La senatrice dell’opposizione, Jeanine Anez, fino a ieri seconda vice-presidente del Senato, ha assunto l’interim della presidenza boliviana, dopo il riconoscimento di questo status da parte dei parlamentari della sua formazione politica e di altri gruppi. Il presidente dimissionario della Bolivia, Evo Morales, ha definito la nomina della Anez “una autoproclamazione che costituisce il golpe più subdolo e nefasto della storia”. Immediatamente, invece, il Dipartimento di Stato Usa ne ha riconosciuto la legittimità. Insomma, la trama sembra già scritta: in Bolivia è andato in scena l’ennesimo colpo di Stato sudamericano orchestrato dalla Cia per tutelare gli interessi di Washington nel “giardino di casa”.
Già vedo il titolo di prima pagina de Il Manifesto di oggi, roba da 1973. D’altronde, gli argomenti immaginifici ci sono tutti: l’ex presidente cocalero e anti-imperialista, capace di regalare al Papa un crocefisso a forma di falce e martello, il profilo mitico di Che Guevara e delle sue gesta in quel Paese, le accuse di sobillazione del popolo da parte di forze straniere e quinte colonne interne, la volontà statunitense di chiudere tutti i “laboratori” socialisti a sud del Messico, a partire proprio da Cuba, Nicaragua e Bolivia. Ora, al netto che si voglia credere a questa vulgata o a quella contraria, ovvero a un Evo Morales che ha fatto ampiamente ricorso a intimidazioni e brogli alle ultime presidenziali, cui ha partecipato solo per una discussa deroga sul mandato garantitagli dalla Corte costituzionale, la realtà potrebbe essere molto più semplice e spietata di quanto non appaia. Evo Morales si è rimangiato la parola data su un tema che, in questo momento, non permette cambi di strategia. E non con gli Usa, bensì con la Germania: non avete notato, infatti, uno strano silenzio tombale dell’Ue su quanto sta accadendo in Bolivia, almeno rispetto alle prese di posizione tenute su altre situazioni calde come quella cilena o venezuelana?
Partiamo dal principio. Ovvero, dal dicembre del 2018, quando la Bolivia firmò un accordo con la Aci Systems Alemania (Acisa) per lo sfruttamento del litio presente nell’area di Potosi, regione che a ridosso delle saline di Salar de Uyuni può vantare la presenza del 50-70% di tutte le riserve di quel materiale così fondamentale. Per cosa? Molto, moltissimo. Ma, soprattutto, per le batterie necessarie al business del futuro, l’auto elettrica. Settore verso la cui riconversione la Germania ha investito circa 100 miliardi di euro, spostando le produzioni “classiche” al di fuori del Paese per concentrarsi sul comparto sostenibile, con tanto di accordo quadro con tutte le sigle sindacali del settore automobilistico. Insomma, il futuro dell’industria. Tanto che da qui al 2025, la domanda mondiale di litio è attesa in netto raddoppio e oltre ad Australia, Argentina e Cile, proprio la Bolivia è uno dei grandi produttori. Oltretutto, potendo vantare un “tesoro” ancora vergine a livello di commercializzazione come quelle riserve.
Lo scorso giugno, però, forse in vista del voto presidenziale del 20 ottobre, Evo Morales cambia idea e annuncia sibillino che intende “industrializzare il Paese, tanto da aver investito a tal fine larghissime somme di denaro affinché il litio venga processato all’interno del Paese e commercializzato all’estero ed esportato soltanto sotto forma di valore aggiunto per l’economia boliviana, ad esempio come batterie”. Insomma, Morales e il suo Governo avevano tardivamente fiutato la portata dell’affare fatto con i tedeschi e, forse deluso da quanto ottenuto/richiesto come diritto di sfruttamento, alzava la posta. Ovviamente, puntando tutto sulla retorica patriottica del suolo boliviano che appartiene ai boliviani e non alle multinazionali straniere. Ed ecco arrivare ottobre e la vigilia del voto presidenziale, animato da un dibattito sempre più forte sulla credibilità della candidatura di Morales a un quarto mandato vietato per legge ma reso possibile da una pronuncia della Corte costituzionale: il problema più grosso, però, non sono i partiti dell’opposizione. Bensì, i cittadini dell’area di Potosi, in piazza ormai quotidianamente contro l’accordo raggiunto con i tedeschi della Acisa per lo sfruttamento delle riserve di litio nelle saline.
Che fare? Rimangiarsi del tutto la parola data – e il contratto firmato – o mettersi contro il popolo, oltretutto passando per amico degli sfruttatori stranieri di materie prime? Con le presidenziali alle porte, un bel dilemma. Comunque sia, Morales tiene duro, evitando di prendere una posizione netta e il 20 ottobre vince ancora, nonostante le accuse di brogli anche da parte di osservatori di altri Paesi sudamericani. Le proteste, però, non calano. Anzi, si alzano di intensità, poiché vedono sommarsi a quelle degli oppositori politici, quelle dei cittadini contro l’accordo sul litio. Stretto in un angolo e costretto a ricorrere alla retorica golpista contro l’anti-imperialismo da lui incarnato, il 4 novembre Evo Morales gioca il tutto per tutto: il governo cancella d’imperio il decreto numero 3738 del 7 dicembre 2018 con cui si dava vita alla joint venture fra i tedeschi di Acisa e l’azienda statale Yacimientos de Litio Bolivianos (Ylb) per la produzione di idrossido di litio a uso industriale (batterie). Marco Pumari, leader del movimento di protesta dei cittadini della provincia di Potosi, dichiara la propria soddisfazione per l’operato del governo.
Cinque giorni dopo, Evo Morales si dimetterà, annunciando nuove elezioni e trasferendosi in Messico, Paese che nel frattempo gli ha garantito asilo politico. La scorsa settimana, subito dopo l’atto ufficiale del Governo boliviano, ecco le parole di un portavoce di Acisa all’emittente tedesca Deutsche Welle rispetto l’accaduto: “L’azienda è fiduciosa sul fatto che il nostro progetto legato al litio di quel Paese sarà riattivato dopo una fase di calma e chiarificazione politica”. Profetico, non vi pare? L’altro giorno, poi, il gigante Usa dell’auto elettrica Tesla ha annunciato la creazione in un’area vicino all’aeroporto di Berlino della sua gigafactory europea, progetto che porterà con sé circa 10mila nuovi posti di lavoro. Tutti tedeschi. Con investimento diretto in Germania. Servirà parecchio litio da quelle parti, voi cosa dite?
Evo Morales, piaccia o meno, deve piangere solo se stesso, poiché unica causa del suo male. Ha dato la sua parola, poi se la è rimangiata. Ma qui si parla di centinaia e centinaia di miliardi di business, non di fuffa ideologica da terzomondismo fuori tempo massimo. E, in effetti, per essere un guerriero indomito dell’anti-imperialismo, ci ha messo relativamente poco a fare le valigie e andare in Messico. Ma se preferite la retorica che pervade le cronache, fate pure. Io, per quanto possa apparire cinico, preferisco guardare in faccia la realtà. Anche ricorrendo alla sgradevole e poco socialmente accettata iconoclastia dei fatti, quelli testardi come la roccia.