La scelta di Luigi Di Maio come inviato speciale Ue per il Golfo non deve fare ridere. Perché da ridere non c’è davvero nulla, questa volta. La questione è serissima. Talmente seria che, come da volontà di chi ha mosso le pedine, tutti hanno cominciato a ironizzare, scomodando Totò d’Arabia e altri paragoni fra il sarcastico e il faceto. Esattamente ciò che si voleva ottenere. Perché, altrimenti, qualcuno avrebbe potuto unire i puntini e porsi tre interrogativi. Ad esempio, perché Josep Borrell, ministro degli Esteri Ue che finora ha dimostrazione aderenza pressoché totale all’agenda dell’Amministrazione Biden e ai desiderata della Nato, avrebbe scelto un italiano per un ruolo simile?
Al netto del profilo professionale di Luigi Di Maio, quanto accaduto dimostra come il Qatargate fosse nulla più che l’ennesima cortina fumogena. Altrimenti, l’ultima cosa da fare sarebbe nominare responsabile dei rapporti con il Golfo un rappresentante del Paese dipinto come epicentro dei legami corruttivi con una nazione membro proprio di quell’area. Si sarebbe scelta, forse soltanto per inviare un segnale, una netta discontinuità. E invece.
Secondo, Luigi Di Maio si troverà – di fatto – a gestire anche i rapporti con l’Opec, poiché il Golfo ne è asse portante. Proprio ora che il cartello dei produttori di petrolio ha cominciato un percorso di collaborazione con Russia e Cina verso non solo un’indipendenza decisionale sul greggio rispetto ai desiderata dell’economia Usa, ma anche – e forse soprattutto – un approccio verso un’ipotesi di graduale ma costante de-dollarizzazione degli equilibri petroliferi globali. E se esiste un proxy credibile del livello di forza del biglietto verde come valuta benchmark e di riserva, è proprio il cosiddetto petrodollaro. Il quale, di fatto, non solo sovrintende gli scambi del bene energetico ancora primario, ma, soprattutto, è matrice degli scambi sui futures e sui flussi di capitali in cui il gettito fiscale dei Paesi produttori si traduce. Il petrolio è balsamo delle equities, se visto come dollari che entrano nel sistema finanziario.
Terzo, a muovere l’Opec come un puparo è da sempre l’Arabia Saudita, Paese che in seno all’Europa può vantare un rapporto privilegiato proprio con l’Italia. Per l’esattezza con un ex Premier italiano. Uomo che – lautamente remunerato per le sue prestazioni, come è giusto che sia – sovente prende l’aereo, va a Ryad e per incensare il progetto Saudi Vision 2030 scomoda addirittura l’immagine del Rinascimento, forte del suo DNA fiorentino come certificazione di origine controllata e garantita. Guarda caso, Luigi Di Maio ha rotto in maniera drastica con il populismo dei Cinque Stelle e si è avvicinato molto, davvero molto a certe istanze del Dipartimento di Stato durante il suo mandato alla Farnesina. Matteo Renzi, poi, filo-atlantico fino al parossismo lo è sempre stato, rasentando più volte il ridicolo per la sua adorazione stile boy-band di Barack Obama. Inoltre, oggi è reduce da una rottura con Carlo Calenda che gli offre mano libera e una nuova avventura da direttore di giornale. Grancassa ideale per lanciare messaggi, fosse anche solo per gli addetti ai lavori, stante la diffusione condominiale de Il Riformista. Ma si sa, certi fogli non servono a informare la gente, mica hanno la pretesa di essere venduti e letti. Sono messaggi in bottiglia.
Ora guardate il grafico e provate a unire i puntini, chiaramente in ossequio al motto tout se tient.
Nel 2001, il peso del dollaro come valuta di riserva mondiale era al 73%. Nel 2021 era sceso al 51%. Lo scorso anno, altro calo al 47%. Le sanzioni muscolari verso la Russia hanno un prezzo. Ora, poi, si gioca a scacchi con la Cina. Di fatto, un suicidio. Non a caso, Janet Yellen si è affrettata a interpretare il poliziotto buono. Vuoi vedere che toccherà ancora all’Europa mettere una pezza, rimettendoci in prima persona come sul fronte energetico lo scorso anno? Dopo l’Ucraina, l’Ue dovrà sacrificare la propria valuta e il proprio ruolo nel mondo, al fine di preservare alcuni equilibri divenuti molto traballanti?
Direte voi, ridacchiando divertiti per le battute e i meme che circolano in Rete sulla scelta di Josep Borrell: per un compito di tale delicatezza, si sceglie uno come Luigi Di Maio? Se doveste operare senza dare nell’occhio, scegliereste chi non solletica sospetti di doppi fini e agende nascoste oppure qualcuno con un curriculum che non sfigurerebbe su un muro di Langley o nel board of directors della Exxon? Ma tranquilli, trattasi come sempre di complottismo. E, come sempre, ne riparliamo tra un paio di mesi. Quando comincerà la rincorsa affannosa e affannata per accaparrarsi l’energia necessaria ad affrontare l’inverno. E, magari, la recessione.
Esagero? Nessuno ve lo ha detto, presi come siamo a scannarci sul 25 aprile, ma la scorsa settimana i gestori energetici principali del Nord Reno-Westfalia – con il colosso E.ON in testa – hanno salutato a modo loro la chiusura dell’ultima centrale nucleare. Una comunicazione immediata di aumento del 45% delle tariffe. E non si tratta di una battaglia di retroguardia, visto che l’Authority tedesca sulla concorrenza ha immediatamente acceso un faro sull’accaduto. Al netto del price cap interno garantito dal mega-stanziamento statale, l’autunno tedesco si prevede già freddo. E buio. O, quantomeno, sicuramente caro. Da qui ad allora, le Banche centrali avranno già innestato la retromarcia per contrastare la recessione in avvicinamento, come confermano gli standard creditizi che vedono già alzarsi gates tanto invisibili quanto insormontabili per Pmi e famiglie? Siamo certi che il vagabondare del Governo – Draghi come Meloni – tra Paesi africani più o meno credibili, ci abbia garantito l’auspicato affrancamento dalla dipendenza russa? E se gli Usa ci inonderanno davvero di Lng, dove lo rigassificheremo? A quale prezzo? Con quali tempistiche per le industrie? Ma perché perdere tempo con queste rogne, quando di fronte a noi abbiamo almeno cinque mesi di caldo?
Forse pensano che l’aria condizionata nasca sugli alberi. Meglio parlare di 25 aprile. Perché basta dare un’occhiata con attenzione alle pagine interne dei giornali per capire. Pur di ottenere i 19 miliardi della tranche congelata del Pnrr, il Governo ha stralciato di netto tutti i progetti relativi agli stadi. Via, un colpo di cancellino sulla lavagna delle promesse. In questo caso, nate con il Conte-2 e proseguite con il Governo Draghi. Nel solco della favoletta dei 209 miliardi a disposizione del nostro Paese. Free e risk-free. Balle. Basta guardare a quanto accaduto nelle ultime 72 ore sulla tratta Bruxelles-Roma. Prima una bacchettata sulle mani in fatto di tutela dei diritti Lgbt, addirittura vedendo accomunato il nostro Paese a Ungheria e Polonia. Poi lo stop netto sui balneari e l’automatismo sulla concessione delle licenze. Capirete da soli che, in condizioni simili, il can can in atto sul 25 aprile appare necessario. L’alternativa, infatti, è quella di ammettere di essere già oggi commissariati. Senza nemmeno aver ancora ratificato il Mes in Parlamento. E con una crisi bancaria solo in pausa. Attenti, infine: se Kiev entrerà davvero nella Nato, il piano di chi vuole stendere al tappeto l’economia Ue sarà completo.
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