Winston Churchill diceva che non si può ragionare con una tigre, quando la tua testa è nella sua bocca. Volendo gettarla sul prosaico, mi viene da dire che è alquanto incauto andare da Mike Tyson per mettere in dubbio la moralità di sua madre, se non si è almeno Lennox Lewis.
Cari lettori, abbiamo cercato le rogne? Le abbiamo trovate. Ora scaldiamoci con le rassicurazioni del ministro Cingolani e facciamo produrre le nostre aziende con le registrazioni delle conferenze stampa di Draghi. Le bollette? Tranquilli, ci penserà Zelensky.
Eviterò di farvi la radiocronaca della reazione del prezzo del gas ad Amsterdam o del cambio euro/dollaro alla decisione di Mosca di anticipare i tempi e bloccare del tutto Nord Stream 1. Le troverete ovunque, in tv come in Rete. E ovviamente, tutti parleranno di ricatto e cinismo di Mosca. Chiaramente, perché l’Occidente ha ontologicamente ragione e la Russia torto. Come negli anni Sessanta e Settanta. Perché ancora si ragiona su un playbook da maccartismo in casa Nato.
Peccato che dall’altra parte lo abbiano evoluto quel copione di warfare, aggiornandolo non solo alla guerra finanziaria, ma anche a quella energetica e delle commodities in genere. E la geniale Europa, prima di imbarcarsi in un’avventura di cui stiamo intravedendo solo ora l’epilogo potenziale, non ha ragionato sul fatto che gli Usa hanno operato in modalità di attacco frontale, perché indipendenti a livello energetico, grazie alla rivoluzione shale. Noi no. Noi, piaccia o meno, siamo totalmente dipendenti dalla Russia. Totalmente.
E non pensiate che l’Iran ieri sia saltato fuori per caso, offrendo all’Europa il suo gas: un mese fa Gazprom e il gigante energetico statale di Teheran hanno firmato un memorandum di intenti da 40 miliardi di dollari. Di fatto, Mosca è ovunque: in Algeria come in Iran. Resta l’Angola proposta come alternativa dal ministro Di Maio.
Le false speranze ora si infrangono su un muro di fallimenti di utilities che in queste settimane si sono letteralmente svenate sullo spot market per garantire ai propri governi di riferimento propaganda riguardo le possibilità alternative al ricatto del Cremlino. E lo scorso weekend ha rappresentato uno spoiler da brivido in tal senso.
Mentre a Praga sfilavano 70.000 persone contro governo, Ue, caro-bollette e una guerra che non è la nostra, da Vienna giungeva conferma del salvataggio da 2 miliardi di euro della principale utility energetica del Paese, Wien Energie. Stando a quanto riportato da AFP, il cancelliere, Karl Nehammer, avrebbe confermato come quella autorizzata a favore dell’azienda sarebbe una misura di salvataggio straordinaria per assicurare che i due milioni di utenti – quasi tutti concentrati nell’area della capitale – continuassero a ricevere l’elettricità nelle case e nelle attività produttive e commerciali. Una linea di sostegno che durerà fino al prossimo aprile. Ovvero, a emergenza della stagione fredda terminata.
E la ragione che ha portato alla crisi è la medesima che ha costretto la tedesca Uniper a chiedere il bail-out del governo. Ovvero, proprio i prezzi del gas alle stelle sullo spot market, dopo che Mosca ha ridotto (e ora sospeso del tutto) i flussi. Da cui Wien Energie dipende pressoché totalmente. Il rischio? Un contagio finanziario, in caso di insolvenza dell’operatore della capitale.
Insomma, emergenza. Esacerbata dalla scelta di Wien Energie di non scaricare finora sugli utenti gli aumenti, una politica che verrà meno dopo l’apertura di linee di credito governative. Tradotto, nei prossimi mesi il potere d’acquisto dei cittadini austriaci subirà uno shock.
Manifestazioni di massa stile Praga in vista anche al di là del Brennero? Perché in Austria, l’inverno si fa sentire. E ancora di più lo fa in Svezia, dove domenica l’esecutivo ha annunciato un pacchetto di aiuti ai produttori di elettricità come risposta al blocco dalla Russia. Anche in questo caso, il timore è quello di un contagio finanziario dovuto al grado di leverage energetico che sta alla base del sistema produttivo scandinavo.
Come se non bastasse, poi, il governo di Magdalena Andersson pare sotto ulteriore pressione, poiché domenica prossima nel Paese si terranno le elezioni generali e, ad oggi, l’estrema destra euroscettica dei Democratici Svedesi appare in vantaggio nei sondaggi. Una crisi finanziaria legata alle sanzioni contro Mosca potrebbe quindi risultare fatale nelle urne.
Parlando con la stampa, Magdalena Andersson ha sottolineato come la decisione presa ieri da Gazprom non solo rischia di portarci verso una «campagna d’inverno», ma anche di mettere a rischio la nostra stabilità dal punto di vista finanziario. E la gravità della situazione pare testimoniata dalla scelta del primo ministro di farsi affiancare per l’occasione dal presidente dell’Ente di regolazione finanziaria nazionale, dal ministro delle Finanze e dal governatore della Riksbank, la Banca centrale. Insomma, un gabinetto di guerra. E il provvedimento si preannuncia da miliardi di corone, poiché si applicherà a tutti gli attori del comparto, sia scandinavi che baltici.
Come mai? La finlandese Fortum, azionista di maggioranza della tedesca (e appena salvata) Uniper, ha chiesto a sua volta aiuto al proprio governo per coprire richieste di copertura di collaterale emerse la scorsa settimana per un ammontare fra 1 e 5 miliardi di euro. A detta del management finlandese, una serie di default legati ai piccoli produttori potrebbe sostanziarsi in severe interruzioni del servizio in tutto il sistema energetico del Nord Europa.
Signori, siamo in trappola. Ce lo dimostrano due devastanti segnali. Primo, Bloomberg ha visionato la bozza su cui stanno lavorando a Bruxelles in vista del vertice Ue di venerdì sulla crisi energetica: al suo interno, oltre all’inseguimento della chimera del tetto sul prezzo del gas, ci sono la proposta di sospensione del trading su derivati energetici e l’istituzione di linee di credito per tamponare le richieste di rientro sui margini proprio delle utilities. Insomma, la Lehman energetica di cui la Germania parlava già lo scorso maggio è divenuta realtà. L’Europa deve tamponare una doppia crisi, energetica e finanziaria.
Secondo segnale, il fatto che la Germania abbia dato vita a un pacchetto di aiuti da 65 miliardi di euro pone di fronte ai nostri occhi un paradosso che è la base della strategia scacchistica di Mosca: quanto ci metterà a far implodere l’eurozona, il cortocircuito di una Bce che alza i tassi per contrastare l’inflazione, mentre i governi degli Stati membri elargiscono aiuti e sostegni di Stato con il badile?
La trappola è scattata. E in tal senso, evitate di guardare troppo alle valutazioni dei futures del gas che arrivano da Amsterdam. Fino a domenica non contano. Sarà lunedì 12 settembre il vero D-day.
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