Sono bastati due giorni per avere conferma della mia sensazione. Nel mio articolo di sabato dicevo chiaramente come il Decreto agosto si configurasse come un atto di guerra contro il Nord a fine elettoralistico, tanto da aprire un vero e proprio fronte di conquista nel terreno di rappresentanza politica di quella parte di territorio nazionale. Di fatto, un invito a nozze per democratici come Giorgio Gori, da tempo concentrato nell’assalto allo spazio lasciato libero dalla nuova Lega di Matteo Salvini. movimento dichiaratamente a carattere nazionale e nazionalista. Et voilà, questa è la prima pagina de La Stampa di ieri: Giorgio Gori probabilmente sta godendosi gli ultimi giorni di vacanza a Formentera, in compenso il quotidiano diretto da Massimo Giannini – uno che l’economia la mastica, oltre che la politica – sparava due pezzi da novanta “in difesa” della mia tesi: l’amatissimo governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini e il professor Massimo Cacciari con l’editoriale di testata. Insomma, qualcosa più di un mero esercizio di stile estivo. Tanto più che la gran parte della stampa nazionale era impegnata nella caccia alle streghe del giorno, ovvero i nomi dei cinque parlamentari che – nonostante la diaria tutt’altro che magra – hanno fatto richiesta e ottenuto il bonus da 600 euro per le partite Iva.
Ora, io capisco che questa ennesima riprova della scarsissima levatura morale di una parte della nostra classe dirigente smuova sentimenti di pancia, ma attenzione a cascare nel tranello: se esiste una ragione e un timing perché l’Inps abbia fatto uscire la notizia proprio in questo momento – senza nulla togliere alla bravura della giornalista di Repubblica che ha fatto il suo lavoro, ovvero informare -, questo risponde a nulla più che un sostegno diretto alla campagna per il referendum sul taglio dei parlamentari.
Lo dico chiaro e tondo: il giubilato Pasquale Tridico, salvato dal destino di licenziamento che avrebbe meritato per la gestione della Cig, ha fatto un bell’assist al Governo e in particolar modo al populismo dei Cinque Stelle che lo hanno difeso durante le settimane di tempesta più dura. Non cascateci, per carità. Perché questi giorni di Palazzi del potere chiusi (alla faccia delle promesse da lockdown) e di informazione in modalità infradito rappresentano il regno della cortina fumogena e della destabilizzazione silenziosa. Ora, quei cinque hanno compiuto un atto miserabile, ma, in punta di regolamento, assolutamente lecito. Vogliamo scatenare una crociata da sanculotti per così poco, davvero? Forse sarebbe il caso, cari lettori, scatenare altro per questo.
Ovvero, la solenne presa per i fondelli con cui il ministro dell’Economia ha deciso di comunicare in maniera smart e social il fatto che l’Italia si è immediatamente accodata e messa a ruota della Spagna, chiedendo alla Commissione Ue l’attivazione del fondo Sure per la lotta alla disoccupazione per 28,5 miliardi. Sapete cosa significa, vero? Il preambolo ufficiale del ricorso al Mes. Il quale, a occhio, potrebbe essere richiesto attorno a Ferragosto, sfruttando il clima vacanziero di un Paese che fino all’altro giorno piangeva miseria e fame nei talk-show e oggi si mostra accaldato e in coda per raggiungere le località di mare nei servizi dei tg. Oppure, cosa più probabile, in settembre, utilizzando la scusa di quei 37 miliardi come spendibili in parte per la messa un sicurezza delle aule scolastiche, al fine di garantire la ripresa dell’attività didattica in presenza il 14 di quel mese.
Ora, parliamoci chiaro: da quanto tempo vi dico che l’Italia avrebbe dovuto bussare alla porte dei fondi Ue, perché i fantasmagorici 209 miliardi del Recovery fund equivalgono – per credibilità – al Sarchiapone di Walter Chiari? Da sempre. Però c’è modo e modo di farlo. La Spagna si è inventata la notizia dell’abbandono della Spagna da parte del Re emerito, Juan Carlos di Borbone, per evitare che i giornali a inizio settimana scorsa fossero pieni solo di ricorsi ai fondi dell’Europa e nuovi focolai di Covid. Noi, invece, limitiamo il tutto a un innocuo tweet del buon Gualtieri, il quale magari avrà anche suggerito al Premier una bella diretta Facebook, accompagnandosi alla chitarra. Che si sia favorevoli o meno al ricorso ai fondi Ue, è per questioni gravi e di principio come queste che bisogna chiedere chiarezza alla politica, non per cinque parlamentari senza dignità che si sono limitati a sfruttare una legge esistente e figlia dell’emergenza.
Stranamente, quel tweet è giunto il giorno successivo all’approvazione del Decreto agosto: cari lettori, siamo di fronte a 100 miliardi di scostamento e 28,5 miliardi di fondi Sure, il tutto per una ratio deficit/Pil già oggi attorno al 13%. Siamo davvero sicuri che il problema siano i cinque “furbetti”? Oppure l’esplosione a orologeria di quel caso serve proprio a creare l’effetto cortina fumogena rispetto al baratro in cui sta silenziosamente precipitando il Paese in vista dell’autunno? Oltretutto, con il coté poco gradevole di campagna elettorale in favore del referendum anti-casta garantita dalla soffiata dell’Inps. Non c’è niente da fare, il potere non cambia. Per sua natura, dissimula e mente.
La questione, però, sta tutta nella scelta della prima pagina de La Stampa: se questo Paese, in nome della necessità governativa di non perdere su tutta la linea alle regionali di settembre, si gioca il Nord produttivo, dimenticandosene l’emergenza reale da lockdown, quanto profondo rischia di diventare ulteriormente il baratro che ci attende? E, soprattutto, quanta pazienza residua si può chiedere a chi da settimane sta già contando le saracinesche chiuse e che non si riapriranno? Volete davvero che l’anestesia agostana garantisca a questo Governo scellerato la possibilità di ottenere ulteriore carta bianca in autunno, in virtù di un’emergenza economica che stanno creando a tavolino a colpi di bonus, sussidi e tacchi sbattuti di fronte ai diktat da Terza Internazionale della Cgil?
Fregatevene di quei cinque poveracci, fregatevene di quei pochi spiccioli che hanno ottenuto in maniera assolutamente legale, ancorché ben poco edificante: è solo un modo per abbindolarvi, è soltanto la vecchia logica del Wag the dog. Qui la questione reale è quella di un commissariamento diretto dell’Europa tanto negato a parole, quanto attivato nei fatti: nel silenzio informativo più totale, sia del Parlamento che dell’opinione pubblica. E mi rivolgo in tal senso proprio ai deputati, ai colleghi dei cinque vituperati di turno: invece di sprecare tempo ed energie con hashtag di discolpa in nome di un name&shame degno di miglior causa, usate i social per chiedere quando e come l’Italia ha deciso di aderire allo Sure e a quali condizioni. E, soprattutto, chiedete l’impegno formale del Governo alla non attivazione del Mes, visto che la sbandierano tanto. E questo non perché siate davvero contrari, ma solo per obbligarlo a dire una parola chiara al riguardo, in modo da inchiodarlo alle sue bugie quando – fra una settimana o un mese – si inventerà un’altra emergenza ad hoc per ricorrere al Fondo salva-Stati.
Ciò che hanno fatto i cinque deputati è oltraggioso, ma ciò che ha fatto e sta facendo il Governo è inaccettabile, non fosse altro perché in continuità con la gestione altrettanto fumosa dei dossier relativi all’istituzione delle zone rosse nel Paese. Io sono il primo a fare sfoggio di realismo politico, quindi non mi indigno per un Governo che imponga il segreto di Stato al culmine dell’emergenza, nemmeno se chi lo compone ci ha sfracellato gli zebedei dalla sua nascita con il totem idiota della trasparenza totale e dello streaming anche quando va alla toilette. Però, a emergenza terminata e Paese riaperto, chi ha sbagliato deve pagare. E la gente deve saperlo. O certe ghigliottine vengono erette in piazza solo per la giunta regionale della Lombardia?
Attenzione, perché il Nord scalpita. E per quanto il dogma dell’unità nazionale faccia sempre presa, soprattutto se accompagnato dall’inno e da qualche bella immagine retorica, magari l’esultanza di Tardelli o quella di Pertini al Bernabeu, quando la scelta è fra sopravvivere o morire, chi ha lavorato una vita e sacrificato tutto per la propria impresa, diventa davvero pericoloso. Temete l’ira dei mansueti, diceva qualcuno. E il fatto che un quotidiano establishment come La Stampa abbia sentito il dovere di dedicare la prima pagina al tema del Nord dimenticato parla chiaro: fu la Fondazione Agnelli, d’altronde, a inventare il termine Padania in un suo studio degli anni Ottanta sulla specificità economica dell’area geografica che si sviluppava a ridosso del corso del Po. Umberto Bossi mutuò il termine da quella ricerca, su indicazione del professor Miglio.
Attenzione, lo ripeto. Perché il Ferragosto e i suoi scandaletti pret-a-porter da “onestà, onestà” passano in fretta. La crisi che ci attende in autunno, invece no. E gli atti determinati e compiuti oggi, avranno un valore domani. Se non a Roma, certamente a Bruxelles. Mentre a Berlino, giova ricordarlo, interessa salvare il bacino industriale del Nord Italia, non certo il resto del Paese.
Già oggi abbiamo un Paese spaccato in due, senza saperlo? Forse, alla luce di tutto questo, appare più chiaro il perché di questo scandalo a orologeria. Voi, però, non cascateci. Lo scandalo vero è il tweet di Gualtieri, non i 600 euro dei “furbetti”.