Sarà il clima di incertezza elettorale, ma il dato del Pil statunitense del secondo trimestre non ha generato il solito coro di Magnificat. Eppure, un +2,8% contro attese del +2% e doppio dell’1,4% dei primi tre mesi avrebbe dovuto operare da booster per il commiato della Bidenomics. L’eredità da boom della crescita che ora Kamala Harris sarà chiamata a trasformare in promessa di un new normal per l’economia americana. Ma quando si è perfettamente consci che il casinò è corrotto anche nelle maniglie delle porte, meglio non abusare della pazienza dei cittadini. Che per i prossimi 4 mesi sono soprattutto elettori, quindi da trattare con i guanti. Dopodiché, ci saranno quattro anni di tempo per tramutarli in muli da soma.



Perché se il rally intraday da -16% a -3% vissuto giovedì da New York Community Bank ci dice che appartenere a un hedge fund garantisce poteri miracolosi (o, quantomeno, il passaggio a un livello superiore di wash trading), il fatto che contemporaneamente il titolo di Ford si sia schiantato a -18,1% e segnato la peggiore performance giornaliera dalla crisi finanziaria del 2008 sparge dubbi su quel dato del Pil. Come fossero coriandoli durante una parata di carnevale. D’altronde, se come recita l’adagio, ciò che va bene per Ford, va bene per l’America, oggi possiamo dire che l’orizzonte appare plumbeo.



Date un’occhiata a questi due grafici. Ci mostrano il dato degli ordinativi di beni durevoli di giugno (-6,6% su base mensile contro attese di +0,3%) e, soprattutto, il medesimo spalmato su tre anni e raffrontato fra nominale e ponderato all’inflazione.

Se giugno si è fumato da solo tutti i guadagni dal novembre 2021, ora abbiamo la conferma che dal gennaio di quell’anno i nuovi ordinativi non fossero in aumento dell’8%. Ma in calo del 12,8%. La narrativa crolla come intonaco dopo un’alluvione. Ed ecco il dato più interessante, quello del grafico che possiamo definire principale.



Nel 2023, gli interessi su debito non immobiliare per i consumatori Usa sono saliti del 50%, il massimo incremento dal +14,1% registrato nel 2000. Ovvero, un anno prima dell’entrata ufficiale degli Usa in recessione. In contemporanea, il debito su mutui immobiliari è cresciuto del 18,3%, superando il +14,3% del 2006. Intanto, il tasso medio di interesse su carta di credito è volato al 22,8% nel secondo trimestre di quest’anno, portando il debito delle famiglie Usa al nuovo record di 17,7 trilioni. Il tutto in un Paese la cui economia si basa al 70% sui consumi personali. E parliamo della stessa economia che ha visto schiantarsi gli ordinativi di beni durevoli, ma battuto le attese e raddoppiato il tasso di crescita trimestrale.

La summa di tutto questo? La mostra quest’ultimo grafico, il quale compara Pil nominale e debito dal quarto trimestre 2020 a oggi negli Stati Uniti.

Ecco l’eredità reale della Bidenomics. Ecco perché occorre nasconderla dietro i record a colpi di short squeezes e buybacks azionari di Wall Street e dietro l’illusione dell’AI come nuovo e inesauribile motore immobile. Ecco perché Kamala Harris avrà bisogno di uno shock, da qui al 5 novembre. Positivo o negativo che sia, poco conta. L’economia americana annega nel debito. Ma, paradossalmente, ne necessita di ulteriore. In fretta. E in dosi massicce. Anzi, pandemiche.

Prepariamoci all’imponderabile. A cominciare dalla riunione della Fed della prossima settimana. La quale ci mostrerà quale potrebbe essere la postura del mercato fino alle elezioni del 5 novembre. Come si fa a tagliare i tassi con un’economia che cresce del doppio su base trimestrale? Si vuole forse mandare il motore fuori giri? Questo se quella crescita fosse basata su fondamentali. Ma è debito. Come l’occupazione è garantita al 99% dal settore pubblico. Tutto impiego federale. Spesa governativa. Non a caso, il debito sale di 1 trilione ogni 100 giorni. Puntuale come morte e tasse. E paradossalmente, c’è quasi da esserne felici. Perché l’unica voce macro reale è data dal warfare. Ovvero, occorre fare guerre permanenti in mezzo mondo, affinché l’industria generi produzione, occupazione e crescita.

Che si fa, andiamo avanti con questa recita da Dottor Stranamore fino al 5 novembre? Non a caso, quando il Premier israeliano in visita ha palesemente invocato una guerra contro l’Iran, il Congresso si è spellato le mani. Ecco il modello americano. Donald Trump difficilmente potrà discostarsi troppo da questo trend. Perché significherebbe inimicarsi Wall Street. In compenso, dazi e guerra commerciale a garantire il cuscinetto del protezionismo al poco di strutturalmente macro che esiste nei fondamentali dell’economia Usa. Quella che vede Ford presentare conti tali da spingerla a -18,1% in Borsa. Mentre l’economia nel suo complesso cresce del 2,8% nel trimestre. Senza alcun sottostante.

Attenzione al modello cui aspiriamo e a cui ci ispiriamo. Perché potremmo ritrovarcelo in casa come unica opzione, quasi nottetempo. Dopodiché, tornare indietro sarà impossibile. E quando un maestro del dietro le quinte come Matteo Renzi apre all’ammucchiata alla francese, dichiarando superato il tabù del voto anticipato, significa che la macchina dei salotti e dei poteri si è messa in moto. A livello globale. Date un’occhiata alle ultime mosse registrate nel comparto industriale di questo Paese, alle ultime operazioni. Solo della settimana appena conclusa. Basta una rassegna stampa molto risicata. Sono due i nomi che spiccano. Dopodiché, godetevi un altro 1992 travestito da nuova resistenza contro il fascismo sovranista. Tanto la ricetta è indebitarsi e votarsi al Dio delle Banche centrali. Anzi, scomodando in maniera un po’ blasfema Friedrich Nietzsche, ai gelidi mostri del monetarismo.

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