Quando le grandi istituzioni sovranazionali si sentono in dovere di intervenire su argomenti che vengono percepiti come “di nicchia” dal grande pubblico, solitamente significa che siamo nei guai. È stato così con il Fmi e la sua tardiva presa d’atto della situazione greca, risolta poi a colpi di machete sulle detenzioni obbligazionarie. Ora, se possibile, la cosa è decisamente più seria dell’argent de poche dei titoli di Stato di Atene, divenuti vaso di Pandora soltanto per l’effetto di miccia che hanno innescato sul ben più grande e destabilizzante stock obbligazionario sovrano dell’Italia nel biennio 2011-2012. Perché quando la Bri (o Bis, all’inglese), la Banca per i regolamenti internazionali, ovvero la Banca centrale delle Banche centrali, decide di dedicare la sua ultima Quarterly Review all’intervento forzato della Fed sul mercato repo, alle sue conseguenze sistemiche e, soprattutto, alle ragioni che lo hanno reso necessario, allora vuol dire che le false rassicurazioni di Jerome Powell sul carattere transitorio della crisi innescatasi il 16 settembre scorso sul mercato repo overnight, l’interbancario che sovrintende Wall Street, vengono spazzate via come una scritta oscena sulla lavagna da un severo colpo di cancellino del maestro. Come dire, non scherziamo col fuoco. E con il residuo di credibilità di cui ancora qualcuno di noi gode.



Perché la faccenda è seria. Quanto? Per la Bri, “attualmente i mercati repo statunitensi dipendono troppo dal ruolo di solo quattro banche come prestatori marginali. E visto che la composizione dei loro assets liquidi è divenuta nel tempo sempre più distorta e indirizzata verso la detenzione di Treasuries, la loro capacità di fornire finanziamento con breve preavviso sui mercati repo è andata via via diminuendo. Allo stesso tempo, l’aumento di domanda proprio per quel finanziamento da parte di istituzioni finanziarie particolarmente esposte al leverage – come ad esempio gli hedge funds – attraverso il canale repo dei Treasuries sembra aver esacerbato al massimo i limiti di quelli che si credevano unicamente dei fattori temporali”.



Insomma, il sistema è squilibrato alla radice. Altro che extra-necessità dovute solo all’approssimarsi delle scadenze di fine trimestre, come si disse a settembre: strutturalmente, il grande casinò di Wall Street si basa unicamente su quattro banche che fanno il bello e cattivo tempo e dalle quali dipende la capacità per i soggetti più piccoli, esposti e aggressivi di finanziarsi day-by-day per le loro necessità. E, soprattutto, in molti casi per la loro stessa sopravvivenza. Ce lo mostra questo grafico. Se quelle banche hanno meno liquidità da fornire e mettere a disposizione o meno volontà di farlo o ancora, a loro volta, difficoltà contingenti nell’operare, il sistema grippa. Come accadde nel settembre scorso.



E qual è il problema ulteriore? Il fatto che fondi speculativi come come Citadel, Millennium o Point 72 operino in maniera tale da vedere 20-30 miliardi di assets under management (Aum) tramutarsi in 200 miliardi proprio attraverso l’esposizione alla leva, come mostra il grafico. E come raggiungono quei livelli, da dove trae linfa quel leverage, quel colossale schema Ponzi finalizzato al profitto a brevissimo termine? Fino al 16 settembre scorso, in maniera sistemica proprio dal mercato repo overnight. Si è portato il sistema allo stremo ed ecco le conseguenze.

Ed ecco la terrificante presa d’atto della Bri al riguardo: “Non solo la Fed si è trovata da affrontare, improvvisamente, una crisi in stile Ltcm, ma proprio a causa dell’uso e abuso del mercato repo da parte di questi soggetti attraverso i cosiddetti multi-strat funds, ciò che si è trovata davanti è stata in realtà una costellazione di situazioni potenzialmente esplosive in stile Ltcm. E in contemporanea. Un qualcosa che, se non tamponato immediatamente ed emergenzialmente, avrebbe potuto far partire una valanga che sarebbe facilmente sfociata in triliardi di dollari di controvalore in assets forzatamente liquidati come conseguenza dello tsumani di margin calls che avrebbe colpito gli hedge funds di tutto il mondo”. Insomma, si è rischiato un altro 15 settembre 2008 (se non conoscete il caso Ltcm, quello legato alla crisi del Long Term Capital Management, un hedge fund a dir poco aggressivo che nacque, fece danni e morì ingloriosamente nel breve arco temporale fra il 1994 e il 1998, fate una ricerca perché è istruttivo). Ma, forse, ben più in grande, perché avrebbe colpito al cuore il Leviatano, non agli arti inferiori come fece Lehman Brothers, azzoppando per un po’ la corsa. Insomma, un combinato devastante dove le quattro banche più grandi degli Usa, le cosiddette Big Four, da sole detengono più del 50% di tutti i Treasuries utilizzabili come collaterale nelle operazioni repo di finanziamento a breve, mentre le 30 più grandi banche del Paese messe insieme arrivano a oltre il 90% di detenzione.

A questa distorsione sistemica va unito il ruolo degli hedge funds, i quali utilizzano il mercato repo non come fonte di finanziamento per chiudere i deals quotidiani e mantenere l’operatività ordinaria nei flussi di cassa, ma per costruire posizioni a leva sempre più estreme, talmente estreme da sembrare castelli di sabbia. E il 16 settembre scorso, la marea si era alzata a tal punto da essere quasi pronta a spazzarli via in blocco. Ecco perché la Fed è dovuta intervenire con quei modi e quella tempistica, altro che normali necessità di extra-finanziamento in vista della fine del trimestre: stava semplicemente venendo giù il sistema per la seconda volta in dieci anni. Tutto, nel silenzio pressoché totale dei media. Questo è il vero, grande scandalo, altro che le fake news o gli hacker russi o i troll della Bestia leghista. Una conventio ad excludendum della realtà, distopia orwelliana allo stato puro. Roba da mettere i brividi, se ci pensate a mente fredda.

E ora, tutto risolto? Scampato pericolo? Sì e no. Sì perché dei mercati si sente parlare solo per i nuovi record, pressoché quotidiani, infranti da Wall Street. E no per il motivo che ci viene mostrato da questo ultimo grafico: per tamponare quell’allarme, quel punto di rottura, la Fed ha dovuto iniettare nel sistema – dal 17 settembre a oggi – 208 miliardi di liquidità sotto forma di repo overnight e operazioni term più 114 miliardi in nuovi acquisti permanenti di Treasuries, il nuovo Qe partito a ottobre che Jerome Powell non vuole venga definito tale. Un’operazione che ha già portato il bilancio della Federal Reserve ad aumentare di 322 miliardi di dollari in due mesi o poco più.

Peccato che il mercato repo non sia affatto riparato e operativo autonomamente, bensì solo stabilizzato dalla liquidità quotidiana fornita dalla Fed: la quale, formalmente, sarà garantita fino alla fine di gennaio 2020. E poi? Non accadrà, esattamente come per l’aumento delle tariffe contro la Cina, si troverà l’ennesima, patetica scusa per prorogare quella scadenza. Altrimenti, tempo tre giorni, massimo una settimana, crollerà di nuovo tutto. Il sistema è rotto, va avanti solo grazie ai pezzi di nastro adesivo della Fed. La quale ora ha due opzioni: proseguire a colpi di falsa emergenzialità temporanea, mascherando così il divenire sistemico di questo che è a tutti gli effetti un new normal oppure lanciare ufficialmente un Qe4 di dimensioni monstre, al fine di scongiurare un tonfo epocale e l’innesco di una nuova crisi finanziaria a livello globale. Tertium non datur. Ecco a che punto siamo, certificato dalla Bri.