L’articolo di oggi rappresenta la naturale prosecuzione di quello pubblicato ieri. E, paradossalmente, potrebbe limitarsi a una lunga didascalia relativa a un grafico, il quale spiega più di mille parole quale sia la realtà economico-finanziaria di questo Paese. Un grafico che non vedrete pubblicato altrove, per la semplice ragione che il sistema bancario non può essere attaccato troppo. Soprattutto in questo momento, quasi la bomba a tempo delle sofferenze stesse scandendo – come un conto alla rovescio – il redde rationem che lo scandalo Mps, banche venete e fino alla Popolare di Bari aveva lasciato intravedere. Ma si sa, in questo Paese amiamo l’effetto Gattopardo: tutto cambi, affinché nulla cambi. E quindi, ecco che per intorbidire bene le acque, millantando rivoluzioni che in realtà erano furbeschi insabbiamenti, ci si è lanciati in roboanti Commissioni d’inchiesta, agitando cappi e mostrando ghigliottine in favore di telecamera. Alla fine, risultati zero. Nulla è cambiato.



In compenso, ci ha pensato il Covid a porre fine alla sciarada, come in un romanzo di Arthur Schnitzler. Ci hanno pensato mesi di serrate obbligate, di aziende vuote ed esercizi chiusi. Di mutui e linee di credito da rinegoziare, di scadenze da onorare senza aver fatturato, di balzelli fiscali e spese fisse, di cassa integrazione promessa e mai arrivata in molti casi, se non attraverso l’anticipo della stessa compiuto dalle aziende. Quindi, altro capitale in uscita su un cash-flow ormai unidirezionale e in negativo. L’Abi, l’Associazione bancaria italiana, continua a sbandierare cifre. Enormi. Prestiti miliardari erogati all’economia reale, quasi a volersi preventivamente giustificare rispetto a un atto d’accusa incombente.



È vero, certamente dei crediti sono stati erogati: ma in quale forma? Perché se riteniamo che rinegoziare le linee di credito precedenti, i fidi e i mutui passati, rappresenti un aiuto all’economia reale, forse abbiamo sbagliato di grosso: quell’attività serve soltanto a rimettere a posto i bilanci delle banche nei confronti dei propri attivi a rischio. In questo Paese il sistema bancario non sta finanziando l’economia e le famiglie, sta soltanto evitando precauzionalmente l’aumento ulteriore ed esiziale delle sofferenze, i cosiddetti non-performing loans, in vista dell’accetta europea in arrivo rispetto alla loro classificazione e al loro smaltimento. Speravano nella bad bank, erano praticamente certi che – per l’ennesima volta – il sistema non fosse chiamato a pagare per i propri errori, oltre che per le crisi che ne hanno intaccato i bilanci: ora quell’ipotesi si fa più remota. E, comunque, non in tempi sufficientemente brevi da operare un off-set operativo sul rischio rappresentato da una normativa più stringente.



Per carità, io capisco questa necessità. Paradossalmente, rappresenterebbe una delle poche volte in cui l’intero sistema bancario ha mostrato un atteggiamento realmente prudenziale, da buon padre di famiglia. Peccato lo faccia unicamente a livello di auto-conservazione obbligata e disperata, quasi l’extrema ratio prima della presentazione di un conto che non si è in grado di pagare. E vediamolo allora questo grafico, eccolo qui, preparato da Jefferies su dati ufficiali Bce.

E cosa ci dice? La figura a sinistra ci mostra come, al netto dei 26,8 miliardi di titoli di Stato italiani acquistati dalla Bce nei mesi di agosto e settembre, il famoso calo dello spread che stiamo vivendo in queste ore sia frutto unicamente di un’altra dinamica: l’acquisto con il badile di Btp operato dalle banche italiane, l’ormai famoso e famigerato doom loop. Il quale non solo è vivo e lotta insieme a noi, ma lo fa con modalità forza quattro: alla fine di settembre, le detenzioni di debito pubblico da parte del sistema bancario italiano hanno toccato il massimo storico assoluto, volendo sopra quota 520 miliardi di euro di controvalore. Guardate dove sono le banche di tutti gli altri Paesi Ue, per capirci. La figura a destra, invece, mostra il peso percentuale delle detenzioni di debito sul totale degli assets bancari nei vari Paesi: dopo il Portogallo, ci siamo noi. La Spagna, terza in classifica, è parecchio distanziata. Non parliamo di Germania e Francia. Le quali avranno anche i Level 3 delle loro banche intasati di derivati, Cdo e prodotti esotici vari, ma, quantomeno, a fronte di liquidità alle stelle da parte delle Bce e tassi a zero, se non negativi come all’ultima asta Tltro, a imprese e famiglie garantiscono sicuramente più credito delle nostre. Quantomeno, erogando prestiti e non chiedendo rinegoziazioni e rientri emergenziali dalle linee precedenti.

Ecco per cosa usano i soldi della Bce le nostre banche, per garantire al Tesoro un prestatore di ultima istanza alternativo alla Bce. La quale, si sa, non è eterna, a differenza di quanto auspicato da certi fenomeni. Anzi, a breve potrebbe segnare un bel rallentamento degli acquisti, già oggi rientrati nella capital key statutaria per quanto ci riguarda. E senza un backstop alternativo, stante lo stato reale dell’economia, la manovra 2021 basata su soldi europei che appaiono credibili come quelli del Monopoli e un rischio di lockdown selettivi che è tutt’altro che peregrino, lo spread a 130 che tanto fa piacere al Mef rimarrebbe un lontano ricordo di fugace gloria passata. Sparirebbe al rialzo nell’arco di cinque sedute, senza difficoltà.

E attenzione alla dinamica rappresentata da questi altri due grafici: il primo ci mostra proprio come in virtù della campagna acquisti delle nostre banche, il nostro spread rispetto alla Spagna continui a comprimersi, scendendo ulteriormente ai livelli del 2018. Il secondo grafico, però, mostra come le equities spagnole siano quest’anno le peggio performanti dell’eurozona, trainate al ribasso proprio da un settore bancario pronto a esplodere. E sapete qual è il Paese più esposto al comparto del credito spagnolo? Il Portogallo, a sua volta nazione le cui banche hanno il record assoluto di detenzione di debito sovrano rispetto agli assets totali. Se saltano, come ormai pare solo questione di tempo, le banche spagnole – come accaduto nel 2012 -, dove finiranno quelle portoghesi?

E se due Paesi del Club Med vanno in crisi di solivibilità, spedendo gli spread fuori controllo nonostante la Bce, siamo certi che l’Eurotower avrà ancora potenza di fuoco e strumenti necessari e sufficienti a domare l’incendio ed evitare che si propaghi alla casamatta principale, ovvero l’Italia, come avvenuto nel 2011?

Signori, la situazione reale sotto il pelo dell’acqua è questa. Per quanto vogliano farvi vedere soltanto la punta dell’iceberg di un dibattito sul Recovery fund più complesso del previsto o della pantomima ormai fra il ridicolo e il criminale relativa all’utilizzo del Mes: il bilancio della Bce, proprio ieri, ha sfondato l’ennesimo record, raggiungendo qualcosa come 6,705 triliardi di euro, dopo un aumento shock di 170,3 miliardi in un solo colpo. Dove pensate che possa arrivare, prima che la Bundesbank dica stop, staccando la spina della sua partecipazione al Pepp e dichiarando che è giunta l’ora che muoia Sansone con tutti i filistei?

Ora guardate questo ultimo grafico, il quale ci mostra come il dato sulla produzione industriale tedesca di agosto reso noto ieri abbia segnato un inaspettato rallentamento a -0,2% contro le attese addirittura di un +1,5%. Fattorizzate quel rallentamento come liability per il comparto della subfornitura all’industria teutonica che rappresenta la spina dorsale del sistema di imprese del Nord Italia, Lombardia e Veneto soprattutto e calcolatene l’impatto come in arrivo fra il mese in corso e il prossimo: cosa accadrà, al netto di mancanza di liquidità per quelle imprese e scadenze fisse che incombono?

Se volete, bevetevi pure la retorica governativa e festeggiate lo spread a 130. Poi, però, non lamentatevi della doccia fredda che arriverà a svegliarvi bruscamente in inverno.