Speravo di no, ma temo che questo Paese ci sia ricascato. Complice il clima da campagna elettorale, ovunque ci si volti spuntano come funghi letture improntate all’ottimismo della volontà. Dopo il Pil al 6,6%, ecco il Pil migliore di Germania e Francia. Per carità, tutto vero. Ma il recente e brusco risveglio cui abbiamo pagato pegno avrebbe dovuto spingerci a una maggiore cautela. Insomma, al pessimismo della ragione. Antonio Gramsci, però, non va più di moda. Ora c’è Carlo Calenda. Mala tempora currunt. Persino Mario Draghi in conferenza stampa ha ceduto al moto di orgoglio ferito da ex Premier e ha sottolineato il risultato di crescita del Paese in controtendenza con l’eurozona già in affanno. Ma, bontà e onestà sua, ha voluto anche ricordare a tutti come all’orizzonte si staglino nuvoloni neri. 



Quali? L’inflazione? Un errore di valutazione della Bce nell’affrettare troppo l’aumento dei tassi? Una fiammata dello spread, una volta che il mercato abbia la certezza del bluff del reinvestimento Pepp? No. Per quanto tutte queste criticità siano reali, a preoccupare in prima battuta è questo grafico: nel mese di luglio di ordinativi industriali tedeschi sono calati dello 0,4%, quinto mese di fila di contrazione e, soprattutto, un declino cumulativo che raggiunge quasi il 10%. 



Una tragedia. Non tanto e non solo per Berlino, quanto per qualsiasi economia operi da fornitore o subfornitore dell’ex locomotiva d’Europa, terminata su un binario morto. Leggi, gran parte del Nord Italia, il quale vende ai tedeschi sia componentistica che macchinari industriali. Lo stesso Nord Italia che oggi può festeggiare il Pil migliore di Germania e Francia, ma che, anche geograficamente, sarà la prima linea di impatto di questo stallo tedesco alla riapertura di settembre. Insomma, nuvoloni in vista a nord delle Alpi. E non basta. Perché questi altri due grafici mostrano anche di peggio. 



Qualche giorno fa avevo sottolineato la criticità enorme rappresentata dal livello record delle acque del Reno, talmente basse a causa della siccità da aver ridotto il trasporto di commodities industriali al 20% della capacità normale. Bene, la prima immagine mostra come al punto di snodo di Kaub la situazione sia ulteriormente peggiorata: se mercoledì le acque erano a 55 centimetri, per oggi si teme l’approdo alla quota record di 47 centimetri. Per capirci, 40 centimetri è il livello che impone la non navigabilità totale. A quel punto, il problema sarebbe devastante. Tanto che Uniper, la principale utility energetica tedesca, fresca di salvataggio statale, ha reso noto come proprio le difficoltà logistiche presenti sulla via d’acqua del Reno stiano compromettendo le consegne di carbone presso una delle sue principali centrali. Tradotto, avanti di questo passo e i prezzi energetici subiranno anche uno shock interno da siccità. E la seconda immagine ci dice perché questo potrebbe essere esiziale: ieri mattina, il prezzo dell’elettricità a 1 anno in Germania ha toccato il record intraday assoluto di 410,57 euro per MWh alla European Energy Exchange. Un livello ingestibile per l’energivoro complesso industriale tedesco, già oggi in crisi nera. E a parte Uniper, sono parecchie le aziende tedesche che cominciano a lanciare allarmi molto seri sulla loro operatività per i problemi di navigabilità del Reno: da BASF che sta utilizzando maggiormente le ferrovie e chiudendo le linee di produzione come quelle dell’ammoniaca che richiedono troppo gas fino a Evonik, da RheineEnergie a EnBW Utility, dal colosso dei trasporti Hoyer alla chimica Lanxess. 

E non basta. Perché l’austriaca OMV ha avvisato che le sue raffinerie sia nella madrepatria che in Germania stanno registrando una vera e propria corsa all’accaparramento di gasolio da riscaldamento e diesel, in quella che viene definita la tempesta perfetta di speculazione e creazione di scorte in vista della stagione fredda. E per cercare di tamponare l’emorragia, la stessa OMV ha reso noto che i carichi di carburanti da consegnare verranno sospesi fino al 15 agosto, data in cui dovrebbe tornare operativa la raffinazione nello stabilimento di Burghausen. 

Ora, per quanto questo Paese sia affetto a livello bipartisan da una Schadenfreunde infantile verso le disgrazie dei tedeschi, qui occorre scendere a patti con la realtà e, se possibile, attivare il cervello: quanto sta accadendo al di là delle Alpi non ha precedenti, tanto da aver infatti spinto Mosca alla mossa del cavallo. Dopo aver scaricato sulle sanzioni l’impossibilità di operare sulla turbina canadese di Siemens, quella che in sua assenza costringe Nord Stream 1 a lavorare al 20% di capacità, il Cremlino ha infatti avanzato verso Berlino la proposta indecente: via le sanzioni e siamo pronti a far partire da domani anche Nord Stream 2. Ovvero, il flusso diretto di extra-gas direttamente in Germania. Praticamente, la pioggia provvidenziale del Manzoni sotto forma di pipeline. E visti i problemi di navigabilità del Reno, il paragone calza a pennello. 

Ora, davvero non capiamo il potenziale di offset economico che sta per precipitare a valle sulla nostra crescita del terzo e quarto trimestre? Davvero vogliamo continuare a ignorare il grado di interconnessione fra Nord Italia e industria tedesca? Davvero pensiamo che bastino i 14 miliardi del Decreto aiuti-bis per sventare una recessione senza precedenti in autunno? Se anche in Germania cominciasse a piovere domani e proseguisse fino a Natale, quanto accumulatosi a livello di criticità negli ultimi quattro mesi non sarà eliminabile con un colpo di bacchetta magica. Il contraccolpo sarà peggiore di quello inferto dal primo lockdown globale. Occorre decidersi. Occorre avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, al netto delle panzane vendute finora all’opinione pubblica. Occorre togliere subito le sanzioni a Mosca (opinione strettamente personale che non rispecchia automaticamente le posizioni della testata che mi ospita). Altrimenti, prepariamoci a un’altra guerra da combattere. Stavolta da protagonisti, quella sociale nel cuore dell’eurozona. Distante solo un paio di mesi. 

Per quanto mi riguarda, la scelta del partito da votare il 25 settembre si baserà unicamente su questo discrimine: chiunque si schieri aprioristicamente su posizioni Nato imposte dagli interessi di Washington nel conflitto ucraino e nei rapporti con Mosca, il mio umile e inutile voto può scordarselo. Persino se il rimanente 99% del suo programma mi trovasse pienamente d’accordo. Insomma, temo che non voterò nemmeno questa volta. Ma qualcuno dovrà poi chiedere conto agli italiani della peggior recessione di sempre. E farlo da palazzo Chigi potrebbe rappresentare un’aggravante. 

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