Venerdì è stata una giornata storica per i mercati finanziari: l’oro ha toccato (e superato di poco) quota 2.500 dollari l’oncia, un record assoluto. Anche sull’azionario è andata bene: dopo un periodo negativo, i mercati sono tutti sono saliti, lasciando immaginare un prossimo recupero e superamento dei massimi storici, dopo un salutare e tipico storno del prezzi. Tutto bene quindi?
Quelli che come me conoscono l’andamento dei prezzi e il valore relativo delle monete si pongono sempre una domanda sull’altra faccia della medaglia. Infatti, tutti sono abituati a pensare che quando i mercati crescono, tutto vada per il meglio. Ma potrebbe essere esattamente l’opposto. Faccio un esempio eclatante: immaginate che un’azienda chiami un proprio dirigente e gli dica che, in riconoscimento dell’ottimo lavoro svolto, gli raddoppieranno lo stipendio. Tutto bene? Non è detto. Infatti, bisognerebbe porsi la domanda: l’azienda ha finalmente valutato correttamente il valore del lavoro svolto, oppure il denaro stesso vale la metà e quindi in fin dei conti non gli hanno dato niente?
La domanda è ancora più stringente riguardo i mercati finanziari: se l’oro è sempre oro e non varia il suo valore oggettivo, perché oggi vale tanto di più di appena due anni fa, quando il suo valore era di circa 1.700 dollari l’oncia? Questo aumento del 47% è reale? Forse in realtà è calato il valore del dollaro?
Facciamo un altro esempio su un indice noto: il Nasdaq. Il valore del future due anni fa era a 13.200 circa, ora si trova a 19.500 circa, cioè il 47% in più di due anni fa, esattamente la stessa percentuale dell’oro. In altre parole, se il future del Nasdaq invece che in dollari fosse quotato in oro, il suo valore di oggi sarebbe uguale a quello di due anni fa. Ma il Nasdaq è un indice piuttosto speculativo, perché è il paniere dei titoli tecnologici, dove dominano aziende come Microsoft, Tesla, Meta (Facebook), Nvidia, Apple, che sono cresciute tanto, fin troppo.
Prendiamo come esempio invece il future del Dax. Oggi si trova a 18.320, mentre due anni fa era a 13.850, cioè è cresciuto del 32%. Questo vuol dire che se fosse quotato in oro, l’indice avrebbe subito un calo. E questo corrisponderebbe meglio all’andamento dell’economia tedesca.
Voglio dire quello che ho già detto tante altre volte: i problemi non si risolvono semplicemente stampando moneta, come hanno fatto le Banche centrali negli ultimi decenni, di fronte a qualsiasi problema, di fronte a qualsiasi crisi. Anzi, quello di stampare moneta è il metodo per nascondere la polvere sotto il tappeto della liquidità, un metodo che oltre a rimandare il problema in un tempo futuro ignoto lo rende sempre più grosso, ingrossato proprio dalla moneta stampata.
Certo, gli ultimi dati sull’inflazione Usa e sulla fiducia dei consumatori americani sono positivi, ma questo non basta certo a dire che va tutto bene, anzi. Con i tassi così alti, tanti settori sono in sofferenza, soprattutto un settore importante come quello dell’edilizia, che con il suo indotto ha un peso significativo in qualsiasi economia. Quindi ci sarebbe bisogno di abbassare i tassi e i dati positivi sembrano puntare su questa possibilità, data per certa da diversi analisti per la prossima scadenza di settembre. Ma un ribasso dei tassi potrebbe ridare benzina a quell’inflazione che si è cercato di combattere negli ultimi due anni.
Il dramma è che una volta le Banche centrali cercavano di dare una direzione all’economia e alla finanza, immettendo liquidità e cambiando i tassi di interesse sul denaro. Ma da diverso tempo è l’opposto: il mantra è che valutano dopo aver visionato “i dati”, cioè i vari indicatori di crescita, inflazione, disoccupazione e fiducia. Ma questi dati sono ritardati rispetto alla realtà odierna, almeno di qualche mese. E si dimostra inoltre che chi guida le Banche centrali non ha idea di dove stia andando l’economia, per cui aspetta “i dati” ed è destinato a muoversi sempre in ritardo rispetto alla realtà. Certamente non è questo il modo di guidare l’economia e la finanza o di risolvere i problemi.
A novembre vi saranno le elezioni americane: questa sembra essere l’unica bussola di chi guida le Banche centrali.
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