Le escalation sono come la proverbiale palla di neve: il rischio è accorgersi del pericolo quando ormai la valanga è in procinto di abbattersi sul fondovalle. La Premier estone, Kaja Kallas, nemica giurata del Cremlino, ha parlato. Intervistata da Bloomberg ha avanzato la proposta di un’emissione congiunta di debito Ue da 100 miliardi per finanziare le spese di difesa necessaria al contrasto di Mosca. Di fatto, la copia in sedicesimi di quanto avvenne con gli eurobond pandemici da 750 miliardi.
Insomma, il caso Navalny sta accelerando i processi sottotraccia. Perché dopo la strana emergenza legata alla minaccia spaziale russa, negata da mezzo comitato d’intelligence del Congresso, ecco che l’Ue mette la freccia e sorpassa gli Stati Uniti in quello che appare un piano di istituzionalizzazione fiscale del warfare. E dopo il mega-stanziamento per la difesa presentato dal Governo Scholz: già, la Germania in recessione opta per il moltiplicatore bellico del Pil. Pessimo segnale. Odore di birreria bavarese. Ma ora, dopo la morte del dissidente russo, tutto rischia di finire nel frullatore della retorica. E quando si trasforma la deterrenza bellica in argomento da social network, la realtà perde aderenza. E il testacoda entra di diritto nel novero degli epiloghi possibili.
Perché occorre sempre ricordarsi che, al netto di Gaza ormai terminata nel dimenticatoio e una crisi del Mar Rosso ridotta a naufragio di un pattino all’Idroscalo, i conti in tema di multilateralità vanno fatti con la Cina. Mosca è un proxy. Le sue battaglie, indifferenti a Pechino, sono stress test. Ma dopo l’ultimo successo sul campo dell’esercito russo, qualcuno potrebbe tornare sui suoi passi. E sostituire il Medio Oriente con il fronte Est. Decisamente più mediatico in clima elettorale. E spendibile a livello di politica interna dei Paesi membri, quando si parla di Ue. A quattro mesi dal voto.
Guardate questi due grafici. Il primo ci mostra come gli investimenti esteri diretti in Cina siano oggi al minimo dal 1993, stando a dati ufficiali Safe. Il secondo come il mercato si appresti a riaprire dopo una settimana di stop per il Capodanno cinese con il bond in valuta statunitense 2025 di Evergrande che prezza 2 centesimi sul dollaro.
Nuovo tonfo per il Dragone? I futures dicevano altro. Parlavano di un botto, sì. Ma verso l’alto. Oltre a esportare deflazione, Pechino si appresta ad aprire le paratie dell’impulso creditizio in maniera alluvionale? Alla fine, chiusura mista. CSI 300 positivo trascinato dai titoli del turismo, Hong Kong negativa con il comparto tech che lasciava sul terreno oltre il 2%. Qualcosa non va. O, forse, sta funzionando fin troppo bene.
Ora guardate il terzo grafico. Dopo le parole dell’ex Segretario al Tesoro Usa, Larry Summers, riguardo una Fed che – stante le dinamiche dei prezzi rivelate dall’ultimo Cpi – potrebbe stupire tutti al prossimo Fomc, alzando i tassi, ecco che il trend delle condizioni finanziarie Usa sembra implicitamente confermare questo cigno grigio. Perché il colore nero significa tail risk, qui è addirittura uno dei predecessori di Janet Yellen ad anticiparlo.
Nulla, apparentemente, viene lasciato al caso. Tutt’intorno, un’Europa pronta ad armarsi e partire. Per ora, a colpi di emissioni di War bonds. Le escalation sono come le palle di neve. E la nostra pare essersi appena staccata dal costone. Ma ampliando il quadro, a cosa si sta lavorando dietro le quinte, cui la bolla AI-tech così mediatica opera da fiancheggiatore?
Date un’occhiata ai grafici e ponetevi la domanda: cos’è sparito, da una settimana a questa parte, dalle cronache ammaestrate? La crisi del Mar Rosso. Gli Houthi si sono arresi? La missione navale Ue e i raid anglo-americani hanno vinto? Magari ora la cronaca mi smentirà a tempo di record. Ma le immagini parlano chiaro: i costi dei noli calano. E l’indice di stress dello shipping globale torna a stabilizzarsi.
Tutto legato alle festività del Capodanno cinese? Può essere. Ma l’affaire Mar Rosso è sparito dopo il deludente dato sull’inflazione Usa che ha messo in discussione il pivot della Fed. E spostato in avanti le prezzature per il primo taglio dei tassi. D’altronde, proprio le tensioni a largo dello Yemen avevano garantito il ritorno della data-dependency nei riguardi dell’inflazione. Ora, ripensate a quanto vi ho detto poco fa riguardo all’intervista al Financial Times dell’ex Segretario al Tesoro Usa, Larry Summers: Alle attuali condizioni, c’è almeno un 15% di possibilità che la prossima mossa Fed sia un rialzo e non un taglio dei tassi. Altro pivot? Contrarian? Un’altra mano avanti, altro sasso nello stagno. Per settimane, il mantra è stato puntare il dito verso i ribelli Houthi. Oscurando la Luna della realtà. La quale, al netto di timing errati negli interventi, ci dice che in un mondo di Qe perenne, monetizzazione del debito e finanziamento diretto dei deficit statali, l’inflazione al 2% non è sostenibile. Occorre almeno al 3%. Ricordate il mio articolo di 3 settimane fa? Dato storico delle scorte alla mano, delineavo chiaramente l’impossibilità di un bullwhip effect in grande stile e di un dèjà vu della crisi Covid sulla supply chain globale. Ma al mercato occorreva un alibi pronto uso. E il mezzo terremoto dell’ultimo Cpi lo conferma. Cos’ha dato il via alla corsa pazza di Nvidia e SMCI, d’altronde? E cosa potrebbe paradossalmente aver ora operato da detonatore del primo sgonfiamento della bolla?
Alla luce di questo, ecco il link principale, il vero punto di snodo. Notizia del 15 febbraio. Il Tesoro britannico si è rifiutato di rendere noti i termini del contratto di indennità in base al quale i contribuenti di Sua Maestà subiranno, di fatto, un bail-in fiscale per le perdite legate ai cicli di Qe della Bank of England. La ragione? Quel contratto contiene dati di mercato sensibili. Ma il Treasury ha già trasferito 38 miliardi alla Banca centrale per coprire perdite legate al programma di acquisto pandemico. E la Old Lady ne ha già preannunciate per 40 miliardi ulteriori. Ecco a cosa si sta lavorando. Inflazione strutturalmente più alta e un bail-in compensativo dei cicli di Qe sistemico. O degli Spv mascherati da emissioni di eurobond per contrastare le mire imperialiste di Vladimir Putin. Non a caso, Londra è il laboratorio. Fuori dall’Ue ma ancora centro di clearing del mercato europeo.
Il Qe non è un pasto gratis, lo sapete. Ora lo proverete sulla vostra pelle. Mentre col dito vi invitano a guardare a Gaza, agli Houthi o al Cremlino.
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