Mentre noi annegavamo in fiumi di retorica per il 25 aprile, il redde rationem è arrivato. Quasi nessuno se ne è accorto, perché i media – appunto – erano troppo impegnati a relazionarci sulla battaglia di retroguardia in tema di Resistenza. C’è da capirli, quando l’alternativa è raccontare – come cercherò di fare in due puntate – quanto accaduto sul mercato tra il 24 e il 25 aprile. Solo 48 ore. Ma potenzialmente in grado di cambiare il corso degli eventi.



La palla di neve si è staccata e comincia a rotolare a valle? No, la palla di neve è già valanga. Altrimenti, un giornale come La Repubblica non avrebbe pubblicato un servizio intitolato Eurovita, la rabbia dei clienti dopo il congelamento dei riscatti delle polizze:”Non ci fidiamo più”. Era il 24 aprile. E uno dei quotidiani più istituzionali e autorevoli del Paese, sceglie questo approfondimento. A freddo. Dopo settimane di disinteresse sul caso della compagnia assicurativa finita a zampe all’aria. E corredandolo di un pezzo di spalla, dal titolo ancora più allarmante: Eurovita, un cliente: “Noi risparmiatori all’oscuro di tutto, ci sarà una valanga di riscatti”. Una valanga, appunto. E non così distante nel tempo e dal villaggio. Apparentemente e a detta delle vittime di quei gates alzatisi senza preavviso, già a partire dal 1 luglio, primo giorno utile dopo la proroga del blocco. Si scappa. Se ti lasceranno scappare, ovviamente.



Come mai un allarme simile, perché La Repubblica ha sentito il bisogno di suonare il campanello nel deserto? Semplice. Nel silenzio generale, la scorsa settimana è saltato l’incontro al Ministero fra le parti sul caso Eurovita. In primis, le banche che avrebbero dovuto garantire la famosa soluzione di sistema, accollandosi i costi del fondo necessario a garantire appunto i riscatti e poi spartendosi le spoglie della compagnia caduta in disgrazia. Dalla sera alla mattina, l’incontro è saltato. Anzi, rinviato. E da Roma si sono premurati di far sapere come lo spostamento fosse di natura operativa e non figlio dello stallo: nessuna impasse, mancavano solo alcuni dettagli pratici. Meglio risolverli prima di sedersi al tavolo, almeno poi si potrà partire spediti.



Vedremo se sarà così. Fa riflettere, però, questo allarme a mezzo stampa. Proprio dopo quel rinvio, quasi a sancirne nemmeno troppo tacitamente la natura spartiacque. Come spero ricorderete, il sottoscritto catastrofista un mese fa parlò chiaramente di Eurovita come la nostra Svb o Credit Suisse, la nostra piccola crisi di sistema tamponata alla bene e meglio. Ma solo rinviata. Ed ecco che La Repubblica ora si sente in dovere di avvisare: la situazione rischia di generare una crisi di sfiducia per l’intero sistema assicurativo. La valanga, appunto. Non in lenta fase di creazione, bensì ormai alle porte del fondovalle. Apparentemente improvvisa. E silenziosa. Quantomeno, se si preferisce tenere le orecchie tappate fino all’ultimo.

I principali quotidiani italiani hanno banche e assicurazioni fra i principali azionisti o fra i più munifici inserzionisti. Da sempre. Un allarme simile, figlio del rischio di una crisi di sfiducia nei confronti dell’intero comparto, parla una sola lingua: una moral suasion tanto pubblica e dissimulata quanto disperata, un preavviso di sputtanamento verso qualcuno che, in realtà, ha reso necessario quel rinvio al Ministero. Perché le condizioni di quella soluzione di sistema magari non le accettava. La formula del dar voce ai risparmiatori è vecchia come il mondo: si utilizza quando non si può denunciare in prima persona, quindi ci si trincera dietro al dovere di cronaca. Il caso delle banche venete, di Parmalat, di Monte dei Paschi è lì a ricordarcelo. Cosa accadrà da qui a qualche giorno?

Di certo, l’Europa ora è chiamata ad affrontare il nodo della riforma del Patto di stabilità. E anche qui, strani movimenti. Sempre a ridosso del 24-25 aprile. Di colpo, da un giorno con l’altro, i falchi avrebbero ceduto alle pressioni delle colombe. Si tornerebbe alla formula originaria post-pandemia, quella del rientro morbido nei parametri. Cosa sta accadendo dietro le quinte, tale da giustificare questa pax improvvisa che Berlino ha sì smentito ma con la convinzione di chi è intento a recitare un copione? Intanto, Goldman Sachs avvisa i clienti: meglio i Bonos spagnoli dei Btp italiani, il cui spread sul Bund è previsto a quota 235 punti base entro fine anno dalla banca d’affari Usa. Dagli attuali 188 circa. Di certo, una crisi di sistema nel cuore del doom loop fra Tesoro e players del risparmio potrebbe aprire scenari da estate 2011. Perché? Cosa vede Goldman Sachs che i comuni mortali ancora ignorano? Questo.

Forse è per la dinamica rappresentata nel grafico che Goldman Sachs ha reso nota la propria preferenza per i Bonos spagnoli rispetto ai Btp italiani: gli istituti iberici potrebbero essere, come già avvenuto nel 2012, la prima tessera del domino a cadere. Innescando così l’ovvio intervento della Bce. E a quel punto, chi avrà comprato Bonos in caduta libera a una settantina di centesimi sull’euro, potrà brindare. Il titolo di Banco Santander nella giornata del 25 aprile perdeva circa il 5% a seguito della notizia di pesanti outflows di depositi in patria e di deludenti dati sugli utili in Brasile. 

E che la situazione sia poco simpatica, lo dimostra la rapidità da primatista olimpico con cui il Ceo dell’istituto, José Garcia Cantera, sia corso a rassicurare il mercato rispetto alla tenuta dei depositi del ramo statunitense di Santander, tanto da azzardare una promessa a doppio taglio: Non prevedo un alto incremento nella remunerazione dei depositi negli Usa. Contagio? Giova sottolineare che poche ore prima, nella serata del 24 aprile e quando Wall Street aveva appena chiuso le contrattazioni, proprio negli Stati Uniti la sopravvissuta First Republic Bank avesse ammesso un crollo dei depositi del 41% nel primo trimestre di quest’anno, passati da 172 miliardi di fine 2022 a 104,5 miliardi al 31 marzo. A cui si è già aggiunto un altro -1,7% al 21 aprile scorso. Inoltre, Frb ha ammesso di aver preso in prestito per restare a galla qualcosa come 104 miliardi di dollari da Federal Reserve, Federal Home Loan Bank e JP Morgan. Non a caso, nelle contrattazioni after-hours il titolo è precipitato a -23%.

(1- continua)

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