Sapete perché l’accusa del ministro dell’Economia francese nei confronti degli Stati Uniti sul prezzo del gas va presa molto seriamente? Non tanto per il ruolo di primo piano che Bruno Le Maire ricopre nell’esecutivo d’Oltralpe. E nemmeno per la tensione sociale ormai alle stelle in praticamente tutto il Paese, tanto da aver spinto l’Eliseo a minacciare interventi delle autorità per porre fine a blocchi e scioperi nelle raffinerie. Bensì per questo: questo grafico ci mostra come i cittadini statunitensi, nonostante l’enorme vantaggio competitivo di cui il loro Paese gode rispetto all’Ue in fatto di prezzi dell’energia, questo inverno pagheranno la bolletta più pesante degli ultimi 25 anni per restare al caldo. E signori, l’8 novembre si vota per il mid-term.
Certo, finora le temperature sono state clementi anche nel notoriamente gelido Mid-West, ma, si sa, ormai il clima è ballerino. Da un weekend con l’altro, la neve potrebbe imbiancare Chicago e un vento gelido sferzare Minneapolis. A quel punto, Joe Biden avrebbe un problema. Anzi, un ulteriore, grande problema rispetto a quelli che già si trova ad affrontare. Ad esempio, l’inflazione e la conseguente politica da kamikaze della Fed. O la contrapposizione con la Russia che, in realtà, altro non è che un proxy dentro un altro proxy, la matrioska dello scontro finale con Pechino per l’egemonia globale. Capite quindi perché quelle parole di Bruno Le Maire sull’inaccettabile prezzo quadruplicato cui gli Usa vendono il gas a Paesi formalmente amici e alleati assume una rilevanza esiziale? Perché sul gas liquefatto statunitense, di fatto, non possiamo contarci. Quantomeno non possiamo guardare Oltreoceano con la certezza di approvvigionamento con cui per anni e anni abbiamo guardato all’energia a basso costo e via pipeline che ci garantiva Gazprom.
E lasciate perdere le pagliacciate del Governo dei Migliori rispetto alle fonti alternative come l’Algeria e l’Angola. Perché? Guardate qui: perché nonostante le arrampicate sugli specchi riguardo la presunta indipendenza del colosso energetico di Rabat da Gazprom, ecco che la medesima Algeria risulta fra i 35 Stati che mercoledì sera all’Onu si sono astenuti nel voto di condanna per le annessioni dei territori russofoni dell’Ucraina. E insieme all’Algeria, persino due pulci economiche, demografiche e nucleari come Cina e India. D’altronde, la Russia è isolata.
Ma non basta. Perché l’ad di Eni, Claudio Descalzi, è stato chiarissimo in tal senso. E ci ha detto che, senza rigassificatori a tempo di record e senza troppe fisime ambientaliste, l’inverno da temere veramente non sarà quello alle porte ma quello del 2023-2024. Quanto possiamo permetterci che duri la recessione già annunciataci dal Fmi nella sua revisione delle stime di crescita? Quante aziende moriranno, da qui alla primavera 2024?
Già oggi, il bollettino quotidiano è da pelle d’oca. Roba da tramutare la Spoon River economica e industriale del Covid in una passeggiata nel parco. E sapete qual è la cosa peggiore? Che l’Europa, la stessa entità semi-mitologica che ancora oggi sta perdendo tempo alla ricerca di un compromesso raffazzonato, al ribasso e tutto formale sul price cap, sapeva fin dall’inizio come stavano le cose. E non lo dice il sottoscritto. Lo ha detto il 10 ottobre scorso il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, parlando alla Conferenza annuale degli Ambasciatori Ue. Questo è lo stralcio dell’intervento introduttivo di quello che un tempo era chiamato Mr. PESC equi trovate l’integrale, per chi non si fidasse.
E cosa ha detto Josep Borrell agli Ambasciatori dei Paesi membri? Che la prosperità dell’Europa è dipesa in questi anni dall’energia a basso costo dalla Russia. E dalla security garantita a livello di intelligence e militare degli Usa. Di fatto, l’Ue è un bambino problematico con due badanti. Il problema è che ora queste sono in guerra fra loro e non si sopportano. Occorre scegliere, una resta, l’altra viene licenziata. Detto fatto, Borrell ammette di aver mandato a casa la Russia con la sua energia garantita e con un range di prezzo fra 25-30 euro MWh per il gas. Abbiamo scelto l’America e il suo scudo difensivo.
Fino a che si schiattava di caldo, il problema era minimo. Quasi inesistente. Ora, però, ecco che persino il nostro ministro degli Esteri europei è costretto a dire la verità: come ci scaldiamo? Come illuminiamo le città? E, soprattutto, come alimentiamo le fabbriche, i capannoni, le raffinerie? Ovviamente, Josep Borrellnon ha fornito risposte. Solo convinzioni e dati di fatto. Peccato che fino a oggi abbia operato in senso opposto. E cosa ben più grave, apparentemente senza cercare una soluzione alle conseguenze e senza avere la decenza di informare l’opinione pubblica europea di quale salto nel buio stavamo compiendo. L’importante per Borrell come per al Von der Leyen e come per la Metsola era soltanto mandare armi a Kiev e mettere sanzioni contro Mosca: cani di Pavlov dei desiderata interessati di Washington. Gli stessi che oggi – ben svegliato anche a lui! – Bruno Le Maire denuncia en plein air, trovandosi con il Paese in gran parte senza carburante e con le fabbriche pronte a far esplodere una protesta di massa da far impallidire la stagione dei Gilet gialli.
Ecco a che punto siamo, cari lettori. Ecco perché le parole del ministro francese contro l’atteggiamento speculativo di Washington nei confronti degli alleati pesano come macigni. Perché ci mostrano la realtà nella sua brutale essenza: l’Europa si è messa volontariamente con le spalle al muro e ora si agita come un sequestrato nel bagagliaio di un’automobile. E c’è di peggio. Perché fino a oggi la retorica della fine della dipendenza dalla Russia è stata accompagnata da quella relativa al sempre maggiore isolamento internazionale di quest’ultima, status che l’avrebbe obbligata a capitolare, arrendersi e scendere a più miti consigli. Balle. Il tanto sbandierato default da sanzioni non c’è stato, l’esclusione dal sistema Swift è stata una farsa bypassabile anche da un cassiere del Credito Cooperativo. Inoltre, l’isolamento di Mosca si è sostanziato finora nella sua capacità di obbligare l’Opec+ a tagliare la produzione di petrolio, addirittura portando dalla sua parte un alleato storico degli Usa come l’Arabia Saudita. Questo sarebbe isolamento?
Non a caso, sempre mercoledì, inaugurando il Forum energetico di Mosca, Vladimir Putin è stato chiaro: la Russia è pronta a onorare tutti gli impegni di fornitura contratti con l’Europa, fin da subito e attraverso il canale sicuro di Nord Stream 2. La palla ora è totalmente nel campo dell’Ue, ha chiosato il Presidente russo. E stante i problemi di Germania e Francia, quanto pensate che ci vorrà prima che l’ammutinamento che i nostri media prospettano da settimane per il Cremlino avvenga invece a Bruxelles, quasi in un drammatico contrappasso dantesco di cialtroneria e dilettantismo servile?
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