C’è la narrativa. Spesso ottimistica per scelta o per obbligo, quasi sempre basata – in politica – su quello che Gramsci definiva appunto l’ottimismo della volontà da contrapporre al pessimismo della ragione. Poi, c’è l’analisi. Ovvero, la comparazione fra l’esistente, lo status quo e i precedenti storici, i trend, i modelli. Anche in quel caso, nonostante si abbia a che fare formalmente con fredde cifre, interviene il discrimine di approccio: anche l’economista o il commentatore più distaccato sconta sempre l’impostazione personale o politica che possiamo semplicisticamente ricondurre alla figura retorica del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Poi, infine, c’è la realtà. E la realtà oggi è questa: l’avrete già vista almeno dieci volte solo nelle ultime due giornate, perché la campagna che rappresenta è a dir poco capillare e pervasiva.



Esselunga ha rotto gli indugi e a poco più di un mese dal Natale, ha deciso di mandare in soffitta i suoi cibi animati con i loro slogan e affondare le mani nel fango dell’attualità: carovita. Da quanto tempo non vedevamo usato questo termine per una campagna pubblicitaria così ad ampio spettro? Siti di informazione, quotidiani, motori di ricerca. E, ovviamente, punti vendita. Ovunque troviamo queste poche parole, semplici e scritte con carattere chiaro e immediato: Esselunga ti viene incontro e in un momento di prezzi in rialzo a causa delle criticità sulla filiera delle materie prime, decide di offrire un paniere di prodotti di base con uno sconto del 6% rispetto a prima della fiammata inflattiva. Sicuramente, a breve anche i competitor della catena italiana di grande distribuzione ne seguiranno l’esempio.



Non a cuor leggero, però. Perché per quanto il messaggio contenuto in quello slogan sia positivo, ovvero nel momento del bisogno puoi contare su di me, dall’altro certifica appunto la difficoltà incombente. Anzi, già sostanziatasi. E se c’è una cosa che deprime i consumi, soprattutto quelli non necessari che diventano invece strutturali per i margini in periodo festivo e pre-festivo (e in un Paese tradizionalista come l’Italia), è l’ansia per il futuro. Bene, Esselunga ci dice che i prezzi stanno salendo. E che, forse, continueranno a salire. Ma che lei, proprio per questo, è al nostro fianco. Tradotto, l’inflazione non è affatto transitoria. Perché altrimenti non si investe tempo, soldi ed energia in una campagna pubblicitaria di questo genere, con forte e implicita carica ansiogena e in grado di incorporare un alto tasso di comunicazione controproducente, almeno a livello potenziale nella percezione di instabilità e precarietà socio-economica del cliente.



Ricordo ancora oggi le parole che mi disse uno dei responsabili marketing di Sainsbury’s, quando ancora vivevo a Londra: In uno slogan puoi dire ciò che vuoi, esiste un’unica regola: mai mettere ansia al cliente, mai indurlo a pensare o instillare dubbi sul suo potere d’acquisto. Il Governo può parlare quanto vuole, il ministro Brunetta può prospettare il Pil al 15% e Confindustria applaudirlo, ma la realtà, purtroppo, sta tutto in quello slogan. E qui il problema si fa duplice.

Primo, nel momento in cui l’economia reale rappresentata dall’avanguardia dei consumi decide che è ora di fare i conti con la realtà, la compattezza riformista e il profilo del fare del Governo pare sfaldarsi. Sotto i colpi di una Manovra che cresce di giorno in giorno a livello di numeri di articoli, ma che ancora il Parlamento, di fatto, non conosce. Perché non l’ha ricevuta. Il Governo, esattamente come fatto con la questione dei balneari, se ne lava le mani: il documento non deve tornare in Consiglio dei ministri, vada direttamente alle Aule. Dove i partiti, già oggi pronti a scannarsi nella corsa affannosa dell’assalto alla diligenza, daranno il peggio di sé e si suicideranno a livello di immagine proiettata all’esterno.

Se il Pnrr si rivelerà un fallimento, se la Manovra subirà ritardi nell’approvazione, se l’Europa ci bacchetterà e minaccerà di bloccare le prossime tranche del Recovery Fund, la colpa sarà ascrivibile in toto alla litigiosità dei partiti. Non a caso, i segnali in tal senso stanno moltiplicandosi. E in maniera preoccupantemente sempre più diretta: Il successo del Pnrr dipende dai sindaci, ha sottolineato Mario Draghi nel suo discorso all’Anci. I quali, soprattutto nel Mezzogiorno, da settimane stanno già anticipando un flop annunciato: mancano forze e competenze, i piani rischiano di non essere rispettati e soldi dell’Europa rimandati al mittente, inutilizzati.

Purtroppo, un grande classico del nostro Paese, bravissimo a imputare all’Europa ogni colpa ma campione assoluto nel non sfruttare le risorse a ciclo continuo che questa ci offre sotto forma di fondi, più o meno strutturali. Pensate che questa brutta aria che comincia a tirare, oltretutto con il nodo Quirinale sempre più incombente, non abbia pesato nella scelta di Esselunga di rompere gli indugi e sparare in faccia ai cittadini/consumatori/clienti la brutale realtà del carovita, retaggio da anni Settanta?

Secondo, lo mostra questo grafico: per quanto tutte le colombe del board Bce continuino a ripetere a macchinetta il mantra della fiammata temporanea, Bloomberg ha gettato un secchio di acqua gelata sulle speranze al riguardo. Se quest’anno l’inflazione dell’eurozona è prevista al 2,4%, ben oltre il target del 2%, la vera criticità sta nella revisione a rialzo toccata al tasso atteso per il 2022: la linea grigia rappresenta la proiezione originaria della Commissione Ue, mentre quella rossa traccia il trend dei nuovi modelli. La media attesa per l’anno prossimo è del 2,2% contro l’1,4% precedente.

Certo, da qui alla fine del prossimo anno molto può cambiare a livello macro. Quasi tutto. Il problema è che il circolo vizioso innescato dal Qe perenne ed esploso nel suo parossismo finale con il Pepp pandemico necessita di inflazione alta per continuare a generare l’effetto manipolatorio sullo spread che tanto interessa a Bce e governi indebitati dell’Eurozona, altrimenti come si finanziano i deficit? Non a caso, l’altro giorno il numero uno della Banca centrale austriaca, il falco Robert Holzmann, è tornato a chiedere una fine più drastica e rapida degli acquisti e un netto cambio di politica sui tassi, in caso l’inflazione mantenga il suo trend anche per il 2022.

Jens Weidmann è in uscita, quindi Austria e Olanda scontano la loro statura non da giganti e il nuovo equilibrio interno al Consiglio direttivo, ufficialmente sbilanciato come non mai su impostazioni espansive. Ma resta il fatto che, quando cominciano a comparire campagne pubblicitarie come quella di Esselunga (già partite in tutta Europa, Germania in testa con il suo complesso weimariano mai risolto) e in contemporanea si è costretti a rivedere drasticamente al rialzo le proiezioni di medio-lungo termine, pensare di poter continuare a vivere nel mondo degli unicorni che negano in nuce la possibilità di tassi da normalizzare per bloccare la spirale dei prezzi appare ogni giorno lavoro più improbo. Esattamente come quello che attende il Governo Draghi, da qui alla partita finale sul Quirinale.

Attenzione, perché Esselunga ha detto ciò che Palazzo Chigi, Palazzo Koch e via XX settembre ancora non possono ammettere. Tutti avvisati.

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