Lo spread sale sulla scia dei timori di una stretta monetaria da parte della Bce, ma nel 2022 il debito italiano e il suo rapporto con il Pil continueranno a calare. Interpellato durante la conferenza stampa successiva al Consiglio dei ministri che ha approvato la riforma del Csm, l’11 febbraio Mario Draghi ha detto di essersi “preparato” alle domande sull’aumento dello spread, lo spauracchio per i conti pubblici con cui tutti i Governi, incluso il suo, devono cimentarsi.
“Lo spread è aumentato per molti Paesi, quasi tutti, non tutti, ma l’aumento italiano è inferiore a quello di tanti altri”, ha detto Dragh, affermando che si aspettava una domanda sul differenziale tra rendimento del Btp decennale italiano e il Bund decennale tedesco, e quindi era andato a controllare i mercati un attimo prima di comparire davanti ai giornalisti. “Questo non deve assolutamente nascondere che partiamo da una base di spread molto più alta e da un volume di debito più alto”, ha aggiunto, con il ministro delle Finanze Daniele Franco che ha detto che rapporto debito/Pil diminuirà “in modo significativo” quest’anno, dopo un calo maggiore del previsto nel 2021.
In effetti, nella conferenza stampa, domande sul debito delle pubbliche amministrazioni italiane non ce ne sono quasi state. Le ipotesi del ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, e, quindi, del presidente del Consiglio, presuppongono che palazzo Chigi e via Venti Settembre riusciranno tenere la barra dritta di fronte alle continue richieste di parte delle forze politiche di varare (a debito) nuovi scostamenti di bilancio a favore di questo o quello e che gli scandali ormai quotidiani relativi al cosiddetto “reddito di cittadinanza” e dei bonus per le ristrutturazioni edilizie porteranno a rivedere questi due istituti. Anche in quanto la forza politica che li ha proposti, e a cui sono più cari, il Movimento 5 Stelle è ora in pieno caos.
Tuttavia, i rendimenti delle obbligazioni italiane sono aumentati nettamente nell’ultima settimana dopo che la Banca centrale europea ha segnalato crescenti timori sull’inflazione e una potenziale accelerazione nel ritirare lo stimolo monetario messo in campo durante la pandemia. Dall’1,44% di giovedì 3 febbraio, prima dell’annuncio della Bce e della conferenza stampa della sua Presidente Christine Lagarde, ha registrato un aumento di 50 punti base. Il Btp decennale italiano ha infatti chiuso la giornata in crescita di 5 punti base con un rendimento a 1,948% da 1,898% della precedente chiusura. Il differenziale tra rendimento del Btp decennale italiano e il Bund decennale tedesco ha terminato la seduta a quota 162,1 punti base dai 156,8 della chiusura precedente. Nel corso della seduta lo spread ha oscillato tra un minimo di 154,7 e un massimo di 164,6.
“Il problema più grande per la Bce è quello che succederà agli spread quando la banca centrale si orienterà in una direzione da falco – ha commentato Mark Dowding, di BlueBay -. I componenti del consiglio direttivo sembrano felici di assumere che la stabilità della moneta unica possa essere data per scontata, nello stesso modo in cui la stabilità dei prezzi era data per scontata solo pochi mesi fa. Sembra che Lagarde sia inconsapevole di aver dato al mercato il via libera per spingere gli spread ad allargarsi”, ha concluso.
In questo quadro, a vari livelli si stanno studiando modi e maniere di ristrutturazioni del debito sovrano. In primo luogo, il Fondo monetario internazionale ha pubblicato un nuovo “policy paper in materia”. Il documento verrà discusso a un seminario telematico internazionale nel quadro delle attività del centro Baffi mercoledì 23 febbraio. Provocativo il titolo “Sovereign Domestic Debt Restructuring: Handle with Care” (“Ristrutturazione del debito sovrano: da trattare con cura).
Non sembra che stiano trattando la materia con la cura necessaria economisti che dicono di essere vicini a palazzo Chigi – ma non tirano in ballo presunte prossimità con via Venti Settembre. E in queste ultime settimane divulgano in seminari universitari (e non solo) proposte di “parcheggiare per sempre” parte del debito delle pubbliche amministrazioni italiane presso la Bce o ancora peggio di collocarlo presso un’Agenzia europea ad hoc (senza tener conto che – come dimostrai in un articolo pubblicato sulla “Rivista di Politica Economica” trent’anni fa – per creare un ente del genere, sempre che vengano conviti i 19 Stati dell’unione monetaria, sono necessari almeno sei anni). Proposte di questo genere non sono che “ristrutturazioni in maschera” del debito (della Pubblica amministrazione italiana), una maschera che non cela neanche troppo la vera natura dell’operazione.
Secondo Ricardo A.M.R. Reiss della London School of Economics, questi schemi di soluzione potrebbero accelerare e aggravare una crisi del debito dei Paesi Ue più indebitati, scuotendo la fiducia degli operatori. Debt crisis are self-fulfilling prophecies (Le crisi del debito sono profezie che si auto-avverano), come dimostrano, ad esempio, i numerosi casi di crisi debitorie dell’Argentina, che si sarebbero potute evitare o la svalutazione forzata dai mercati sulla Gran Bretagna che nel novembre 1967 portò alla fine della zona sterlina.
Cosa concludere? Se blocchiamo sul nascere proposte di nuovo debito e nel Documento di economia e finanza atteso per aprile tracciamo una politica di finanza pubblica articolata su contenimento della spesa corrente e aumento del capitale fisso sociale, potremo poco a poco alleggerire il peso del debito. Se prendiamo, invece, la strada delle “ristrutturazioni in maschera” per restare nell’unione monetaria dovremo prendere la medicine propinate dal Fondo monetario, dalla Bce e dalla Commissione europea.
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