Tutto torna. La bolla azionaria, nel silenzio garantito dall’emergenza sanitaria debitamente alimentata da media, politici e sedicenti esperti irresponsabili, si sta sgonfiando con una velocità che non si vedeva dal 1928, ovvero prima del crash del 1929 e della Grande Depressione. Non ci credete? Guardate questo grafico, il Dow Jones non aveva mai patito una perdita intraday come quella di giovedì nella sua storia e bisogna appunto tornare indietro di quasi cento anni per trovare un tracollo così rapido dai massimi storici al territorio di correzione ufficiale. Titoli si giornali? Certo, all’interno. Magari l’apertura delle pagine economiche, ma non certo la prima pagina. Eppure, la magnitudo di quanto accaduto sui mercati è stata degna del 2008, dei giorni del crollo di Lehman Brothers. Anzi, peggiore, stante le attuali condizioni macro e di indebitamento ed esposizione alla leva.
Ma c’è il virus, c’è il terrore per la pandemia globale, c’è l’ossessione per gli starnuti e i colpi di tosse del vicino in tram, la fobia del contagio e della morte. E in ossequio a questo, ecco cosa sta invece già accadendo: come vi dicevo da tempo, ben prima che cominciassero i tracolli e anche il panico da bacillo, il parco buoi sta subendo una delle tosature più rapide e radicali della storia recente. La sola Tesla ha perso il 30% nel range a 52 settimane ed è passata dalla prospettiva di 1.000 dollari per azione di una settimana fa al non reggere quota 680 dollari di giovedì sera: tutt’intorno, impiegati e studenti del college rovinati, costretti a ripagare i debiti contratti per comprare quei titoli per i prossimi 20 anni.
Chissà quando la gente comune capirà che gli hedge funds fanno ciò che fanno perché è il loro lavoro e che, soprattutto, al mondo (e in Borsa, principalmente) non esistono pasti gratis? Sarà sempre troppo tardi, ma, come vi ho detto già in passato, per gente così avidamente stupida non provo né pena, né pietà. Provo invece rabbia, profonda, per quanto sta accadendo alla Bce, poiché mi (e ci) riguarda direttamente. Mentre il vice-presidente Usa, Mike Pence, fresco di promozione a capo delle Task Force nazionale anti-virus, nominava il ministro del Tesoro e il capo del National Economic Council come suoi collaboratori – di fatto dimostrando al mondo un approccio economico e finanziario e non sanitario al problema, discrimine di fondamentale importanza -, Christine Lagarde concedeva un’intervista al Financial Times, nella quale, dopo aver blaterato per righe e righe sul nulla dell’obiettivo inflazionistico e sull’agenda green, sosteneva che al momento non esistono condizioni di urgenza legate al coronavirus tali da richiedere un intervento extra della Banca centrale. Diciamo, un approccio vagamente differente al problema fra le due sponde dell’Atlantico. E, come vedrete, due epiloghi decisamente diversi.
Mi chiedo e vi chiedo: quanto ci vorrà ancora per capire che, citando l’Economist di epoca berlusconiana, la signora è semplicemente unfit per il ruolo? Ringraziamola tanto, facciamole il baciamano, diamole una buona uscita cospicua con cui possa comprarsi decine di fantastici foulard di Hermes da sfoggiare in dotti convegni e simposi, ma togliamocela di torno, prima che sia veramente tardi. In America nominano il ministro del Tesoro e il capo degli advisers economici del Paese a membri eminenti e operativi della Task Force contro il virus, di fatto anticipando quella che sarà una massima forzatura della mano della Fed e qui invece continuiamo a ritenere Greta Thunberg il nostro riferimento in fatto di scelte monetarie ed economiche: chi dei due soggetti merita un TSO?
Di fatto, i futures euro-dollaro già oggi prezzano oltre il 60% di probabilità per un taglio di 25 punti base al prossimo Fomc del 18 marzo, qui madame Lagarde non vede invece ragioni di allarme e continua a vaneggiare di revisione della guidance della Bce. Insomma, lucida le maniglie sul Titanic. E come se non bastasse, attenzione all’altra variabile di cui vi parlavo a inizio settimana, divenuta in queste ore sempre più drammaticamente urgente e attuale. Come ricorderete, il 9 marzo vanno a scadenza bond libanesi per 1,2 miliardi di euro in controvalore e già oggi quella carta prezza quasi il 1.800% di rendimento: default assicurato, fra poco più di una settimana. Il Fmi è già intervenuto, dicendo che occorre evitare un evento di credito disordinato: visto il precedente argentino, capolavoro totalmente ascrivibile proprio alla guida di madame Lagarde, pare un’aggravante alle mie preoccupazioni, più che una ragione di sollievo. Inoltre, tutte le principali agenzie di rating hanno già operato downgrades draconiani, di fatto rendendo automatico l’innesco delle clausole: come reagirà il popolo libanese, in piazza contro Governo e carovita ormai da mesi, all’ipotesi di un default che – magari – come condizione per evitare un tracollo totale, imponga controlli sui conti correnti e blocchi dei prelevamenti nelle banche, al netto di una lira libanese (legata da un peg fisso al dollaro) che al mercato nero ha già perso il 40% di valore?
E cosa rende ancora più urgente e grave questa situazione? Il fatto che nelle ultime ore in Siria siamo tornati a una condizione da showdown bellico, con le truppe turche che hanno annunciato un’offensiva su larga scala contro tutti gli obiettivi del regime e le truppe a esso fedeli che per tutta risposta – e con l’appoggio russo, particolare da non sottovalutare – hanno risposto al fuoco, uccidendo 33 militari di Ankara. Recep Erdogan ha convocato d’urgenza il Consiglio di sicurezza ma, soprattutto, ha palesemente minacciato l’Ue: i suoi uomini non bloccheranno l’eventuale flusso di nuovi profughi verso l’Europa, tanto che già oggi in Grecia si sta assistendo a una prima – seppur limitata – ondata di arrivi. Insomma, rotta balcanica potenzialmente di nuovo in fiamme, alla faccia dei 6 miliardi che l’Ue ha pagato alla Turchia perché si occupasse della faccenda. Il tutto, in pieno caos da coronavirus. E con la politica Ue mai così divisa, sia a livello comunitario (stallo totale sul budget 2020-2027) che interno, vedi la crisi pericolosissima della Cdi in Germania. E signori, il Libano sull’orlo del fallimento è un Paese di 5 milioni di abitanti che ospita nei suoi campi circa 1 milione di profughi, la grandissima parte dei quali proprio siriani della prima diaspora bellica: cosa accadrà in Medio Oriente, se la situazione di Beirut e Damasco dovesse precipitare in contemporanea, come appare possibile in queste ore?
Siamo di fronte alla tempesta perfetta, inutile far finta di niente. Anzi, è semplicemente suicida far finta di niente. E il fatto che la numero uno della Bce sposi in pieno questo atteggiamento, dovrebbe preoccuparci molto più del coronavirus. Attenzione, qui si rischia un epilogo che pensavamo evitato nel 2011: l’implosione dell’Europa. E in maniera tutt’altro che politica, concordata e incruenta. Altro che Brexit.