I media italiani se ne sono occupati poco, ma chi segue il mercato è ben conscio del fatto che uno dei driver degli ultimi giorni, capace di operare un efficace off-setting sui venti contrari innescati dalla variante inglese del Covid, sia stato l’accordo per un nuovo piano di stimolo del Congresso, finalizzato a garantire un supporto reddituale ai cittadini americani in vista della seconda ondata di pandemia. Di fatto, la prosecuzione ricalibrata del CARES Act della scorsa primavera. Dopo mesi e mesi di discussioni e scontri frontali fra Democratici e Repubblicani, di colpo si è arrivati a un compromesso. Al ribasso, in effetti, dando un’occhiata alle cifre. Ma pur sempre meglio dell’oblio assoluto o di una rottura nelle trattative. Soprattutto in una fase di mercato estremamente delicata come quella attuale, in cui le mosse delle Banche centrali in fatto di supporto devono fare i conti con l’emergenza di criticità macro che cominciano a zampillare fuori dal nulla come getti d’acqua da un rubinetto rotto che si fatica a tamponare.



Bene, ora preparatevi. Perché a occhio e croce, di colpo, l’argomento potrebbe diventare degno dell’attenzione dei cosiddetti media autorevoli. Il motivo? Donald Trump si è opposto, definendo l’accordo raggiunto “una disgrazia”, minacciando di non firmarlo e puntando forte sull’aumento netto – oltre tre volte – dell’ammontare relativo all’assegno destinato ai cittadini americani fin dalla prossima settimana: a fronte dei 600 dollari più 300 di benefit per la disoccupazione previsti per ogni cittadino (fino ai 75.000 dollari di reddito, salvo poi scalare al ribasso per importi maggiori), una sorta di compensazione rispetto ai 900 dollari della prima versione del programma, l’ormai ex Presidente – ma ancora formalmente in carica e con potere di ratifica – chiede ben 2.000 dollari.



Detto fatto, ieri prima dell’ora di pranzo i futures di Wall Street non hanno gradito. E i tg hanno cominciato le loro litanie. Il capro espiatorio è quindi pronto: Donald Trump vuole avvelenare i pozzi, prima di fare definitivamente i bagagli e andarsene da Pennsylvania Avenue. Proprio vero? Partiamo da un dato di fatto, plasticamente riassunto da Rabobank con questa immagine: cosa c’è davvero dentro a quel provvedimento, talmente omnibus ed estroso da aver necessitato di 5.593 pagine?

Eh già, perché per quanto sia storicamente noto e reale che l’Italia sia la patria incontrastata della disciplina olimpica dell’inserimento di provvedimenti clientelari nelle Leggi di bilancio, l’Eden del Milleproroghe come stile di vita, l’America non fa eccezione. Anzi. Dei 900 miliardi a disposizione, infatti, la parte sostanziale (325 miliardi) va al sostegno delle piccole e medie imprese, soprattutto attraverso un rifinanziamento del veicolo Paycheck Protection Program (284 miliardi), 20 miliardi per il piano Economic Injury Disaster Loans dedicato alle piccole aziende e 15 miliardi per teatri, cinema e istituzioni culturali in generale. C’è poi il secondo ammontare più grande, 166 miliardi che contemplano appunto i famosi paychecks, gli assegni destinati ai cittadini come supporto reddituale. Di fatto, helicopter money. Che il Presidente sovranista, repubblicano, liberista e selvaggiamente capitalista vorrebbe ampliare a dismisura! Eccolo il liberismo che ucciderà il mondo!



Di fatto, Donald Trump minaccia fuoco e fiamme contro il provvedimento non perché vergognosamente clientelare e a pioggia, bensì perché poco munifico: pensate che i media, quelli autorevoli, vi racconteranno le cose come stanno, alla luce di questa realtà? Ma non basta. Perché se in Italia sta facendo discutere l’ipotesi di utilizzo dei fondi del Recovery Fund, clamorosamente squilibrata verso la transizione green e la parità di genere e pressoché ridotta alle briciole per voci fondamentali come sanità e turismo, questa tabella mostra plasticamente dove gli Stati Uniti, a livello di compromesso bipartisan fra Camera e Senato, stiano buttando via soldi dei contribuenti.

Al netto dell’aumento delle spese militari per acquisti ulteriori di armamenti rispetto a quanto messo a Budget per il Pentagono (8 miliardi in più, di cui 4 per la Marina, 2 per missili dell’aeronautica e altri 2 per il nuovo programma relativo alle Forze spaziali), perché l’emergenza Covid dovrebbe garantire 40 milioni di dollari per il Kennedy Center? Oppure oltre 200 milioni per dipendenti federali operanti all’estero e malati di HIV/AIDS al fine di finanziare acquisti – fra l’altro – di automobili o assicurazioni auto? E vogliamo parlare degli aiuti a Paesi esteri? Cos’ha a che fare con l’emergenza pandemica la “donazione” da 3,3 miliardi di dollari a Israele? O gli altri 453 milioni dall’Ucraina, dopo i 400 già sborsati dall’Amministrazione Trump? Vogliamo parlare dei 10 milioni di dollari per i gender programs in Pakistan o dei 700 milioni per il Sudan? E senza scordare, in giorni di grandi polemiche e restituzioni mediatiche della Legion d’Onore, la donazione da 1,3 miliardi di dollari all’Egitto di Al-Sisi. E i 135 milioni stanziati per la Birmania o gli 85,5 per la Cambogia o i 130 per il Nepal o ancora 1,4 miliardi per l’Asia Reassurance Initiative Act, cosa diavolo hanno a che vedere con un provvedimento del Congresso finalizzato al sostegno dell’economia interna contro il fall-out economico della pandemia?

Ma non basta. Perché qualche migliaio di dollari è finito anche alla fondamentale causa del finanziamento di una campagna “finalizzata alla sensibilizzazione dei consumatori rispetto ai rischi derivanti dall’utilizzo di fiamme libere vicino a contenitori di combustibili”. Non ci credete? Guardate qui, carta canta.

Per carità, i dollari destinati a questa nobile missione di certo non cambieranno il corso dei deficit americano, ma danno l’idea di come, purtroppo, tutto il mondo sia Paese. E di come, tristemente, questa pantomima con ogni probabilità oggi verrà utilizzata per crocifiggere ulteriormente Donald Trump, visto che la sua opposizione al delirante piano federale di supporto verrà immediatamente tradotta come la volontà delle élites di affamare ulteriormente il mitologico 99% delle società. Una gran parte di della quale, conti (titoli) alla mano, presumibilmente spenderà i 600 dollari di assegno federale in trading on-line su Robinhood. Ma tranquilli, ci penserà Joe Biden a rimettere in carreggiata la situazione e riportare l’America alla guida del mondo libero, dopo quattro anni di esilio dal genere umano causa presidenza sgradita alla meglio gioventù.

Certo, quei fondi all’Ucraina fanno pensare, vista la collocazione geografica di una delle più chiacchierate imprese manageriali del figlio Hunter. Ma si sa, è inutile spaccare il capello in quattro, quando alla fine l’unica priorità appare quella di spazzare via Donald Trump dal consesso civile, quasi uno stropicciarsi gli occhi collettivo per scordare in fretta un brutto sogno. Attenzione, però, a fare i conti senza l’oste. Come ci mostra questo grafico finale, le possibilità di una vittoria democratica alle suppletive per il Senato previste in Georgia per il 5 gennaio stanno calando.

E se per caso si arrivasse a una situazione di Congresso diviso a livello di controllo politico, l’intero assetto di big rotation del mercato innescato dalla vittoria di Joe Biden (value che batte growth, energetici e bancari contro tech) potrebbe crollare. A quel punto, resterebbero in campo solo due forze catalizzanti per gli indici e i rendimenti: quella “ottimista” del vaccino con la sua prospettiva di miglioramento degli outlook macro globali e quella del Qe a oltranza, tutta nelle mani della Fed. Antitetiche fra loro, come appare intuitivo.