Le parole sono importanti. Perché, piaccia o meno, sono come funi per il trapezista: ci si attacca a quella che ti garantisce di sopravvivere, di non cadere. Tanto più, quando la situazione è diventata tale da aver ristretto – e di molto – la rete di sicurezza che sta al di sotto. Si possono mettere in fila decine di concetti, ma, alla fine, ne restano uno o due. Il resto, è sabbia. Contorno, coreografia. E qui, purtroppo, oltre che alla classica e italianissima salita in massa sul carro del vincitore, siamo di fronte a una spiacevole e – in prospettiva – poco edificante rimozione generale.
Guardate questi grafici, i quali esemplificano plasticamente ciò che i soloni del debito si sono ben guardati dal rivendicare come grande orizzonte ideale: lunedì scorso il Giappone ha reso noti di dati del secondo trimestre e, udite udite, l’economia si è contratta di un 27,8%, il peggior dato dal 1955. Direte voi, c’è il Covid. Vero. A parte che, trattandosi di pandemia, c’è per tutti. Ma il secondo grafico mette la questione in prospettiva: quel tracollo si è sostanziato nel pieno del più grande esperimento di stimolo monetario mai messo in atto nella storia, quell’Abenomics dei miracoli che a oggi ha portato il bilancio della Bank of Japan a superare il 130% del Pil del Paese. Insomma, quando sentirete qualche simpatico saltimbanco con laurea in economia dirvi che la sostenibilità dell’indebitamento strutturale è rappresentata plasticamente dall’esperienza nipponica, ridetegli in faccia per favore.
Il Giappone con la sua cieca autarchia rappresenta la dimostrazione in tempo reale di come i Frankenstein della dittatura keynesiana generino mostri ulteriori e ben peggiori. Stagnazione totale, a fronte di una demografia da condanna a morte sociale e di una Banca centrale che, oltre ad acquistare tutto – bond, titoli azionari tramite Etf – in perfetta riproposizione di mercato dell’Urss, controlla quasi a livello poliziesco la curva dei rendimenti, uccidendo qualsiasi possibilità residua di price discovery reale. Ecco cos’è il Giappone, l’avanguardia di Keynes e delle sue teorie a uso e consumo del mitologico 99% della società. E a beneficio dell’1%. Ma non basta. Perché il secondo grafico mostra anche il livello di espansione dello stato patrimoniale della Bce, il quale martedì 18 agosto ha ulteriormente sfondato il suo precedente record storico, arrivando al massimo di 6,404 triliardi di euro, grazie ad altri 19,4 miliardi di assets acquistati in seno al Pepp. Siamo, oggi, al 61% del Pil dell’eurozona. La Fed, per capirci, vanta oggi un bilancio pari a 36% dell’economia Usa.
Di cosa stiamo parlando, quindi, di grazia? Di un mondo che, al netto di tutte le belle parole d’ordine, dal 2008 in poi non è mai uscito realmente dall’emergenza e ha continuato solo a generare e immagazzinare debito. Quante volte, all’epoca, vi dissi che i vari processi di normalizzazione post-Qe di Boj, Bce e Fed erano soltanto fumo negli occhi, poiché visto il livello di dipendenza dei mercati dalla liquidità delle Banche centrali, quell’inganno sarebbe potuto durare solo poche settimane, il tempo di creare un “incidente” ad hoc che generasse una nuova e più grave emergenza che riattivasse giocoforza le presse?
Il Covid, da questo punto di vista, ha fatto scuola. Siamo dentro la più colossale distribuzione di reddito universale tramite monetizzazione del debito che si sia mai registrata in tempo di pace. Non ci credete? Guardate questo grafico, contenuto nell’ultimo studio sul tema curato da Bank of America. Dove sarebbe, in tutta questa follia collettiva, il concetto di “debito buono”? Dove lo intravedete? Forse nel fatto che, grazie a questo intervento alluvionale e totalmente privo di progettualità strategica, la gente può vedersi garantito un sussidio emergenziale su cui fare conto?
Questa si chiama schiavitù da dipendenza, l’altra faccia del sostegno. Perché contemporaneamente, non solo Wall Street macina un record al giorno, sfondando solo con l’espansione dei multipli di utile per azione e il ritorno ai buybacks strutturali un primato dopo l’altro (quello appena concluso dallo Standard&Poor’s 500, non a caso, è stato il bear market più breve della storia, stando ai dati di tracciamento), ma, come mostra questo grafico, ecco che gli stessi rappresentanti della finanza arrivano ad ammettere il livello di totale schizofrenia in cui siamo immersi: nel suo ultimo sondaggio fra i 200 principali gestori di fondi, Bank of America ha chiesto agli interpellati come valutassero nel complesso e per componenti un portfolio misto che fosse composto al 33% rispettivamente da oro, titoli azionari e obbligazioni. La risposta? Tutti gli assets appena citati sono stati definiti overvalued, sopravvalutati, da una percentuale record di rispondendi. Era dal 2008 che non si arrivava a un risultato tale, il 31%.
Ora, cosa c’è di buono in tutto questo? Forse i 600 dollari la settimana che Donald Trump ha garantito fino al 1° agosto ai suoi cittadini, optando poi per il blitz con gli ordini esecutivi per prorogarne le durata e colpire in contropiede i Democratici al Congresso? O forse gli scostamenti di bilancio da 100 miliardi già messi in campo dal Governo italiano, fra una distorsione e l’altra e dovendo attingere ai fondi Sure alla chetichella, in attesa che l’emergenza “banchi a rotelle” a settembre garantisca l’alibi per attivare anche il Mes? Sono davvero i soldi a pioggia, senza un indirizzo preciso, senza una strutturale destinazione verso chi davvero ne ha bisogno, la risposta?
Vi invito a fare un ragionamento che non presuppone conoscenze economiche, ma solo capacità di osservazione e memoria. Fino a un mesetto fa, ricordate i titoli dei tg e i contenuti dei lacrimevoli talk-show populisti, quelli che si arrogano il diritto di parlare a nome della gggente, come la chiamano a Roma? Quale era il leitmotiv se il non il fatto che i ritardi nell’erogazione della Cig stavano letteralmente affamando le famiglie del ceto medio e delle partite Iva? Non eravamo forse di fronte a prospettive da armageddon del turismo, visto che apparentemente nessuno era in grado di potersi permettere nemmeno la spesa al supermarket nell’ultima settimana del mese, altro che le ferie? E ora, come siamo messi? Io non faccio vacanze dal 2011 e anche quest’anno non mi sono mosso da Milano, nemmeno un giorno. Vi assicuro che non era affollata di disperati in preda alla sopravvivenza da proletarizzazione forzata da Covid. E anche i tg nei giorni scorsi parlavano di code chilometriche in autostrada e località turistiche esaurite per Ferragosto.
Cos’è cambiato, quindi, in meno di due mesi? La Cig è arrivata, tutta di colpo e con gli arretrati? Se anche fosse, in nome dell’emergenza elettorale in vista delle regionali di settembre, vi pare normale che intere fasce sociali di potenziali disperati e senza lavoro utilizzi i soldi – a detta della narrativa, necessari per mangiare – al fine di andare in vacanza una settimana? Se io ho fame e stento a pagare la pasta e le uova, oltretutto in vista di un autunno che si prefigura come durissimo, non vado al mare: vado all’Esselunga. Invece, qualcosa non funziona nel meccanismo e nella sua narrativa. Perché l’emergenza è stata utilizzata per creare i prodromi del grande scambio, il varco del Rubicone terminale proprio della logica keynesiana di fondo: tu resti a casa, tramite il brillante modello dello smart working e ti arriva comunque un aiuto dallo Stato. E in cambio, millanti la necessità che quella struttura di dipendenza sociale diventi sistemica, proprio attraverso le retoriche mediatiche e politiche cui abbiamo assistito per settimane. Il pianto greco a reti unificate, salvo poi vedere asciugate le lacrime a tempo di record e per infilarsi tutti in autostrada o in aeroporto.
Parliamoci chiaro: al sistema, conviene un mondo di sussidiati. Tanto ciò che si “redistribuisce” lo pagheranno le future generazioni, visto che è frutto strutturale di indebitamento e deficit, mica di operatività di cassa o spesa corrente. In compenso, lo stato di emergenza ciclico ma permanente consente a tutte le Wall Street del mondo di continuare a macinare record che si traducono in bonus e dividendi, non certo in CapEx per ammodernamento, ricerca e aumento dei livelli occupazionali. Volete una riprova finale? Eccola. Una delle baggianate più grosse che si vende alle opinioni pubbliche è il fatto che, in nome della presunta giustizia sociale insita nella natura stessa dei programmi di sostegno, i regolatori del caso impongano alle banche di non distribuire dividendi. Bene, il primo grafico ci mostra come – per gli istituti Usa – i diktat della Fed siano totalmente inutili, visto che la priorità – proprio nella logica da do ut des che ho appena descritto – sia da tempo quella di sostenere gli indici azionari, utilizzando i soldi per i buybacks più che per i dividendi.
E l’economia reale? Si attacca, visto che alla luce degli accantonamenti record dei primi due trimestri, le banche Usa hanno già alzato e di molto tutti gli standard relativi a prestiti e mutui. Ed eccoci poi al secondo grafico. Tale è stato il ricorso di massa al trading on-line durante il lockdown che la piattaforma Robinhood ha visto la sua valutazione lievitare come un panetto di pasta per la pizza, superando – in vista di una più che naturale e fruttuosa Ipo – quota 11 miliardi di dollari. Pensate che sia stato merito dei banksters di Wall Street? Quelli operano tramite i propri fondi, mica vanno su Robinhood. No, merito dei signori John Smith di tutto il mondo, i quali a fronte di lamentele mediatiche e rivendicazioni sociali in favore di Skype, hanno utilizzato i soldi del sussidio federale per giocare in Borsa e salire sulla giostra del cosiddetto Covidrally.
Signori, non esiste “debito buono”, se non in un quadro di radicale cambiamento della società. Esistono solo alibi per perpetuare lo status quo. E cattive coscienze. Magari anche di chi, dal 2006 al 2011, poteva fare qualcosa. E non lo ha fatto. Per referenze e chiarimenti al riguardo, chiedere al professor Giulio Tremonti. Sono certo che sarà felice di fornire delucidazioni.