Ormai appare chiaro che lo scontro è totale. La Cina non solo si è schierata con una chiarezza senza precedenti al fianco della Russia, ma ha anche inviato un messaggio non mediato agli Usa sullo status di Taiwan che appare più di un monito, alla luce del contesto in cui va a inserirsi. Nel contempo, Mosca testa un nuovo missile intercontinentale che a detta di Vladimir Putin farà riflettere chi prova a minacciarci. Per tutta risposta, gli Usa annunciano invio di armi all’Ucraina su base quotidiana e al G20 Janet Yellen e tutti i rappresentanti occidentali – Paolo Gentiloni in testa – hanno abbandonato la sala, quando ha preso la parola il ministro delle Finanze russo. Chi sta cercando il dialogo, quindi? Nessuno. Apparentemente, siamo di fronte a una corsa disperata verso il proverbiale punto di non ritorno.
Nel frattempo, il mondo continua a vivere come niente fosse. Probabilmente il long Covid esiste anche come conseguenza di status mentale: talmente siamo ormai abituati alla logica dell’emergenza da non capire più quale sia la realtà e quale la sua trasposizione mediatica. Forse nessuno ha ben chiaro il fatto che di fronte anche a un singolo utilizzo di arma non convenzionale da parte di una delle parti in causa, le mascherine non basteranno. E nemmeno il gel per le mani o il distanziamento. Questa immagine mostra il sito del ministero per le Emergenze russo, il quale dall’altro giorno forniva linee guida ai cittadini in caso di attacco nucleare ritorsivo da parte della Nato. Tradotto, la Russia colpirà per prima con armi proibite e l’Alleanza risponderà con la stessa moneta. Di fatto, la Terza guerra mondiale. Con tanto di data probabile, domenica dopodomani: la Pasqua ortodossa.
Si tratta di un falso, nel senso che Mosca ha confermato come il sito governativo sia stato hackerato e quel contenuto pubblicato in maniera piratesca. Ma poco cambia: per alcune ore, tutti lo hanno ritenuto magari non vero ma verosimile. Siamo ormai nell’ambito della verosimiglianza di un attacco atomico. Forse non ci è ben chiaro di cosa si tratti, forse siano oggettivamente sconnessi. Eppure ne siamo parti in causa. Anzi, fra gli europei noi italiani emergiamo come i più falchi. Sicuramente più della Germania, la quale vede il proprio Cancelliere finire pericolosamente sotto i riflettori dei dem con l’elmetto, poiché dopo aver detto no a sanzioni sul gas, da giorni sta tirando il freno persino sull’invio di armi. Forse ha capito cosa sia in gioco e come armare Kiev significhi supportare l’escalation e uccidere il dialogo.
Per Repubblica è riluttante. Per quanto mi riguarda, semplicemente dotato ancora di un minimo di raziocinio. Perché testare quel missile devastante e rendere note le prove per la marcia trionfale del 9 maggio su Mariupol certamente non offrono di Mosca un profilo di parte in causa alla ricerca di mediazione, meglio essere chiari. Ma, altresì, quel gesto al G20 si configura come una chiusura epocale. Non tanto e non solo al dialogo nell’immediato, magari per tentare un compromesso proprio sulla crisi in atto da giorni all’acciaieria di Mariupol, ma una scelta di campo netta a favore di un’accelerazione rispetto a un nuovo ordine mondiale basato unicamente sulla contrapposizione frontale fra blocchi: Nato da una parte, Cina-Russia-India dall’altra. Con il resto del mondo a operare da enorme coté spartitorio. Insomma, la follia più assoluta.
Nel frattempo, Netflix si inabissa. Qualcosa più di una coincidenza simbolica. Un’altra lettera cade dall’impalcatura di bolla recante la scritta FAANG, dopo la F di Facebook. E questa volta lo fa rovinosamente, a causa non di una scelta aziendale di morphing, ma di un tracollo nei conti. Emorragia di abbonati. Forse perché dopo due anni sul divano, fra divieti prima e terrore della folla poi, la gente preferisce una passeggiata anche solitaria al parco all’ennesima maratona di film o serie tv? Sarebbe sintomo di salute mentale, in effetti. O forse, perché oggi il Dottor Stranamore è in diretta live su tutti gli schermi televisivi senza bisogno di abbonamento: non serve più Netflix che cavalca la cronaca e la traduce in drammatizzazione da fiction, perché è il mondo intero a vivere nella versione 2.0 di War games. Ciò che prima si cercava nell’elenco dei programmi e che si godeva solo previo pagamento di un abbonamento, ora è gratis a tutte le ore. Basta guardare un tg o un talk-show. L’informazione è diventata fiction. Questa è la vera distopia orwelliana, non l’utilizzo della mascherina prorogato anche dopo il 1° maggio sui mezzi pubblici o la tracciatura via app. Perché parliamoci chiaro, il livello di controllo cui siamo sottoposti già oggi e senza che nessuno batta ciglio si palesa chiaramente nel momento in cui eseguiamo anche la più innocua ricerca su un motore qualsiasi della Rete. Istantaneamente quella necessità/desiderio viene profilata e ci ritroviamo sommersi di banner relativi a prodotti/servizi simili. Poco deve importarci se una app dovesse tracciarci: ogni volta che mettiamo un dito sullo smartphone, siamo tracciati e profilati.
Occorreva ribellarsi prima, quando invece questa rivoluzione digitale era salutata come una nuova Era di benessere per tutti, comodità e opportunità, appendice pop di quelle magnifiche sorti e progressive conosciute come globalizzazione. Il mondo in tasca, di fatto. E noi nello schermo di un radar. Oggi non serve più. Ripeto, il tracollo di Netflix è più che una conseguenza di mercato. È più che un campanello d’allarme rispetto alla sostenibilità stessa di un comparto tech che ha tramutato il Nasdaq nel motore immobile del mondo. È il paradigma di un modello di società incapace di spaventarsi realmente, abituato com’è a ogni tipo di emergenza mediata dalla finzione. Stiamo assistendo a un riarmo da Guerra fredda con la stessa nonchalance con cui si assiste a una gara di curling. È tutto una fiction, per noi. Netflix può precipitare non perché il suo modello di business sia superato, bensì perché la realtà ha superato i contenuti che offre.
Siamo a un passo dall’aprire la finestra per assistere allo spettacolo, piuttosto che accendere tv e decoder. E nemmeno ce ne rendiamo conto. E questo perché in ballo c’è ben altro che il Donbass o il principio di deterrenza che sottende l’allargamento a Est della Nato: c’è un nuovo ordine economico mondiale, quella che alcuni analisti hanno definito una Bretton Woods III, in cui il blocco occidentale tenta di mantenere il suo status di primazia attraverso concetti desueti come il petrodollaro o la finanza derivata o il monetarismo a cascata delle Banche centrali. Dall’altra parte, però, non c’è più un mondo che vive di riflesso, utilizzando le medesime armi per evolversi a colpi di materie prime e iper-produzione dal suo status di emergente: ci sono potenze – atomiche – che hanno capito come proprio le materie prime siano l’ancoraggio principale per monete ed economie, poiché le industrie non possono stampare circuiti integrati come la Fed o la Bce stampano dollari ed euro.
Se si sta arrivando alla Terza Guerra mondiale, di fatto, è perché sottotraccia stanno creandosi i prodromi fattivi di una rivoluzione economico/finanziaria epocale. E gli interessi in gioco, piaccia o meno, sono tali da contemplare persino il rischio nucleare. Per questo Netflix non serve più al sistema, perché ora occorre spaventare davvero. Occorre gestire il caos generale in cui è precipitato di colpo il mondo, dall’Ucraina a Taiwan a Gaza, con le armi della propaganda e non più della manipolazione. Netflix non serve più, occorre il Dottor Stranamore che ne metta a frutto il concime culturale. In senso stretto.
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