dentro una crisi di dimensione epocali. E dagli esiti tutt’altro che scontati o preventivabili.
E l’Italia come si sta muovendo, all’interno di questa pericolosa entropia? In ordine sparso, come al solito. E senza avere la minima percezione del rischio reale che corre. Da più parti, da Confindustria alle principali banche fino agli organismi internazionali, Roma è stata messa in guardia rispetto al crollo verticale del suo Pil nell’anno in corso, fattore determinante per la sostenibilità dei conti pubblici, viaggiando il nostro Paese già oggi su una ratio debito/crescita superiore al 130%. Ieri, poi, il Fmi ha reso noto che in base ai suoi calcoli, il deficit italiano nell’anno in corso salirà addirittura all’8,3%, stante le misure emergenziali di spesa che dovranno essere messe in campo per far fronte al lockdown dell’economia. In mezzo a questo guado, la discussione sul Mes: attivarlo o no?
Al riguardo, il Governo appare spaccato, così come l’opposizione. Ordine sparso, appunto. Per ora il Quirinale tace, ma, temo, solo perché impegnato in frenetici contatti telefonici. Spesso, utilizzando un prefisso internazionale. Volete che vi dica come la penso, senza tanti giri di parole (come se di solito usassi il fioretto…)? Lascio l’onere a questi due grafici, i quali sintetizzano la situazione. Sapete perché il cosiddetto fronte sovranista/populista – il quale in questa specifica situazione vede uniti nel “no” al ricorso al Fondo salva-Stati sia Lega che Fratelli d’Italia che M5S – pare pronto a tutto pur di forzare la mano con Bruxelles e non cedere all’attivazione del fondo? Perché la loro prospettiva di riferimento è quella descritta nel primo grafico, elaborato da Goldman Sachs nel suo ultimo report e decisamente non prono a interpretazioni nella sostanza: quest’anno, la grandissima parte – pressoché la totalità – delle emissioni di debito Usa saranno acquistate dalla Fed. Si parla, in totale, di un controvalore di 3 triliardi di Treasuries di cui la Federal Reserve farà un’assoluta scorpacciata: oltre 2,1 triliardi. Prestatore di ultima (anzi, pressoché unica) istanza. Ciò che sia la Lega che Fratelli d’Italia invocano pubblicamente da mesi e mesi, mentre in casa M5S era un attualmente epurato come Gianluigi Paragone ad aver sempre tenuto alta questa bandiera (senza, tra l’altro, che nessuno dei vertici lo smentisse).
Cosa significa? Deficit a go-go, spese pazze, prebende per tutti e unicorni come se piovesse. Tanto c’è la Banca centrale che ingloba tutto il debito emesso per finanziare lo shopping, di fatto stampando moneta dal nulla: l’irresponsabilità al potere. Non a caso, quando andiamo in Europa a chiedere la mutualizzazione del debito, giustamente Germania e Olanda ci mostrano il gesto dell’ombrello, come Vittorio Gassman ne Il sorpasso. L’idea che la destra di governo ha della sostenibilità dei conti pubblici è questa: l’emergenzialità perenne che dovrebbe, nei loro sogni proibiti, tramutare la Bce nella Fed e vedere tutte le nostre emissioni coperta di default dagli acquisti onnivori di Francoforte. In modo che il debito sempre crescente sia comunque strutturalmente sostenibile, avendo un compratore marginale garantito e con potenza di fuoco pressoché illimitata. Se i soldi finiscono, si stampano. Peccato che la vita reale non vada così. Vale per il bilancio di una famiglia, di un’azienda e anche – a maggior ragione – di uno Stato.
L’Europa è imperfetta nella sua architettura? Vero. Anzi, verissimo. Ma non scambierei il presunto “rigore” della Bce con la follia monetaria della Fed – di fatto finalizzata unicamente a non far crollare quel colossale schema Ponzi chiamato Wall Street, come dimostrano tutte le metriche macro post-2008 – nemmeno per un istante: perché quella non è la strada per la prosperità, è la tangenziale verso la rovina.
Ed eccoci al secondo grafico, il quale con la rovina ha molto a che fare. TS Lombard è una vera e propria istituzione in fatto di consulting finanziario e quello che vedete rappresentato nel secondo grafico è lo studio prospettico relativo agli scenari potenziali delle nostre dinamiche di conti pubblici, attraverso le metriche variabili del Pil e dell’interesse applicato sul servizio del debito. Ipotizzando un tasso di interesse un po’ superiore a quello della media del 2019 (2,5%
sul decennale, oggi viaggiamo sull’1,85%) e applicando al nostro Pil il worst case scenario di addirittura un -15% a causa del lockdown da coronavirus (ipotesi poi non troppo distante da quelle già avanzate da molti soggetti, anche italiani), la ratio debito/Pil è proiettata a salire al 173%. Ovviamente, al netto dell’aumento strumentale dello spread di queste ore, quei conti sono falsati dal fatto che non tengono conto dello scudo della Bce, garantito de facto fino al 31 dicembre e che dovrebbero schiacciare parecchio i costi del servizio del debito, rispetto alla media dell’anno passato. O forse, alla TS Lombard sanno in anticipo qualcosa che noi comuni mortali ancora ignoriamo? Ovvero che la mega-deviazione nel principio di capital key sugli acquisti obbligazionari attualmente in atto a nostro favore da parte dell’Eurotower non proseguirà con questa magnitudo assoluta (oltre il 40% di quota parte contro il 17% statutario che spetterebbe al nostro Paese) fino a fine anno e che, una volta passata la fase emergenziale, si tornerà – magari gradualmente – a una normalità di “trattamento” per i nostri Btp. In quel caso, senza scudo totale della Bce, dove andrà a finire il nostro spread e con esso i costi sugli interessi del debito?
Signori, è vero: l’Europa in queste ore sta spingendoci ad accettare il Mes, in maniera anche poco ortodossa. Negarlo sarebbe ipocrita ed è uno dei pochi difetti che non ho. Ma riguardate quella tabella, per favore: siamo al capolinea, anche senza bisogno di ricorrere a scenari volutamente estremi. Le dinamiche strutturali non reggerebbero più, nemmeno se per miracolo risorgessimo dal lockdown con tassi di crescita cinesi.
Ora guardate questo ultimo grafico, già ribattezzato nelle sale trading londinesi come The Mes factor: l’Italia è tornata a essere l’anomalia d’Europa nelle ultime 48 ore, un qualcosa che la Bce (autrice del grafico) non ha perso tempo a mettere in evidenza. Nonostante gli acquisti, infatti, i nostri titoli di Stato sono gli unici ad aver patito un chiaro esempio di frammentazione finanziaria in seno all’Eurozona, nonostante lo scostamento sulla capital key in vigore con il nuovo piano Pepp.
Mossa voluta? Acquisti ritardati o diminuiti, visto che proprio l’eliminazione del cap pro quota valido durante il vecchio regime di QE permette una certa flessibilità nel controvalore di bond su cui la BCE opera (in parole povere, se Roma si lamentasse, Francoforte potrebbe dire tranquillamente di aver compensato gli acquisti in eccesso delle settimane precedenti)? Nulla accade per caso. Tantomeno questa impennata dello spread in pieno terremoto politico da MES.
Siamo obbligati a sottostare a una qualche forma di “tutela”, non fosse altro perché Mario Draghi non accetterà mai di prendersi una responsabilità come quella di guidare un Governo di rinascita nazionale, essendo totalmente in balia delle variazioni pazze delle maggioranza italiane, fra mozioni di sfiducia settimanali e cambi di casacca che pregiudicano le tenute e le credibilità degli esecutivi.
Non penso che si arriverà a logiche dure come quelle della Troika, non fosse altro perché se a palazzo Chigi arriverà davvero “l’uomo che ha salvato l’eurozona”, difficilmente si farà commissariare da quattro burocrati di Bruxelles, dai collezionisti seriali di default del Fmi e dalla controfigura con il foulard con residenza a Francoforte. Occorre accettare il reset, però. L’abbuffata di debito pubblico deve finire. Ora. Perché più si va avanti, più un’ipotesi greca diviene giocoforza e paradossalmente ineluttabile. E non fatevi irretire dalle sirene degli adoratori della Fed e del Dio laico del prestatore di ultima istanza: Portogallo e Germania non stanno uno all’altro come Wisconsin e California, la Bce non può essere la Fed. Ringraziando il Signore.